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d'Eramo Marco, Pannella Marco - 11 novembre 1978
LA DIFFICOLTA' DI ESSERE DIVERSI
Il congresso radicale

intervista con Marco Pannella a cura di Marco d'Eramo

SOMMARIO: Cronache della campagna elettorale di Marco Pannella e del Partito radicale alle elezioni amministrative a Trento: una campagna "all'americana". Analisi della situazione politica interna al Partito radicale, all'indomani del Congresso che ha eletto segretario l'obiettore di coscienza francese Jean Fabre. I rapporti con il Psi: non è un vero partito socialista se non è assolutamento maggioritario; bisogna puntare alla rifondazione del Psi che dovrebbe coinvolgere l'80% dei comunisti, dei radicali e dei socialisti.

(MONDOPERAIO, 11 novembre 1978)

Nel centro di Trento c'è un piccolo albergo. Il centralinista vi conosce vita, morte e miracoli di Emma Bonino, Massimo Teodori, Marco Pannella. Perché per le elezioni nel Trentino Alto Adige i dirigenti radicali hanno fatto di questo hotel il loro centro operativo. Dopo un congresso a sorpresa nelle Puglie in cui è stato eletto un segretario simbolico e spettacolare, il giovane francese obiettore di coscienza Jean Fabre, la leadership radicale si è trasferita in massa sulle Alpi per cercare di ottenere gli stessi buoni risultati di Trieste. Un Massimo Teodori che prepara le pagine di pubblicità comprate al quotidiano "l'Alto Adige", un Pannella che tiene banco nei comizi e nelle trasmissioni della Radio radicale, appena installata, militanti che occupano la più grande TV privata perché rifiuta il loro (solo il loro, aggiungono i radicali) annuncio pubblicitario. Una campagna "all'americana", ha detto "la Repubblica", organo non molto amato tra i radicali, un notevole attivismo e un'alleanza con la "nuova si

nistra", cioè con "Lotta Continua" e il MLS da cui emergono varie discrepanze. Il comune denominatore è però la dura polemica con il PCI, ripagata d'altronde in moneta contante.

Questa campagna mostra alcune ambiguità anche nella vita interna dei radicali che, con l'ultimo congresso, hanno sciolto il partito nazionale e fondato la federazione dei partiti radicali regionali: in realtà è sempre il gruppo dirigente nazionale a spostarsi compatto. E' la contraddizione di un partito che si vuole di movimento e quasi senza delega, ma che è imperniato e quasi incarnato in un solo "capo carismatico", Marco Pannella, delegato così di fatto a "essere" il partito radicale. Un Marco Pannella che, proprio con il Congresso di Bari e con la soluzione simbolica per la scelta della segreteria, ha ripreso in mano la situazione, anche con l'appoggio del gruppo di Massimo Teodori, già all'opposizione, e ora confluito sulla linea che vuole un partito tutto di movimento, tutto fuori da quel che è considerato il "regime". Battuti sembrano essere stati Spadaccia e Aglietta che, dicono alcuni esponenti, quest'anno non hanno saputo prendere nessun'iniziativa. Le fratture all'interno dei radicali sono forti.

L'accusa rivolta a Spadaccia e Aglietta e agli altri dirigenti centrali è di aver voluto ricostituire il partito come centro di potere, cioè di essere entrati, senza accorgersene, nella logica della lottizzazione, in una struttura "convenzionale" di partito, di aver lasciato tutta l'iniziativa al gruppo parlamentare.

Ma anche tra i sostenitori del partito di movimento, della critica dura "al regime", si delineano posizioni molto differenziate. Emma Bonino a Bari e Marco Pannella qui a Trento lanciano accuse al PSI, rimproverandogli di avere una doppia anima, ministeriale e libertaria. Una vecchia accusa, che però appare strana a Trento, dove il PSI era all'opposizione contro la "grande coalizione" PCI-DC, E' forse l'indice di un'approssimazione nell'approccio politico. Da altre tendenze radicali vengono invece appelli a una "non belligeranza" tra radicali e PSI, a una complementarità di azione, a un rispetto reciproco ognuno nel proprio ambito. Quest'atteggiamento "civile" non è un risultato facile: troppi i contenziosi del passato, le incomprensioni, che risaltano anche dalla conversazione di un'ora con Marco Pannella e che sono accentuati dall'importanza annessa dal leader radicale all'intervista con "Mondoperaio", "dopo anni di silenzio", come ha ripetuto più volte.

Il problema di fondo pare però un'altro. La società italiana e la sua espressione politica, quel benedetto "quadro", sono mutate sensibilmente negli ultimi due anni e gli stessi radicali si trovano spiazzati rispetto alla loro posizione precedente e rispetto al terreno che prima occupavano soli e che ora anche altre forze occupano. Sono perciò alla ricerca di nuove forme di presenza nella società italiana, elementi essenziali per un movimento che si vuole "scandaloso" e "diverso", il cui ferro di lancia è perciò la cassa di risonanza dei mass-media e che risente così più degli altri della chiusura dei mezzi d'informazione, tacciati di censura e di appartenenza al regime. Da qui il complesso rapporto, che è al tempo stesso di convergenze e di conflittualità, con le altre forze della sinistra laica, a cominciare dai socialisti.

"Il congresso radicale di novembre è andato in modo strano. La linea Aglietta-Spadaccia, che sembrava vincente, pare aver perso."

Un Congresso radicale è diverso dagli altri, proprio come i radicali sono un partito diverso. Non si può leggerlo con la stessa chiave. Non vi sono delegati: può venire chi vuole. Molti si iscrivono proprio in occasione del Congresso e, tendono - pensando di accentuare la novità a riportarvi invece la vecchia logica mutuata dalle altre formazioni. Poi, il Congresso si è tenuto a Bari. Cerchiamo di tenerli in regioni diverse perché favoriscono l'insediamento locale. Ma ognuno al Congresso ci viene a sue spese. Così a Bari la presenza del Centro-Nord era sottovalutata. Quest'anno la partecipazione meridionale, più imprevedibile, era forte. Poi, con l'inflazione e l'aumento del costo, la composizione sociale è mutata; stranamente vengono molti più ragazzi, studenti poveri, con il sacco a pelo, in autostop, cui il viaggio non costa nulla, mentre le persone mediamente agiate (che dovrebbero andare in albergo, ristorante) vengono meno. Se non è per delegati, un Congresso è sempre un'incognita. Non si sa quanti sar

anno: 200 o 800?

"L'elezione dei ventiquattrenne francese Fabre è sembrata un po' plateale, ad imitazione della Chiesa che ha eletto uno straniero."

Guarda: Fabre è un obiettore di coscienza, che rischia di essere imprigionato. E la non violenza è il filo che fonda la diversità dei radicali e percorrere i temi specifici. Senza la non violenza, gli altri temi sarebbero sconnessi.

"Il Congresso sembra aver rispecchiato il paradosso che vivono i radicali: buoni successi elettorali nel referendum e a Trieste, ma crisi profonda del partito."

Non è vero. E' andato in crisi quel che abbiamo messo in crisi noi stessi. Per alcuni anni abbiamo accettato la contraddizione tra realtà pratica e statuto, per cui il partito radicale è una federazione di partiti regionali. Il partito esisteva solo per supplire all'assenza di questi partiti regionali. Ma quando chiudi deliberatamente l'unico centro di collegamento nazionale di cui disponi per respingere di nuovo a livello regionale le battaglie che vanno fatte, hai bisogno di due o tre anni per la riconversione. Perché ci siamo automessi in crisi? Perché la censura subita dai radicali è stata spezzata solo dallo specifico parlamentare. Siccome noi passiamo solo attraverso le pagine comprate a "La Repubblica", perché altrimenti il messaggio è o censurato o peggio ancora grotteschizzato, succede che solo il gruppo parlamentare riesce a spezzare la volontà o il bisogno di far fuori la presenza radicale. C'è stata quindi una deliberata messa in crisi per andare in direzione dello Statuto. Per un partito liberta

rio, lo Statuto è il dato fondamentale, è l'invenzione. Normalmente i libertari hanno sempre avuto diffidenza per l'organizzazione. Il nostro atteggiamento è capovolto: se la libertà, come tutto, come fare all'amore, vivere, lavorare, è un prodotto sociale, è un prodotto dell'organizzazione che non è un modo di sacrificare ma che fonda questa libertà.

"Il partito in quanto tale non ha preso nessuna iniziativa politica quest'anno."

Il partito ha chiuso questo centro antistatuario, perché se non si cominciava con un atto volontario a innescare la ricerca obbligata nelle regioni, a riciclare i riflessi di noi stessi si restava nell'ideologia di tutti i partiti dell'arco costituzionale: come possiamo essere proudhoniani se non poniamo il problema della prefigurazione nella realtà intermedia di quel che vogliamo? Per misurare la distanza tra noi e il PSI, potrei dire che il PSI pratica un leninismo con finalità proudhoniane.

"Però vi sarebbero motivi di crisi più profondi. I radicali sono diventati per l'opinione pubblica il partito del referendum e oggi quest'arma è diventata inutilizzabile, almeno per un paio d'anni."

No. Per noi la situazione ottimale è di provocare la crisi del dato istituzionale del referendum per assuefazione e non per scarsa pratica. Per me lo schema della federazione dei partiti radicali, è quello che pratica con regolarità referendum a tutti i livelli, regionali e nazionali. L'idea, lanciata dal PCI, che il referendum è un fatto eccezionale, sarebbe una stupidaggine se fosse in buona fede, ma non lo è. Invece nella lettera e nello spirito della Costituzione c'è una compenetrazione continua tra democrazia delegata e democrazia diretta. Il parlamento si riunisce tutti i giorni. Perché i referendum non dovrebbero tenersi ogni anno? Certo, oggi, con i nostri militanti e le nostre strutture, un referendum nazionale assorbe tutta la nostra attenzione: perciò ci avviamo verso i referendum regionali.

"Voi siete assenti dal terreno economico oggi, quando la gente è colpita dalla crisi."

Noi chi? Il radicale è davvero una persona diversa per delibera, per prassi, per coscienza e addirittura per statuto. Se hai una concezione laica del partito, se cioè lo deleghi solo su punti approvati a stragrande maggioranza, se sei per la doppia, tripla tessera, come fai ad avere una struttura di delega approfondita? Ci vorrebbe un parlamento permanente di partito. E' impossibile tecnicamente. Invece per noi il partito è uno strumento, ma solo una cruna d'ago, necessaria, uno dei tanti strumenti necessari a un individuo che voglia costruire la società e realizzare se stesso in modo socialista e libertario. Se il partito è più di una cruna d'ago, non siamo più proudhoniani, ma leninisti e cattolici, che vivono in una società chiusa per costruirne un'altra, ma sempre chiusa.

Il pluralismo su cui avete vissuto per due anni è una tematica risaputa dagli anni '50. Noi abbiamo sempre parlato di unità delle sinistre e di alternativa, noi siamo stati ostili alla linea del patto confederale e io parlerei tranquillamente di Triplice, con tutte le accuse di qualunquismo che mi tiro addosso a livello semantico: però lo è. Per me un sindacato o è democratico e di classe, con uno sbocco politico di classe, perciò con un partito cui deve essere federato, anche statutariamente, oppure è un sindacato corporativista. Oggi l'unità sindacale è nella linea Bottai, nella linea del corporativismo e del solidarismo. Con la visione del partito e del sindacato come due volani politici della lotta, non siamo assenti da questo terreno.

"Molti pensano che l'assenza di problematiche economiche dipenda dalla composizione sociale dei radicali, ceti medio-alti."

E' vero il contrario: nel movimento socialista l'afflato umanistico e libertario è venuto sempre dai ceti popolari, mentre l'ottica economicistica è tipica di una certa borghesia intellettuale e classista. Quanto più la gente è arrabbiata,

combattiva, fa scioperi, tanto più ha bisogno di un cambiamento totale, mentre l'apparato sindacale e di partito tende a economicizzare le rivendicazioni, a evitare che nella fabbrica si scantoni. Il fatto nuovo è che noi rappresentiamo una cultura

socialista popolare, anche col rischio continuo dello sconfinamento messianico. C'è questo rischio, ma noi siamo contro i teorici dell'ingegneria socialista, alla Lombardi.

E poi contesto che noi abbiamo questa struttura sociale. Sono dieci milioni di comunisti che tirano per anni Berlinguer per la giacchetta fino a portarlo al referendum del divorzio, e non il borghese illuminato Berlinguer che con grande fatica

tira questi dieci milioni e alla fine gli fa fare il referendum. La direzione del PCI, fino a 42 giorni prima del referendum, ha cercato di impedirlo ad ogni costo. Abbiamo sempre avuto, tra gli elettori, una percentuale comunista superiore allo spaccato elettorale. A Trieste il nostro voto è un voto d'insediamento comunista: ai cantieri Monfalcone abbiamo preso il quintuplo dei voti di DP e del PDUP.

"Oggi però gran parte dell'opinione pubblica italiana sembra esigere legge e ordine, che lo Stato "sorvegli e punisca": alcune vostre rivendicazioni libertarie possono apparire fuori tempo. Questo problema è collegato all'atteggiamento nei vostri confronti dei mass-media che costituiscono gli amplificatori dell'insicurezza collettiva."

Guarda che anche qui, a Trento, in zone di destra, bianche o nere, la gente ci capisce. Invece è la cultura borghese di merda che ha paura. Il sofisticatissimo Barbato è il portavoce di una cultura piccolo-borghese, frustrata e pericolosa: lui presume che la classe, la gente non vale niente, che l'operaio è coglione e gli interessano solo i soldi, che la gente non ragiona, è esasperata e vuole la pena di morte, mentre la pena di morte la vuole Barbato, non la vuole la gente. La Malfa conosce Beccaria e lo rifiuta, mentre la gente non lo conosce, però se le ripeti il ragionamento di Beccaria per cui il deterrente non è l'entità, ma la certezza della pena, lo capisce subito: condannare a un anno ma subito, invece di condannarlo a morte tra vent'anni o forse mai, rende più tranquilli i cittadini.

In base al pregiudizio per cui l'operaio è immaturo politicamente, si censura il messaggio libertario, che è di ordine e di maggiore efficienza, della concretezza, contro l'utopia squallida della soluzione autoritaria e interclassista: trent'anni hanno mostrato che è un'utopia squallida e perdente. Il grado di fascismo nei nostri confronti non c'è stato nel periodo si sono ampliati i titolari del potere dei mass-media, che hanno per ciò stesso una buona coscienza a buon mercato: rappresentando il 96% diventano più feroci con chi sta fuori, come noi, che diventiamo ebrei, omosessuali, rompiscatole. Guarda `La Repubblica', dove Scalfari alleva solo chi è contro di noi.

"Proprio sul tema della società reale, diversa da come se l'immagina il palazzo, e perciò della democrazia conflittuale, il PSI, già presente sul terreno economico da cui siete assenti, tende a occupare uno spazio crescente."

Guarda, io spero sempre che un altro faccia le cose al mio posto, perché ci sono milioni di battaglie per cui lottare e che io piango di non avere il tempo di impostare. E' come l'intimità, più l'esprimi e più si arricchisce e il suo spazio aumenta. C'è una miniera immensa di lotte per i diritti civili. Il rischio non è che il PSI ci tolga spazio, ma semmai il contrario: si fa il casino su Moro, però poi il PSI non fa nulla al livello istituzionale, nel dibattito parlamentare.

"Ma il PSI è stato sempre un vostro interlocutore privilegiato. Tu stesso ti sei iscritto nel '76."

Credo di essere l'unica persona cui è stata rifiutata la tessera del PSI dal '45 ad oggi. Non è vero che abbiamo avuto un rapporto privilegiato, tranne alcuni mesi con la segreteria di Mancini. Ma la regola effettiva è stata un'estraneità totale: mai ricevuti, mai incontri. Guarda le delegazioni ai congressi. Quest'anno è venuto Accame. Noi vogliamo bene a Falco, davvero, ma i "grandi dirigenti" non vengono. Adelaide Aglietta, segretaria di un partito, ha dovuto supplicare per essere pubblicata dall'Avanti in una lettera. "Mondoperaio" è la prima intervista che mi fa, dopo decenni. Alla settimana dell'alternativa di Firenze hanno invitato tutti tranne noi. Perciò, purtroppo, un rapporto privilegiato non c'è mai stato. Dico purtroppo perché abbiamo sempre ricercato non un privilegio, ma, in prospettiva, la rifondazione del Partito socialista, a partire dal grande ceppo del PSI, certo. Solo che questa rifondazione dovrebbe coinvolgere l'80% dei comunisti, l'80% dei radicali, l'80% dei socialisti. Non è un

vero partito socialista se non è assolutamente maggioritario.

"Una SPD o un Labour Party?"

Il movimento di classe deve avere due espressioni, una è il partito e l'altra è il sindacato. Non il sindacato che dipende dal partito, ma al limite quasi il contrario.

Per noi l'obiettivo è l'unità della sinistra. Negli accordi elettorali abbiamo detto una volta di votare PSI, una volta PSUP, due volte per la sinistra, una volta abbiamo bruciato le schede e una volta ci siamo candidati. Io dico che ci vuole collaborazione. Dovremmo assolutamente prevedere in caso di elezioni, candidature separate alla camera e uniche al senato. Nel '76 avrebbe dato al PSI, aritmeticamente, 11 senatori in più. Però se dobbiamo chiederci chi ci massacra di più, chi è lo strumento di regime, è la TV e il TG2 più del TG1. E i compagni lo notano. "Il Corriere della Sera", dopo la svolta, ci tratta in un trafiletto di sedicesima pagina. Non lo aveva mai fatto. Tutta quest'area attacca i radicali che lo sentono.

 
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