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De Cataldo Franco - 25 novembre 1978
(2) TUTELA DELL'ONORE E MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA
Atti del Convegno giuridico "Informazione Diffamazione Risarcimento" promosso dal Centro di Iniziativa Giuridica Piero Calamandrei (Roma, 24/26 novembre 1978, Hotel Parco dei Principi)

Introduzione

di Franco De Cataldo

SOMMARIO: L'indicazione delle maggiori questioni che saranno approfondite dal Convegno. La diversa gravità del reato di diffamazione rispetto al passato in relazione alla vasta diffusione dei mezzi di comunicazione; la conciliabilità fra libertà d'espressione e tutela dell'onore e della privacy; la funzione lesiva della reputazione che può essere assunto dal silenzio e dalla censura; l'insufficienza delle possibilità risarcitorie previste dall'attuale ordinamento.

(TUTELA DELL'ONORE E MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA, Giangiacomo Feltrinelli Editore, ottobre 1979)

La materia dei reati contro l'onore ebbe dal legislatore del 1930 una sistemazione assai diversa da quella del codice precedente. Il codice Zanardelli, difatti, si occupava della diffamazione e della ingiuria all'art. 393 c.p., sotto il titolo dei delitti contro la persona, e prevedeva, al successivo art. 394, la prova della verità del fatto; il codice Rocco, oltre a dare una diversa nozione dei due delitti di ingiuria e diffamazione, escludeva in via assoluta e senza eccezioni la prova della verità del fatto attribuita alla persona offesa. Solo con il D.L.L. 14 settembre 1944 n. 288, e cioè dopo la caduta del fascismo, venne ripristinata quasi letteralmente la vecchia formulazione dell'art. 394 c.p. Zanardelli. Inoltre, nel codice del 1930, veniva prevista la possibilità di deferire la cognizione del fatto ad un giurì d'onore, concependosi tale deferimento come una tacita rinuncia al diritto di querela o come una remissione tacita.

Il reato di diffamazione, ritenuto dalla relazione ministeriale del 1887 "ancor più grave dell'assassinio", veniva duramente stigmatizzato allorché avveniva mediante atto pubblico o con scritti o disegni divulgati o esposti al pubblico o altro mezzo di pubblicità. "Esso", continua la relazione ministeriale del 1887, "riceve la sua impronta speciale dall'essere l'imputazione divulgata mediante un mezzo rappresentativo del pensiero, come la stampa, il disegno, la pittura, la scultura, l'incisione, la fotografia od arti affini, e quando l'imputazione medesima è resa di pubblica ragione. E' chiaro che da queste forme il fatto acquista sotto ogni rispetto una gravità di gran lunga maggiore. E invero, per il mezzo adoperato, i termini della diffamazione riescono assai più concreti, più precisi e più certi: d'altra parte l'accusa apparisce assai più verosimile quando esce da meditate pagine che quando si manifesta con parole, le quali possono sfuggire nel calore di un discorso: inoltre, consegnata allo scritto, la

denigrazione assume carattere di permanenza: [...] con facilità grandissima, con rapidissimo corso giunge nelle mani e sotto gli occhi di 'tutti'."

La problematica di oggi in tale materia, allorquando il progresso sociale ha consentito di ridurre notevolmente la piaga dell'analfabetismo, e la tecnica ha posto gli uomini in condizione di essere rapidamente informati dalla stampa, dalla radio e dalla televisione di quello che succede nei punti più remoti del mondo, si presenta ancor più viva ed attuale, assumendo aspetti affatto nuovi ed originali, che meritano di essere approfonditi e discussi rispetto a quelli che si originavano allorché la diffamazione si realizzava con la comunicazione orale o scritta ad un numero estremamente limitato di persone, donde il danno che ne derivava era circoscrivibile e non assumeva quasi mai proporzioni preoccupanti per la personalità e l'onorabilità dell'aggredito.

Esiste, poi, il problema fondamentale sancito dall'art. 21 della Costituzione della tutela del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, in relazione alla difesa del diritto individuale alla salvaguardia della propria reputazione. Si apre così, starei per dire naturalmente, il contenzioso, destinato sempre più ad allargarsi e ad acuirsi, tra chi, assumendo esser proprio dovere civico di informare i lettori o gli ascoltatori su tutto quanto possa servire a formarsi un convincimento sopra una persona nota per qualsivoglia ragione, afferma esser doveroso dire di costei tutto quanto si conosce, anche in via riservata, spesso senza neppure controllare adeguatamente la fonte dell'informazione, e coloro i quali si trovano ad essere oggetto della notizia, spesso spiacevole, a volte inesatta, a volte addirittura costruita.

Va ricordato, a questo punto, che la stessa Costituzione della nostra Repubblica, che sancisce, come abbiamo detto, il diritto alla libera manifestazione del pensiero, tutela anche il diritto del cittadino alla propria privacy; basti ricordare gli articoli 14 e 15 della Carta fondamentale. Anche la Convenzione europea del diritto dell'uomo, ratificata in Italia e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848, all'art. 8 sancisce che tutte le persone hanno diritto al rispetto della loro vita privata e familiare, del loro domicilio e della loro corrispondenza. Donde emerge in tutta la sua ampiezza e drammaticità il problema della conciliabilità del diritto dovere alla informazione con il rispetto dei diritti più personali del cittadino.

Fino a che punto, ad esempio, si può scavare nella vita privata di un uomo politico, o di un uomo pubblico in genere, per fornire ai lettori ed agli ascoltatori particolari della stessa che non hanno alcun riferimento con la sua attività pubblica ? E' possibile raccontare indiscrezioni sulla vita privata di un uomo politico, di una persona che comunque sia alla ribalta della notorietà in qualunque campo, al fine di illustrare intiera la personalità del soggetto? E fino a che punto, ad esempio, l'enfatizzazione di avvenimenti realmente accaduti, che riguardano una persona nota, può essere lesiva dell'onore, del decoro o, più genericamente, della reputazione del soggetto? Ed anche, la collocazione su un giornale o nel corso di un notiziario parlato di un fatto che si riferisca in senso negativo ad un soggetto, ad esempio l'inserimento di una notizia in prima pagina piuttosto che in cronaca e viceversa, oppure la comunicazione data alla radio o alla televisione in un'ora di largo ascolto piuttosto che in un'alt

ra o viceversa, quale incidenza possono avere nella deformazione del personaggio indicato? Perfino il silenzio nei confronti di una persona, di un gruppo, di una associazione, di un partito politico, possono avere una efficacia oggettivamente lesiva della reputazione di chi, singolo o consociato, si sia impegnato pubblicamente a svolgere una attività, donde, il silenzio su di essa, equivalendo a disinformazione, può indicare l'inadempienza del soggetto o del gruppo a quanto invece si era pubblicamente impegnato di fare.

Appare, da queste brevi notazioni, come il tema del convegno si presenti di viva attualità. Esso è: "Informazione, diffamazione e risarcimento" e le relazioni e gli interventi previsti si propongono di svilupparlo "funditus" sia "de iure condito" che nella valutazione dei profili di politica legislativa.

Fin dalla relazione introduttiva del professor Conso, che si occuperà proprio della scottante questione della conciliabilità tra la libertà di espressione e la tutela dell'onore nei mezzi di comunicazione di massa, si appalesa intiera la problematica di questo convegno.

Prima di tutto, il rapporto tra la libertà di pensiero e di cronaca, costituzionalmente garantiti, e la tutela della reputazione dei cittadini. Quindi, da un lato il diritto dovere ad informare e ad essere informati, dall'altro la condotta responsabile nella informazione sul personaggio e sul gruppo. In relazione a ciò, va sottolineato anche il problema della tutela della immagine in relazione alla funzione e cioè alla rilevanza sociale del diffamato, la censura di aspetti della personalità e di comportamenti del diffamato come prova dell'"animus diffamandi"; il diritto che ha chi si pretende diffamato ad ottenere la rettifica in forma conveniente ed adeguata.

Ancora, il problema del rispetto della Costituzione che garantisce e forse privilegia il diritto alla libera manifestazione del pensiero con la indiscrezione e la prepotenza degli attuali strumenti di informazione che, valendosi di tecniche, le più diverse e sempre nuove, aggrediscono ogni aspetto della persona umana, dal decoro personale a quello sociale e politico, fino ad intromettersi nella sfera più intimamente privata.

Si dovrà discutere anche delle diverse accezioni del bene leso: dall'onore reale al decoro formale, a quelle forme qualificate di reputazione, quale quella politica, tra le più esposte ad attacchi subdoli e insidiosi.

Argomento di particolare rilevanza, data anche la generale disattenzione fin qui mostrata dalla giurisprudenza, è quello che prende in considerazione come soggetti passivi del reato di diffamazione i partiti politici, così come interessante appare la indagine intorno alle tecniche di deformazione della notizia, che può anche realizzarsi con il silenzio in relazione a iniziative e comportamenti di una persona o di un gruppo con riferimento ad un fatto. E' senz'altro possibile esercitare opera diffamatoria allorché, riferendo la notizia di un avvenimento, ad esempio una seduta della Camera dei deputati, mentre si riportano le tesi esposte dai rappresentanti di tutti i partiti, non si parla affatto del discorso tenuto in quella circostanza dall'esponente di un partito, che non si cita in alcun modo.

Esiste un altro profilo del problema che sarà affrontato da questo convegno, ed è quello rappresentato dal rapporto tra la offesa alla reputazione ed il risarcimento che deriva da tale comportamento antigiuridico.

Nella prassi giudiziaria, il risarcimento è risibile e insufficiente: mai più di qualche centinaio di mille lire per la reputazione offesa, anche crudelmente e soprattutto ingiustamente.

All'aspetto penale e civile, si aggiunge, poi, quello previsto nella legge, ma inattuato, della reintegrazione cavalleresca del giurì d'onore. Questo è il quadro generale da cui muovere. Il risultato che si può trarre da esso è nel senso dell'insufficienza delle possibilità risarcitorie predisposte dall'ordinamento. Che fare, allora? In penale, può proporsi l'estensione della prova della verità? Con riguardo speciale alla stampa, va meglio articolato il problema dei limiti dell'art. 51 c.p., oggi affidati ad invenzioni avventurose (c.d. continenza!) o va creata una disciplina apposita? Esistono forme di risarcimento in forma specifica non canoniche e sono codificabili in una legge di riforma? Sono attuali le ipotesi del giurì d'onore e simili? E, in civile, come rendere il risarcimento realmente satisfattorio? E' possibile ancorare lo stesso a parametri concreti di gravità del danno?

Sono solo alcuni degli aspetti e dei problemi di questo convegno.

Esso, che si presenta altamente qualificato per la indubbia elevatezza dei relatori e dei partecipanti, fornirà un notevole contributo alla loro soluzione, contributo del quale si dovrà tener conto. Con tale convincimento, nell'augurare a tutti buon lavoro, dò la parola al professor Giovanni Conso per la sua relazione generale che ha per tema: "Libertà di espressione e tutela dell'onore nei mezzi di comunicazione di massa."

 
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