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Vattimo Gianni - 8 gennaio 1979
Il referendum anticaccia e la strategia del partito radicale
di Gianni Vattimo

SOMMARIO: Ci sono buone ragioni politiche che hanno portato a proporre questo referendum. Ad ogni apertura annuale della caccia i morti a cui è stato sparato per errore si contano a centinaia, senza contare tutti gli altri incidenti connessi con l'uso delle armi da caccia ed i danni provocati all'agricoltura.

Inoltre c'è un filo conduttore che lega questo referendum agli altri referendum radicali soprattutto quelli sul divorzio e sull'aborto; essi hanno tutti a che fare con il problema della "vita" nei suoi aspetti più immediatamente naturali. La violenza esercitata contro gli animali è infatti lo specchio di tutto un modo di concepire il rapporto uomo-natura che deve essere messo in discussione.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Ottobre-Dicembre 1978, N. 10)

Ancora una volta si dirà - come nel caso del divorzio e dell'aborto - che un "referendum" contro la caccia pretende di mobilitare la gente, e le risorse economiche che occorrono per la sua realizzazione pratica, su problemi di interesse marginale rispetto a questioni più urgenti, più rilevanti per i lavoratori, più strutturalmente significative... E ancora una volta noi speriamo invece che, come nel caso del divorzio e dell'aborto proprio la questione marginale, in quanto questione "di confine" che mette in luce limiti e tabù costitutivi del sistema, produca un sommovimento più ampio, oltrepassando gli schieramenti politici costituiti e obbligandoli a un riaggiustamento che li renda meno estranei ai veri interessi della gente.

Non si tratta però "solo" di un problema di portata generale, di rilievo esclusivamente etico. Ci sono, prima di tutto, buone ragioni politiche per proporre questo "referendum". Ad ogni apertura annuale della caccia i morti sparati per errore si contano a centinaia, almeno; ai quali bisogna aggiungere tutti gli altri tipi di incidenti connessi con l'uso delle armi da caccia (che, detto di passaggio, costituiscono un cospicuo giro d'affari per le fabbriche d'armi, le stesse che esportano un po' dovunque armi da guerra e guerriglia). Oltre ad ammazzare cacciatori e semplici turisti, la caccia danneggia gravemente l'agricoltura: sia in modo diretto, perché le orde dei cacciatori hanno via libera (in base all'art. 842 del C.C.) per entrare nei fondi privati calpestando terreni coltivati; sia in modo indiretto, perché distruggendo gli uccelli insettivori altera l'equilibrio ecologico rendendo necessario un sempre più massiccio uso di insetticidi chimici, le cui tracce si ritrovano poi sempre di più nei prodotti a

gricoli che arrivano sulle nostre tavole... E così via.

Più fondamentali di queste ragioni di interesse immediato - tra le quali quella ecologica è destinata a crescere di importanza, in connessione con la riflessione teorica e la lotta politica per la difesa dell'ambiente, via via che diventa più chiara la portata distruttiva, ormai a livelli cosmici, dello sfruttamento tecnologico della natura - sono le ragioni di ordine etico; quelle, appunto, che possono mettere in moto, in occasione di questo "referendum", un insieme di questioni estremamente generali. C'è un filo conduttore che lega questo referendum sulla caccia agli altri referendum radicali, soprattutto quelli sul divorzio e sull'aborto; il "referendum" della caccia, come quelli sul divorzio e sull'aborto, ha da fare con il problema della "vita" nei suoi aspetti più immediatamente naturali, e mira a modificare il rapporto della vita umana con la natura nel prezzo di una ridivisione della violenza e del dolore. Far corrispondere lo statuto giuridico della vita di coppia allo storico modificarsi dei sentim

enti, regolando la possibilità di divorziare, era certamente un modo di recuperare un rapporto non violento tra strutture formali dell'esistenza sociale e immediatezza naturale. Lo stesso si può dire per l'aborto, parte ogni altra considerazione sulla sua opportunità sociale in relazione all'industria degli aborti clandestini e all'alto numero di morti provocate dalle mammane: poter abortire legalmente significa liberarsi finalmente da una concezione "terroristica" del rapporto con la natura, una concezione secondo cui ad ogni gioia dove corrispondere un peso e una sofferenza, e quanto maggiore è la difficoltà e il peso, tanto più il piacere viene "riscattato", redento dalla sua peccaminosità... La morale che il cristianesimo ha diffuso nella nostra civiltà è la morale di quello che Adorno ha chiamato, generalizzando il termine, l'illuminismo; la morale della lotta contro la natura, dell'imposizione di una razionalità produttiva sempre più astratta che ha rimosso ogni vicinanza con il mondo infraumano e, nel

l'uomo, con tutto ciò che non si conforma strettamente alla ragione calcolante. In questo quadro, la natura si può solo dominare - con la tecnica - o subire, come "legge di natura". E gli animali, insieme a ciò che di "animale" c'è nell'uomo, sono i primi e più clamorosi esempi di questa visione del cosmo che lo considera - ancora secondo le parole di Horkheimer e Adorno - "un immenso territorio di caccia". E' contro questa visione del rapporto tra esistenza umana e natura - oltre che contro "i precisi e documentabili danni" alla vita umana, e all'ambiente che la caccia produce - si muove la proposta di un "referendum" sulla caccia. Il recupero della natura dentro di sé - con l'affermazione di un'etica sessuale non repressiva, con la rivendicazione del diritto alla felicità, con la nuova attenzione ai bisogni del singolo soggetto concreto, al di fuori di ogni pretesa di mediazioni e di distinzioni ideologiche tra ciò che sarebbe "essenziale" e il resto - non può non accompagnarsi alla ricerca di un diverso r

apporto anche con la "natura" esterna. E' un problema che si pone, sotto altri aspetti, per quanto riguarda la questione dell'energia; qui, la scelta dell'energia nucleare sembra configurarsi come l'ultimo e potenzialmente più pericoloso, esito di una strategia di sfruttamento incondizionato della natura, strategia che si svela nella sua violenza profonda nel momento in cui rischia di produrre la distruzione delle condizioni di possibilità della vita (inquinamento atomico dell'ambiente) e, comunque, impone in ogni caso un'accentuazione intollerabile del controllo sociale, secondo la logica descritta da Jungk ne "Lo stato atomico". Il problema della violenza che l'uomo da sempre - ma forse solo da sempre nella "nostra" civiltà - esercita contro gli animali rientra in questo stesso quadro; questa violenza è lo specchio di un certo modo di concepire tutto il rapporto umano-natura; metterla in discussione significa smuovere, con conseguenze che non possiamo prevedere, tutti i problemi connessi con tale rapporto.

In questo senso vivono il "problema animali" i compagni della nuova sinistra che, soli a quanto ne sappiamo, hanno celebrato nelle settimane scorse come una importante vittoria la promulgazione, da parte dell'Unesco, di una carta dei diritti degli animali. I "Realpolitiker" potranno trarre anche da questi argomenti per ironizzare sugli esiti fumosi, misticheggianti, irrazionalistici, individualistici, del velleitarismo sessantottesco. Noi crediamo che questa sensibilità per il problema degli animali sia invece una spia della vitalità del "movimento", del suo saper individuare punti essenziali, questioni nelle quali si svelano i tabù che definiscono la mentalità dominante e che possono diventare momenti rilevanti di una battaglia per modificarla nel suo insieme. Non si può prevedere, per ora, come si collocheranno le forze politiche, i partiti, nei confronti di questa proposta di "referendum"; certamente, all'inizio l'atteggiamento sarà il consueto atteggiamento di fastidio, il rifiuto della questione come i

rrilevante e non urgente. Questa reazione, non che preoccuparci, garantisce non la "purezza" dell'iniziativa, ma certo la sua eterogeneità rispetto alle logiche, evidentemente perdenti negli ultimi tempi, della politica burocratizzata. Rispetto a queste logiche, il referendum per l'abolizione della caccia si propone come un'occasione importante per provocare un salto di qualità, sia pure parziale, nella fisionomia generale della nostra società; e, nella battaglia e nella riflessione a cui darà luogo, come un modo di riempire la politica di contenuti un po' meno squallidamente ideologici di quelli abituali.

 
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