SOMMARIO: Viene qui riportato il dialogo tra Claudio Martelli della direzione del PSI e Massimo Teodori , direttore di "Argomenti Radicali", già pubblicato su "Mondo Operaio".
In questo dibattito fra radicali e socialisti ci si interroga sulle questioni della strategia, delle posizioni e delle battaglie delle due forze. Prende rilievo l'argomento dell'importanza di un leader carismatico come Pannella nel PR.
(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Ottobre-Dicembre 1978, N. 10)
Al di là della polemica legata all'attualità politica, è ripreso da qualche tempo in più sedi il dibattito fra radicali e socialisti per interrogarsi sulle questioni della strategia, delle posizioni e delle battaglie delle due forze. L'editoriale di Massimo Teodori del numero 8/9 di "Argomenti Radicali" ("Dopo la svolta craxiana: radicali e socialisti) è stato ripreso da "l'Avanti" del 17 ottobre 1978. Gianfranco Spadaccia ha ripreso la discussione dalle stesse colonne de "L'Avanti" ("Radicali e socialisti", 30 ottobre 1978), e molte lettere sono pervenute al quotidiano del PSI sull'argomento. Durante il mese di luglio, prendendo lo spunto da un saggio di Angelo Panebianco apparso su "Argomenti Radicali" ("Le risorse della partitocrazia e gli equivoci della partecipazione", "AR" n. 7) il quotidiano socialista apriva un confronto sul tema della "partitocrazia" nel quale intervenivano Federico Mancini (16 luglio), Pietro Barcellona (18 luglio), Massimo Teodori (21 luglio) e Giuliano Amato (23 luglio). Il 23 no
vembre in un'intervista al "Corriere della Sera" dopo le elezioni in Trentino-Alto Adige, Marco Pannella dichiarava: "Sono un testardo: da sempre opero per la rifondazione di un grande partito socialista, laico, libertario autogestionario, e antinucleare; e ho sempre definito il PR come un partito socialista con quegli attributi. Dal '75 propongo liste comuni al Senato e separate alla Camera nel caso in cui continuino a permanere le differenze relative al Concordato, alla politica di disarmo e alla pratica dell'alleanza organica - comunque motivata - con la DC...".
"Mondoperaio" ha messo ora a disposizione le sue pagine per approfondire la discussione: nel fascicolo di novembre 1978 è apparsa un'intervista a Marco Pannella ("La difficoltà di essere diversi", a cura di Marco D'Eramo). Con il dialogo a due voci che segue, il mensile socialista ha preso l'iniziativa di continuare il dibattito invitando Claudio Martelli della direzione del PSI e Massimo Teodori direttore di "Argomenti Radicali". Per gentile concessione di "Mondoperaio" lo riproduciamo qui nella stessa versione ed in contemporanea alla pubblicazione del mensile socialista (gennaio 1979) che ringraziamo per aver permesso di utilizzare il materiale redazionalmente preparato per esso,
di L'iniziativa di "Mondoperaio", che ci auguriamo prosegua, troverà ancora disponibile "Argomenti Radicali" a collaborare sulla via del chiarimento delle rispettive posizioni e proposte, di radicali e di socialisti. Nel frattempo sollecitiamo i compagni interessati ad intervenire.
D'Eramo
Negli anni passati le relazioni tra socialisti e radicali sono state per certi aspetti privilegiate - lo dimostrano alcune consegne di voto date dai radicali, le convergenze sulla lotta per il divorzio - però anche piene di critiche, a volte di incomprensioni.
Nel 1978, due fatti: da un lato il PSI ha intrapreso un nuovo corso, dall'altro i radicali, pur apparentemente in crisi come organizzazione, hanno avuto alcuni risultati positivi con i referendum e le elezioni nel Trentino, in Friuli e in Val d'Aosta. Così i rapporti tra socialisti e radicali si pongono in modo diverso rispetto a due anni fa. Vogliamo fare il punto?
Martelli
"A parer mio non esiste una reale conflittualità politica tra socialisti e radicali. Esiste una diversità di stili, un'esasperazione della concorrenza elettorale.
Circa la disparità nello stile politico: non so se a ragione o a torto, è più facile discutere di Pannella che non del Partito Radicale: è qualcosa di molto concreto, visibile.
Mi piace di Pannella l'umanizzazione della politica, che comporta anche una sua personalizzazione. A me non disturba in questo stile di Pannella, ma credo disturbi molti socialisti, e molti nell'area socialista, è quel suo imbarazzante essere intimo; è quel suo stringere da presso l'interlocutore, ma quasi un volergli bene con aggressività. E' un atteggiamento che suscita perplessità. La gente sente che mentre altri leader politici si contentano di rappresentarla, Pannella vuole sedurla. Da qui l'ossessione per l'accesso alla TV, che è il solo modo per comunicare direttamente con milioni di persone attraverso l'invadente televisione.
Resta il fatto che al fascino di Pannella i più preferiscono ancora il fascino austero delle burocrazie degli altri partiti: il partito più piccolo ha il leader più straripante, che ha un carisma non politico, ma da seduttore. Lo dico senza nessuna ironia: dovendo avere in amico, preferirei sempre, Don Giovanni a Filippo di Spagna. Certo, la cosa si complica se la scelta non è limitata ad una relazione personale, ma si svolge nel pieno della sfera della rappresentanza politica. Da questo stile di Pannella si riproduce con molte variazioni, una differenza nello stile politico nell'atteggiamento psicologico dei militanti e dirigenti del partito radicale".
D'Eramo
Mi sembra che in quel che dice Martelli sia sottinteso un paradosso più grande: il partito che più si batte per il non-partito, per il movimento aperto, per la democrazia diretta, in realtà è il partito più carismatico quindi a leadership più autocratica.
Martelli
"Non volevo fare questa critica di tipo tradizionale. Mi interessava il carattere di questo carisma, diverso da quello degli altri leader politici nei quali, sconfinando nella psicologia della politica, si scopre un ruolo sostitutivo del padre. Invece in Pannella riscopre un ruolo sostitutivo del seduttore, Pannella stesso nell'intervista a "Mondoperaio", ti dice che la battaglia politica "è come l'intimità più la esprimi e più si arricchisce e il suo spazio aumenta".
In questo sta una novità importante: è come se ne a politica erompesse una sfera di bisogni rimossi che hanno attinenza anche con la sfera sessuale dell'individuo. Questo è importante, perché ha anche in sé un elemento di liberazione; però ha un elemento di disturbo: nei confronti delle relazioni spersonalizzate della società, attraverso questa chiave così personale di far politica si può raggiungere solo una penetrazione molto limitata".
Teodori
"Per chiarire la questione della concorrenza posta da Martelli, anche se l'interesse del Partito Socialista verso i radicali si è rinnovato solo dopo alcuni successi - i referendum prima e le elezioni parziali nelle regioni di confine poi -, bisogna considerare che il "nuovo" partito Radicale nasce su due scelte fondamentali fatte all'inizio degli anni '60.
La prima è il rifiuto del centro sinistra, il rifiuto della possibilità di una qualsiasi azione di trasformazione della società italiana in collaborazione con la Democrazia Cristiana.
Questa scelta sottintendeva il rifiuto dell'ottimismo tecnocratico del benessere dell'inizio degli anni '60, sulla cui onda nacque il centro-sinistra, che si traduceva nella filosofia della trasformazione attraverso la stanza dei bottoni. Si trattò per noi radicali di una scelta solitaria molto dura, che ha dovuto procedere sottoterra per oltre una decennio, con una forte carica di soggettività per resistere all'isolamento ed ai pericoli connessi con il piccolo gruppo. Una seconda scelta fondamentale ha marcato l'attitudine radicale rappresentando il punto di unità, quando si è realizzata, o di conflittualità, quando c'è stata, con i socialisti. E' stata quella di ritenere che, sotto la spinta, non solo della Democrazia Cristiana, ma anche delle correnti maggioritarie del mondo politico e sindacale, la società diventava sempre più a struttura corporativa; e che di conseguenza una politica di lotta al corporativismo dovesse passare attraverso i diritti civili, cioè attraverso una politica che desse ai cittadi
ni la possibilità di essere soggetti politici di trasformazione al di là dei loro accorpamenti in partiti, in sindacati, in corpi comunque organizzati.
Quando gran parte del mondo politico italiano, e in particolare il partito Socialista per quel che riguarda il nostro discorso, riteneva che le battaglie radicali fossero sì positive ma rappresentassero solo fatti da sommare magari senza troppa importanza; alle grandi visioni sistematiche di trasformazione (tutte fallite), in realtà sottovalutava l'analisi e la strategia che c'erano sotto le singole battaglie su cui di volta in volta la pattuglia radicale si orientava".
D'Eramo
Teodori, sotto la tua critica al Partito Socialista, di contributo alla corporativizzazione della società italiana non è chiaro se alludi alla Vostra frequente accusa della "doppia anima socialista", "ministeriale e libertaria", oppure se pensi che la divergenza di analisi dipendesse da un errore di valutazione, da un'"ingenuità" dei soli dirigenti socialisti, o se ritieni che fosse inscritta in una necessità storica in una tradizione, in una base sociale.
Teodori
"No. Quando ho parlato del processo di corporativizzazione della società italiana, non mi riferivo in maniera specifica al Partito Socialista, anche se esso vi si è certamente trovato mischiato. Parlo di una tendenza più generale, più profondamente dominata dalle forze maggiori. Quanto alle scelte socialiste, credo ci sia stata non già un'ingenuità, ma una diversità di valutazione: il non aver compreso appieno il valore dirompente di una politica anti-corporativa, di diritti civili. Se tentiamo di capire le nostre vicende dal 1968-69 in poi si deve osservare che mentre i vertici socialisti, salvo qualche eccezione, sono stati abbastanza sordi e indifferenti al tipo di proposte che i radicali andavano facendo a tutta la sinistra e al mondo laico, invece le lotte radicali hanno trovato i militanti, gli elettori, molto spesso anche i quadri socialisti attenti e partecipi.
Mi pareva importante partire da questi punti di riferimento per analizzare se c'è, come diceva Martelli concorrenza tra Partito Socialista e Partito Radicale. Personalmente ritengo che conflittualità politica ci sia, ma limitatamente alle scelte divaricate da quelle radicali che di volta in volta il PSI fa su questo o quel terreno; e che invece non ci sia quando le singole scelte si orientano, diciamo, in direzione opposta alla società corporata.
Come ho già scritto in "Argomenti Radicali" il nuovo corso socialista ha certamente reintrodotto un elemento di conflitto nella vita politica italiana. Ancora a primavera poteva sembrare che il regime a mezzadria PCI-DC, andasse consolidandosi con tratti autoritari.
Il nuovo corso, socialista, dall'affare Moro in poi, ha contribuito ad invertire la tendenza. In queste condizioni la conflittualità politica tra radicali e socialisti scema molto, mentre tende ad aumentare di nuovo quando la volontà conflittuale socialista di rompere i tratti di regime dominati da DC e PCI non si concretano in azioni specifiche, in posizioni conseguenti e non ha la forza per venir fuori.
Passiamo alla concorrenza elettorale. Su questo terreno, interesse reciproco dei radicali e di socialisti è non già di strapparsi brandelli marginali di spazio elettorale, quanto di allargare l'intera area socialista, laica, libertaria. Mi pare che le analisi, o almeno le ambizioni e le aspirazioni reciproche, corrono in parallelo nel ritenere che in questo paese le sorti stesse della democrazia sono intimamente legate alla ricostruzione di una forza politica ed elettorale che non lasci al partito comunista l'egemonia sulla sinistra e sulle forze di rinnovamento, ma che allarghi lo spazio socialista e libertario e quindi possa assicurare allo democrazia italiana quella dialettica di diversi (alternanza alternativa) che fino ad oggi non è stato possibile e per ragioni obiettive di rapporti di forza e per fattori soggettivi di scelte politiche.
Un ultimo elemento: Pannella. Certo, ingombrante per tutta la scena politico italiana. Ma, nella storia italiana del dopoguerra, il Partito Radicale è stato lo prima ed unica forza che non derivi da scissione, da un frammento di partito tradizionale, che si è sviluppata ed è riuscita a sfondare la soglia dell'accesso al Parlamento.
E' chiaro che una personalità molto forte, politicamente assai attrezzata per ragioni storiche e personali, come quella di Pannella, ho avuto il suo peso nel portare questo piccolo gruppo a diventare un fatto che ormai va molto al di là delle vicende soggettive di una persona o di una pattuglia, ma riguarda fasce abbastanza larghe di cittadini. Quindi la valorizzazione di Pannella è dovuto anche ad una condizione di isolamento e in qualche momento di assedio del gruppo radicale che ha dovuto ad un certo punto usare magari proprio delle attitudini delle pannelliane per venire fuori.
Del resto in tutta la politica, ormai si riscontra un processo di personalizzazione dello scontro. Qualcuno la chiama "americanizzazione" mentre si tratta di un fenomeno molto più generale e, se possibile, obiettivo: basta osservare il caso francese in cui, la rinascita del Partito Socialista non sarebbe avvenuta se non avesse giocato un ruolo carismatico il federatore Mitterrand. Come cento anni fa lo sviluppo della democrazia era strettamente intrecciato con la battaglia dell'istruzione generalizzata, così oggi esso è intrecciato con l'uso dei mezzi di comunicazione di massa; e ciò sicuramente esalta le singole personalità a scapito del corpo politico.
Non fermiamoci alla superficie: il "fenomeno Pannella" non sarebbe esistito se intorno a Pannella non ci fosse stata una politica e un gruppo radicale che gli avesse permesso di esplicare al meglio le sue capacità così come la possibilità di resistere ed emergere nella forza radicale, dopo un lungo periodo sotterraneo sarebbe stata più difficile senza una personalità come Pannella. Ormai però la politica radicale trascende di molto e Pannella e - se così si può dire - lo stesso Partito Radicale".
D'Eramo
L'obiezione di Martelli non era rivolta tanto al fenomeno Pannella in sé, quando ad uno stile politico radicale che Martelli criticava perché ha una penetrazione, un'efficacia politica limitata a certi aspetti, quelli raggiungibili attraverso l'uso dei mass media o attraverso, come hai detto tu, lo "show business" politico.
Teodori
"Non ho parlato di "show business" ma dell'intreccio stretto tra democrazia e informazione, così come un secolo fa c'era tra democrazia e istruzione. Quanto poi all'efficacia politica limitata, direi che la tendenza è di segno opposto: mentre la politica fondata sull'insediamento sociale di natura più o meno permanente o burocratica tende oggi a perdere efficacia - è la lezione dell'ultimo anno -, al contrario una politica che tenta di parlare direttamente al cittadino o all'uomo in quanto tale, rileva oggi una efficacia molto maggiore nel sommuovere coscienze, intelletti e interessi".
Martelli
"Io sono molto più pessimista. Mi piacerebbe che le cose fossero come dice Teodori, anche solo tendenzialmente.
La mia impressione invece è che, con tutte le sfaccettature dell'ultimo trentennio, dall'economicismo di La Malfa, all'atlantismo di Saragat, alle diverse anime e diversi tentativi socialisti, al democraticismo radicale, la sinistra democratica, pur avendo gettato nella lotta politica grandi idealità e grandi temi, abbia un rapporto bassissimo con il consenso ottenuto. Viceversa, partiti come la DC e il PCI che, senza sminuire in modo infantile la loro funzione, hanno consumato e bruciato meno idee, meno iniziative politiche nel corso del trentennio, hanno un rapporto in termini di consenso, elettorale e politico, due o tre volte superiore all'insieme della sinistra democratica così connotata.
Allora la questione dell'insediamento sociale, dell'irrubustimento organizzativo, non può essere saltata se l'obiettivo è non solo di animare una società governata da altri, ma di arrivare a sostituire questi altri nella guida della società.
Temo che noi siamo ancora in grande ritardo. Noi socialisti, perché a noi incombe poi la responsabilità maggiore. Ma un ritardo lo avverto anche nei radicali; un ritardo forse ormai insuperabile c'è per il Partito Repubblicano e forse per il Partito socialdemocratico nel riuscire a dar vita ad insediamenti sociali e ad una organizzazione centrale e periferica dei propri militanti e ad un rapporto con la società nel suo insieme, che sia materialmente competitivo con quello che hanno stabilito i democristiani e i comunisti. Anche se disponessimo di molto più spazio per il messaggio politico alla TV o sulla grande stampa, non mi illuderei sui risultati se questo spazio non è accompagnato dall'invenzione, creazione, diffusione, di forme di insediamento sociale di un rapporto organizzato tra i militanti e gli elettori. Anche perché il costo umano, psicologico, energetico che viene dal moltiplicatore l'iniziativa politica a scapito della sua diffusione per grandi linee, è elevatissimo e non può essere sopportato a
lungo da nessuna generazione politica.
Così, se il partito radicale, in linea assolutamente ipotetica, avesse il 10 per cento dei suffragi, si troverebbe nella condizione di noi socialisti di dover affrontare contemporaneamente il problema della governabilità del paese e il problema della propria identità e quindi del cambiamento.
E' vero che a partire dalla metà degli anno '60, quando si è reso manifesto il declino del centro sinistra, è prevalso nel partito socialista il problema della governabilità del paese rispetto al problema dell'identità e del cambiamento. Ne è derivato un offuscamento dell'autorità socialista, una doppia subalternità pagata nel governo alla democrazia cristiana e nell'insediamento sociale al partito comunista. E' logico quindi che in quella fase si sia venuta accentuando l'identità dei radicali rispetto ai socialisti. E per fortuna, perché oggi, quest'identità separata ci consente un dialogo diverso dal passato. La posizione dei radicali rispetto ai socialisti non è quella che hanno i leninisti-stalinisti rispetto al partito comunista, o gli integralisti cattolici rispetto alla democrazia cristiana, non è il rapporto dell'anima separata rispetto ad un corpo che è andato alla deriva o che è costretto a compromessi e mediazioni continuate.
C'è un partito socialista che tende al recupero di filoni smarriti della propria storia tra i quali c'è Proudhon, certamente, ma c'è Turati, Rosselli, il socialismo filantropico, umanitario, fabiano, il socialismo cristiano, il solidarismo cristiano in senso stretto; c'è un rapporto con il Mondo sindacale non più di tipo morandiano; c'è un rapporto con la società civile, con i giovani, i ceti medi, le donne, non più come una rassegna di problemi accanto alla zootecnia e accanto ai problemi monetari, ma come problema dell'identità del partito stesso. Questo consente un rapporto diverso con i radicali. Però c'è anche il rischio di una conflittualità maggiore se noi non dominiamo il problema nella sua intera dimensione. Non so se la formula dello società corporata è la più efficace, o la più sinteticamente descrittiva. Mi pare di vedere una società in cui sono presenti, attive o morte, stratificazioni di potere di gruppi sociali, non tutte riconducibili all'idea della società corporativa: vi è lo stato burocrat
ico, vi è, molto forte, anche se circondata, la grande industria privata, vi è un dinamismo non trascurabile della piccola e media impresa, una crisi verticale del mondo agricolo, del mezzogiorno.
Il compromesso storico tenta una difesa dell'esistente in un intreccio a basso livello di tutti questi diversi elementi della società, affidando ad un'altissima discrezionalità del potere politico la mediazione e la composizione degli interessi. Cosicché si profilano due pericoli: la soluzione clientelare di tipo democratico e la soluzione potenzialmente autoritaria di tipo leninista.
E' vero che il tema dei diritti civili attraversa la strada di questa mediazione, sia nella sua forma clientelare, sia nella sua forma autoritaria. Il tema dei diritti civili non è affatto sovrastrutturale ma è in senso marxiano radicale, cioè va alle radici dei rapporti tra le persone e le leggi, e quindi introduce ciò che a parer mio, anche sotto un profilo sociale, più manca alla società italiana: un principio di eguaglianza. Ciò per cui il sindacato si è battuto in misura limitata e comunque contraddittoria nonostante singole generose iniziative - penso alla lotta per le gabbie salariali -, i diritti civili ce lo hanno fatto toccare con mano, e cioè che esiste una sfera dell'uguaglianza molto sentita dalla gente e molto trascurata dall'azione parlamentare dei partiti.
Ma i tempi sono stretti; una certa versione del compromesso storico, nel senso di accordo diretto tra democristiani e comunisti, è probabilmente tramontata. Nel paese appare un riflusso, non saprei se definire di tipo moderato, ma certo una delusione del 20 giugno.
La Democrazia cristiana sembra proporsi di cavalcare questo riflusso e di mantenere finché è possibile il rapporto con il partito comunista nei termini del confronto. Sembra d'intravedere un Congresso della DC in cui tutti confermeranno la linea di confronto; magari vi sarà una vittoria organizzativa dei settori più moderati che gestiranno la linea politica dei settori più di "sinistra". Sull'altro versante sembra di assistere a un rinculo ideologico del PCI, e però, anche qui, od una conferma dell'indispensabilità di un rapporto privilegiato con la DC. In sostanza, negli orientamenti dominanti dei due maggiori partiti in visto dei rispettivi congressi sembra esserci la questione non dichiarata, apparentemente più negoziata e conflittuale, del grande compromesso, della grande coalizione.
Ebbene, rispetto a questo che fa la sinistra democratica? Lasciamo andare una diaspora improduttiva, poniamoci il problema della ricerca di denominatori politici ed azioni comuni tra radicali, gruppi della sinistra extra-parlamentare, socialisti, socialdemocratici. Poniamo il problema, non so se prima o dopo le elezioni europee o le elezioni politiche, se queste dovessero accavallarsi, di un qualche appuntamento.
Bisogna accelerare i tempi di questa riflessione comune e superare tutti gli elementi di ritardo che da più parti sono ancora molto attivi, disposti per quel che riguardo i nostri ritardi, a fare ammenda o a metterli più alla luce del sole, e sembra porre condizioni".
D'Eramo
Cosa intendi per ritardi?
Martelli
"Un ritardo socialista è evidente sulla scelta nucleare, ma per la doppia esigenza d'identità e di governabilità di cui ho parlato. La governabilità del paese si traduce nel problema di quale sviluppo sia possibile in termini economici. Da qui deriva la corrente nuclearista. Sull'altro versante, dell'identità del partito e del cambiamento, sorge la corrente ecologica. Entrambe sono ancora abbastanza silenziose, ma esistono.
Un ritardo maggiore vi è nella nostra organizzazione. Non è vero quel che si dice da porte comunista - e spiace che Pannella nell'intervista a "Mondoperario" abbia sposato questa tesi - cioè che l'organizzazione socialista è uno somma di centralismi democratici o di leninismi delle diverse correnti. Intanto perché, se fosse vero, non sarebbe più un centralismo democratico: se non altro si deve arrivare ad un compromesso tra le correnti. Semmai il nostro ritardo è nella difficoltà di trovare un'organizzazione aperta, e tuttavia un'organizzazione per un partito che non ha l'11 per cento dei consensi, ma che ne ha il 10, con una lunga tradizione alle spalle, che comunque è radicato nel movimento sindacale e nelle amministrazioni locali. Torno a quel che dicevo prima: sarebbe un grande errore pensare di aggirare il tema dell'insediamento sociale dell'organizzazione, più o meno aperta, più o meno federale, più o meno fondata sulle primarie.
Le elezioni in Friuli, Trentino, Val d'Aosta stanno a segnalare la nostra difficoltà a rappresentare il nuovo dopo aver innescato agenti innovativi. Per esempio, abbiamo un progetto per le autonomie locali di gran lunga il più avanzato che sia stato presentato nel Parlamento e che si intitola "La Repubblica delle autonomie". Poi però non riusciamo a rappresentare le spinte autonomistiche, e vediamo che si orientano verso altre formazioni politiche".
D'Eramo
Martelli, non è chiaro come collochi questi risultati elettorali del 1978 nel tuo discorso sullo Stato burocratico, sulla presenza della grande e piccola impresa, sulla crisi verticale dell'agricoltura e sul tramonto di questa fase del compromesso storico.
Martelli
"Negli anni che abbiamo alle spalle, mi pare si sia tentata una grande operazione di compromesso sociale, poggiante su un accordo tra il capitalismo finanziario internazionalizzato di alcune grandi fabbriche e il grande sindacato operaio, mediato dal potere politico democratico e sostenuto dal potere politico del PCI. Il più autorevole o più scatenato apologeta di questo tentativo è stato Eugenio Scalfari. La verità è che l'accordo, per semplificare, Confindustria CGIL è una camicia troppo stretta per questa società. Il che non significa che ciò che è fuori da quest'abito sia tutto giusto e buono, ma certo c'è troppo fuori perché quest'accordo sia in grado di assicurare un quadro politico e un equilibrio sociale sufficientemente rappresentativi. Tiene fuori la piccola e media industria, tiene fuori il mondo dell'agricoltura, non è in grado di affrontare in modo nuovo il problema del Mezzogiorno. Proprio rispetto a quest'accordo tra grandi aristocrazie, si sviluppano il nuovo partito socialista, le tendenze r
adicali, le tendenze al rinnovamento anche all'interno della DC e del partito comunista, e i fenomeni sociali come le riviste degli emarginati, degli studenti. Immaginiamo cosa può succedere con SME e Piano Pandolfi nel mezzogiorno d'Italia sul terreno della conflittualità sociale nei prossimi mesi.
Quindi è indispensabile tenere conto dei vari fenomeni periferici segnalati dall'insorgenza di spinte antistatali nel Friuli, nel Trentino nella Valle d'Aosta".
D'Eramo
A proposito delle proteste antistatali, a me sembra che mentre è stato accuratamente descritto il totalitarismo dei socialismi reali, l'analisi delle tendenze autoritarie delle società industriali avanzate sia solo all'inizio. Le elezioni dello scorso anno sembrano indicare, oltre alle spinte centrifughe, anche un'insofferenza per l'autoritarismo implicito della civiltà industriale.
Martelli
"Tutte le società industriali, quale che sia il loro colore politico, manifestano tendenze alla burocratizzazione: in URSS, come in Svezia, come negli USA c'è una dilatazione burocratica dell'intervento dello Stato nella vita dei cittadini. Ma noi siamo ad un livello precedente, perché altrove questa dilatazione burocratica garantisce almeno la grandissima maggioranza sotto il profilo dell'organizzazione della vita civile, dai trasporti, ai telefoni, alle poste, al sistema sanitario, pensionistico, scolastico.
Invece in Italia una dose d'inefficienza impressionante si abbina con un'esplosione in termini sociali di vaste masse di popolazione. Quindi, rispetto alle altre democrazie industriali, da noi il problema è complicato dal ritardo del sindacato e delle forze politiche, con responsabilità poi più dirette della DC per il modo in cui ha governato il paese, per esempio nella totale assenza di una politica estera rivelata in modo vistoso dal dibattito sul sistema monetario europeo, con oscillazioni di posizione, con un'incapacità di tutelare gli interessi economici nazionali, mascherata da una grande ipocrisia retorica sulla scelta europeistica. Questo non è trascurabile, perché un paese senza politica estera, di relazione e di cooperazione internazionale multidirezionale, innanzitutto verso l'Europa, ma poi anche verso i paesi in via di sviluppo, è probabilmente alla deriva anche sul piano economico.
In questo c'è un'enorme responsabilità di quello stesso cerchio magico che - con nostre responsabilità e anche incomprensioni politiche - ha governato il paese, e cioè l'accordo, conflittuale, ma tuttavia dominante tra Confindustria e grande sindacato operaio".
D'Eramo
Teodori mi sembra che Martelli abbia espresso tre divergenze. La prima è il suo pessimismo sul declino della funzione dell'insediamento sociale...
Martelli
"Una piccolissima spiegazione su questo punto. La forza socialista può lievitare di qualche punto elettorale, il partito radicale può ingrossare le sue fila, magari i socialdemocratici e i repubblicani possono tenere, il PCI e la DC possono perdere qualche punto, ma tutto questo è ben lontano dal configurare un'alternativa in termini politici e democratici realmente praticabili".
D'Eramo
Questo ci riallaccia alla tua seconda critica all'impostazione di Teodori: il partito socialista si deve porre due problemi quello della propria identità e quello della governabilità, mentre implicitamente tu sostieni che spesso i radicali non tengono conto di quest'esigenza. Il terzo punto mi sembra sia quello dell'analisi della situazione italiana. Vorrei sapere se voi radicali siete d'accordo con quest'immagine del compromesso storico, e quindi con la necessità di azioni comuni, di accordi, di appuntamenti.
Teodori
Vorrei partire dal problema della governabilità. C'è un famoso rapporto della Trilaterale", »The crisis of democracy , "sui paesi occidentali.
Secondo questo rapporto crescono i conflitti, le domande, le aspettative: la società industriale è ingovernabile. E allora il rapporto indica la strada della restrizione della democrazia per guadagnare in governabilità ed efficacia.
Nei prossimi anni, in tutti i paesi sviluppati, credo che le forze di sinistra si troveranno sicuramente di fronte alla scelta: da una parte più democrazia o, dall'altra, una supposta maggiore governabilità con restrizione della democrazia. Una scelta socialista e libertaria di principio a mio avviso si deve orientare verso l'unica maniera per governare davvero le società sviluppate: dare cioè voce e corpo alle spinte, alle autonomie della società e, proprio per evitare le rotture, le patologie, nel tentare di trovare gli strumenti istituzionali attraverso cui una parte di queste spinte vengano tradotte nelle istituzioni, nel mutamento di leggi, del sistema della convivenza sociale ed economica.
Dall'altra parte c'è una scelta altrettanto legittima, e forse anche più forte nelle cose, quella di ingabbiare, attraverso strumenti più o meno tecnocratici, la pluralità dei conflitti che sempre più verranno fuori per la crescita delle aspettative e delle spinte della società civile. Ecco che allora alla contraddizione in cui si trova il PSI, tra il problema di identità come una forza che agisce per il cambiamento e il problema di una presunta governabilità, deve essere data una risposta che vada nella logica del cambiamento che abbandoni la logica che ha dominato il sistema politico italiano, quella per cui gli interessi vanno continuamente ipermediati in un quadro in cui devono essere tutti ricomposti. Accettare o rifiutare la filosofia rodaniana della società organica che è produttrice per reazione della violenza e del terrorismo come unica disperata via d'uscita.
C'è un momento in cui occorre arrestare questa composizione e ricomposizione di interessi, che è stata poi la sostanza vera del compromesso, un compromesso antico in Italia, anche con il PCI, che ha trovato le sue forze più manifeste e più esplicite negli ultimi anni, ma che in realtà viene da lontano, dalla svolta di Salerno e dall'articolo 7, solo per evocare un riferimento. Fermarsi nella mediazione e dare voce ai conflitti significa tagliare da qualche parte e, in una certa misura, rompere gli schemi, le incrostazioni della società corporata. E' sempre stato al centro del patrimonio radicale il valore del conflitto e dello scontro rispetto alle visioni delle mediazioni, siano esse corporative od organicistiche. E' l'alternativa di una visione libertaria di fronte a una concezione socialdemocratica, e oggi tendenzialmente socialtecnocratica, in cui sfocia un certo tipo di pensiero riformatore, cresciuto a ridosso dell'espansione delle funzioni dello Stato, pur rappresentato da importanti tradizioni come q
uelle socialdemocratiche dell'Europa centrale e settentrionale, ormai tuttavia anch'esse in crisi.
A noi sembra che il rapporto tra forza politica e società - la questione del partito non possa più passare esclusivamente attraverso l'insediamento permanente, organizzativo, cellulare, fondato sul modello del primato dell'organizzazione in fabbrica, cioè solo del cittadino considerato come lavoratore. Il tentativo è di costruire una forza politica - realmente alternativa al modello leninista e socialburocratico - che laicamente non cerchi di essere totalizzante e non voglia contenere in sé tutte le risposte a tutti i problemi: il rifiuto cioè di una forza che inquadri in un sistema meno rigido i militanti del mutamento socialista unificandoli apparentemente sull'ideologia ma praticamente sulla tutela di una somma magari contraddittoria di interessi.
Dobbiamo tentare di inventare il nuovo partito con un delimitato asse centrale di lotte e proposte comuni, intorno a cui possano di volta in volta riconoscersi centinaia di migliaia o milioni di lavoratori e cittadini su specifiche lotte di libertà e di liberazione sociale: un partito che chieda ed ottenga il consenso per quello che propone e che sa fare e non perché il suo intreccio con lo Stato gli assicura una possibilità di offrire ai suoi aderenti spazi di occupazione della società. Dobbiamo imparare a distinguere l'azione dei movimenti come azione di contestazione e l'azione nelle istituzioni come azioni di riforma. Dobbiamo fare in modo che deperisca quel "Club dei partiti" oggi giustamente percepito come un qualcosa di opprimente. Dobbiamo deprofessionalizzare la politica e togliergli quel carattere di cappa di piombo che un numero sempre maggiore di cittadini avverte. Questo, mi pare, è il compito di socialisti che non abbiamo fatto della "gestione" il proprio mestiere.
Se in questi ultimi mesi il PSI si è interrogato sul fatto che ad un certo suo cambiamento d'immagine, che sicuramente c'è stato, non ha corrisposto un successo di consenso popolare, credo che si debba cercare la risposta nel suo modo di essere partito. E' ancora assai forte la contraddizione che percorre il PSI. Infatti, da una parte esso trasmette segni contro la maniera tradizionale di far politica o di stare sopra la società, per cui si percepisce che la parte più sensibile della sua classe dirigente vuole essere meno il partito dell'occupazione della società e più il partito del movimento, e avverte l'errore di essere partito che partecipa alla grande spartizione compromissoria, per cui tutte le decisioni, in qualsiasi area devono passare attraverso gli stretti canali e dei vertici partitici. Ma dall'altra parte, certi comportamenti continueranno ad essere quelli tradizionali, quelli avvertiti da una parte dell'opinione pubblica come facenti parte della vecchio politica di occupazione della società.
Noi crediamo, come radicali, di non aver dato ad un nuovo partito, perché questo sarebbe presuntuoso e non vero, ma certamente abbiamo avuto alcune intuizioni, verificate in questi anni, non con l'enunciazione, ma con la sperimentazione, che riguardano: 1) un partito che non pretende di rispondere su tutto; 2) un partito il quale tenta di avere rapporti con movimenti o comportamenti di massa, non già annettendoseli e creando organizzazioni di massa collaterali, ma lasciando da una parte l'autonomia nel conflitto sociale e dall'altra portando nelle istituzioni un piccolo segmento traducibile in mutamento istituzionale; 3) un partito che tento, quanto più possibile, di spezzare i dati di permanenza e burocratizzazione al proprio interno, attraverso una maniera di stare insieme, una serie di pratiche di cui non ultima, anche se sembra un espediente, la rotazione parlamentare; 4) una maniera laica di trovare unità nella battaglie, che non pretende mai verifiche a priori, su patrimoni ideologici, da visioni teori
che e sistematiche, ma dall'adesione a specifici obiettivi.
Credo che questo è stato intuitivamente avvertito come una risposta che va nella direzione giusta, di laicizzazione della politica, per cui sempre meno si sente la necessità di una lealtà permanente ai partiti alle organizzazioni tradizionali. Lo dimostra la tendenza verificata in risultati elettorali di questi anni: primo la differenza fra partiti dello schieramento divorzista e voto del divorzio tra il 1972 e il 1974; poi lo spostamento o sinistra nel '75-'76, che in quel momento è andato verso il PCI; da ultimo i referendum del giugno '78 degli ulteriori spostamenti nelle elezioni delle regioni di confine".
Martelli
"Che i partiti debbano arrivare ad una funzione più rappresentativa e rinunciare ad una funzione egemonica nei confronti della società, su questo punto sono d'accordo, così come sono d'accordo sul fatto che uno dei prezzi da pagare è una deprofessionalizzazione della lotta politica; il che implica un ricambio frequente, nel caso nostro forse non dei mandati parlamentari, ma per esempio un congresso all'anno; già sarebbe una garanzia di ricambio.
Sulla seconda questione: se la sinistra si trovasse di fronte al problema più democrazia o più governo, la scelta suggerita da Teodori è che sia più democrazia. Noi, addirittura, abbiamo posto nel nostro progetto socialista l'idea della democrazia conflittuale. Più democrazia, a condizione che significhi però ritrovare un fondamento etico nella lotta politica, perché non si può pensare che più conflittualità debba per forza significare più inefficienza, più confusione. Ritrovare un fondamento etico della lotta politica, un accordo sostanziale sulle regole del gioco, all'interno dei partiti e tra i partiti, è inseparabile dalla rivendicazione di più democrazia per affrontare la crisi e per uscire dalla crisi di rappresentanza politica.
Debbo rispondere alla critica di ambiguità del PSI, dopo il congresso di Torino, interrogante se stesso tra più governabilità o più cambiamento. Se si guardano gli atti concreti, dal caso Moro al referendum, alla battaglia sulla presidenza della repubblica, al dibattito ideologico, alle amministrazioni locali, all'informazione, a come il nostro partito vota, 80-85 casi su 100, nel Parlamento, astenendosi o in contrasto con le proposte o della maggioranza o del governo, mi pare difficile segnalare un atteggiamento preoccupato solo dalla governabilità. Semmai, l'accusa più frequente è di essere destabilizzatori. E non si può trascurare l'efficacia di tali accuse quando è in gioco il consenso di vaste masse. Altrimenti il rischio è di essere centrifugati dal cuore della lotta politica e di assolvere allora anche noi, chissà però verso chi, la stessa funzione che i radicali possono avere assolto verso di noi".
D'Eramo
Vorrei riprendere l'intervento di Teodori e citare quel che ha scritto Giuliano Amato su "Panorama": sembra che, come il PSI fa le lezioni al PCI, così i radicali le fanno ai socialisti. Ora, a proposito della visione laica del partito, Martelli ha obiettato facendo notare che PCI e DC, partiti d'insediamento e non di movimento godono tuttora di un grande consenso. Vorrei quindi che Teodori, si pronunciasse su questo problema. Inoltre, sull'alternativa tra governabilità e democrazia mi pare che tu, Teodori, abbia confuso tra governabilità ed autoritarismo. Mi sembra infine che mentre Martelli si è mantenuto sul terreno congiunturale, del medio termine, tu Teodori abbia spaziato in una prospettiva storica. Anche qui si potrebbe applicare ai radicali una critica rivolta dal PCI ai socialisti, che voi tracciate un'utopia per il 2500.
Teodori
"Utopia degli anni 2000: partiamo da questo spunto per dire che semmai l'ammaestramento radicale è proprio di non fare progetti per il futuro ma di parlare attraverso esempi di oggi. Questa nostra prassi, di lavorare sul singolo punto con un'intensità giudicata a volte spasmodica o nevrotica, ci viene costantemente rimproverata, ci si considera una forza protestataria, non progettuale, non positiva, che non costruisce. Ma se una forza come quella socialista, più forte, capace di raggiungere e mobilitare più ampi strati di cittadini, individuasse momenti cruciali, su cui far esplodere il conflitto mutamento-conservazione, tra rinnovamento e status quo credo che otterrebbe risultati migliori; credo - soprattutto - che farebbe certamente più "governo" di quanto non ne faccia nel continuo e logorante gioco dell'immobilismo che, in nome della "governabilità", uccide il governo".
Martelli
"E' vero, è necessario un ritorno alle origini. Nascemmo come partito delle leghe, dei ferrovieri, delle donne, degli artigiani. Così è nato questo partito. E' giusto pensare al suo futuro nella chiave di un ritorno alle origini, ad un ruolo più rappresentativo, federativo, associativo e quindi con una flessibilità, un'apertura molto maggiore di quanto ha rivelato attraverso la sovrapposizione di due modelli, quello leninista, poi quello clientelare della DC.
Detto questo, rimane il problema dell'insediamento sociale che non si risolve con le battaglie giuste e sacrosante volta per volta - guai se un partito ha solo un progetto, e non sa combattere, e non sa combattere per le buone cause sociali, civili. Ma non può essere aggirato il problema della durata, dell'allargamento della rappresentanza, della governabilità subìto del paese e di come arrivare all'alternativa di governo.
Altrimenti, se assumessimo interamente l'ottica radicale, ci porteremmo in una posizione che è quella dei radicali verso il PSI, e mi chiedo "verso chi?", verso i comunisti in definitiva. Una funzione o da mosca cocchiera, o evocativa di convitati di pietra che magari non arrivano mai perché sono in altre faccende affaccendati o rispondono innanzitutto ad altri. Ed è sbagliato assegnarsi soltanto un ruolo evocatore in politica".
Teodori
"Problemi di governo, di schieramento, di quadro politico. Mi pare che in questi anni abbiano prevalso le ragioni del cosiddetto "quadro politico" nelle quali avevano primaria importanza questioni di schieramento, di rapporti di forza tra i partiti, ma non già di governabilità. Se andiamo a ripercorrere la storia precedente, ci accorgiamo che essa si snoda intorno a problemi di rapporti di forza e di schieramento, ma molto poco su reali questioni di governabilità se governabilità non significa solo amministrazione giorno per giorno dell'esistente. Se tentiamo di mettere insieme le grandi legge, le grandi trasformazioni degli ultimi 10 anni, non riusciamo a superare le dita di una mano. Quanto più le coalizioni sono larghe, tanto più l'inefficacia. Così dal 20 giugno 1976 ad oggi".
D'Eramo
In questo senso bisogna tornare a una funzione legislativa.
Teodori
"Fin dalle origini abbiamo innalzato una bandiera che diceva "alternativa, unità e rinnovamento delle sinistre". Paradossalmente, il paese, con il voto massiccio dato dal PCI nel '75-'76, ha accordato consenso ad una linea di mutamento e di alternativa se non altro alla classe dirigente democristiana. Certo, dopo il 20 giugno 1976, la strategia suicida del compromesso storico comunista ha ucciso non solo l'aspettativa di alternativa che c'era nel paese in termini di combinazioni parlamentari e politiche ma soprattutto in termini di grande speranza di rinnovamento.
Oggi, non ritengo che l'alternativa sia dietro l'angolo, perché la grande speranza è stata bruciata, suicidata dal PCI e dalla sua politica negli ultimi anni, nell'appoggio ad ogni costo alla DC, al suo sistema di potere, al governo Andreotti. Quindi non esiste speranza di alternativa come formula di governo, almeno a breve scadenza, ed è in una certa misura, lo stesso ammaestramento che viene dalle vicende francesi culminate nella sconfitta della sinistra del marzo 1978.
Ma allora cosa significa azione per l'alternativa se si ritiene, come noi riteniamo, che comunque non esiste possibilità alcuna di combinazione col sistema di potere democristiano?
Significa che oggi da sinistra è necessario ricostruire non solo se stessi in un'area socialista e alternativa, ma ricostruire anche processi di democrazia nel paese, in un'azione svincolata dagli schieramenti, su singoli temi che si ritengono cruciali. Oggi, sia che si ritenga di stare dentro la grande maggioranza - ed è una politica negativa ma può riguardare il PSI -, sia che si ritenga di stare fuori, è possibile un'azione intesa intorno a specifiche riforme, o specifici problemi. Allora il problema della governabilità esce dalle logiche del quadro politico dietro le quali ci sono logiche di puri schieramenti e di rapporti fra i partiti, per entrare nel campo dell'azione nelle istituzioni per riforme che può camminare sulle gambe dei movimenti nel paese. Se c'è qualcosa in cui il proposito socialista si è rivelato una vana illusione, è stato di ritenere che un'azione anche intensa di proposizione di riforma potesse passare soltanto sul negoziato istituzionale e partitico. Costruire una forza socialista d
inamica e al tempo stesso irrobustire processi di democrazia significa creare movimenti di massa per riforme nel paese e dei loro strumenti di espressione. Esemplare - mi pare - è il caso dei referendum.
Vengo all'ultimo punto: radicali e socialisti. Credo sia vano tentare di dare una risposta astratta ai problemi di concorrenze, di conflittualità, di collegamenti, di rapporti e di collaborazione, se non li consideriamo innanzitutto su temi specifici. Se, indipendentemente dalla propria collocazione nel quadro politico, sull'informazione sulle grandi riforme di libertà istituzionali di cui questo paese ha bisogno, sulle questioni militari, sulla questione infine, sempre più importante e riassuntiva di tante altre cose, dell'atomo con le conseguenze economiche e politico-sociali (militarizzazione della società civile e "crescita distruttiva" contrapposta a "decrescita produttiva", come la chiama Andrè Gorz): ecco, se su queste cose ci saranno scelte di tipo laico, libertario, socialista, non c'è ombra di dubbio che una convergenza nell'azione e quindi nei risultati dell'azione sarà nelle cose. Ma è soltanto nel fare politica che oggi è possibile verificare questa convergenza o invece la divergenza.
Se i radicali e i socialisti si ritroveranno su una serie di battaglie comuni e non di enunciazioni, quindi in un'affinità di comportamenti politici, allora credo che si possa mettere in moto qualcosa che va ben al di là degli stessi problemi dei due partiti, qualcosa di cui possono divenire in parte protagoniste anche energie e forze che sono all'esterno dei due partiti.
Per essere più chiari con un esempio: una battaglia antinucleare seria con le relative proposte alternative mette in moto oggi una serie di forze che vanno molto al di là di quelle che sono già rappresentate dal PSI dal PR.
Solo su questa via è possibile ridefinire i rapporti di forza a sinistra ed in particolare con i comunisti: giacché ben sappiamo che con un partito comunista così ampio e insediato e con pretese di egemonia conseguente alla propria forza elettorale ed organizzativa, è impossibile coltivare ipotesi non dico di alternativa ma più semplicemente di democrazia".
Martelli
"Sulla sostanza sono d'accordo. Sento più pressanti gli appuntamenti elettorali e la necessità di iscrivere le buone cause in un progetto di cambiamento delle società e in uno sbocco politico che possa garantirne l'attuazione. Altrimenti si può solo dare un contributo alla conflittualità. Ho in mente l'ultimo film di Fellini", Prova d'orchestra, "sintomatico di come la caduta verticale di un'autorità non prepari una sorte migliore: è la simpatica teoria di Nenni e riscritta brillantemente da Cafagna, del rapporto tra la rottura delle uova e la cucina della frittata. Il problema di come fare la frittata non viene dopo quello di rompere le uova, viene prima. In questo, tutto può essere utile. L'importante è che credo poco all'assegnarsi delle parti soprattutto se poi non c'è tra di noi nessun regista. E nessuno ha delegato sinora qualcuno a fare il regista di questi diversi ruoli che dovremmo recitare. Credo che ciascuno dovrebbe compiere lo sforzo compiuto dal partito socialista, di fare per intero il ragiona
mento, senza di che la logica di un progetto delle buone cause civili e sociali in qualche punto si spezza e si rischia soltanto di aver prima partecipato alla baraonda e poi creato o concorso a mantenere le condizioni per l'egemonia democristiana o al prepararsi di un'egemonia comunista".
D'Eramo
Sulla complementarità socialisti-radicali, c'è stato da un lato Martelli che ha detto "ponetevi un istante il problema della governabilità", e tu Teodori che hai posto la complementarità solo per tematiche e battaglie.
Teodori
"E' fittizia la visione di chi considera una specie di gioco delle parti e una complementarità: cioè i radicali che rappresentano quella minoranza dinamica che elettoralmente si esprime in una percentuale assai piccola dell'1 per cento e possono fare alcune cose; mentre i socialisti che rappresentano il primo dei piccoli partiti o l'ultimo dei grandi, hanno altre responsabilità... No, il punto non è questo. Non credo che nel prossimo futuro ci si possa adagiare su una pretesa divisione delle parti..."
Martelli
"Non condividi quindi questi ruoli?"
Teodori
"No. O in questo paese avanza e rinasce una forza a sinistra autorevole, dinamica, capace di avere presa e rispondere ai bisogni del paese, con una risposta chiara socialista e libertaria in contrapposizione con la visione burocratica, compromissoria comunista - e tale è la sfida unica per radicali e socialisti -, oppure saremo travolti comunque, e socialisti e radicali. Poco importa se rappresentiamo un punto o due punti in più in percentuale in termini elettorali. Di fronte ci sono i problemi del paese, lo abbiamo visto quest'ultimo anno. O si riaprono i giochi e allora le convergenze, che si riscontrano a partire da comportamenti politici specifici, trovano necessariamente ambiti più organici, oppure la divisione dei ruoli che qualcuno vuole identificare e magari teorizzare, è perdente".
Martelli
"Gestiamo due rinnovamenti paralleli. Il rischio di una conflittualità maggiore c'è se dalla complementarità non si passa a far proprio un arco di problemi maggiore".
Teodori
"Questa divisione di ruoli è una specie di parodia per cui da una parte ci sarebbero i socialisti che si fanno carico della governabilità all'interno del quadro politico e dall'altra i radicali che, siccome sono rompiscatole e hanno Pannella e sono l'1%, il 2%, canalizzano la protesta... Questa divisione dei ruoli è irreale e mi ricorda un tipico ragionamento del compromesso storico, per cui ad ogni forza politica c'è una determinata rappresentanza sociale. Secondo questa visione nel compromesso c'è posto per il partito socialista che rappresento certi settori dei ceti medi o magari c'è anche un posticino per i radicali che rappresentano gli intellettuali illuminati purché facciano bene il loro compito di rappresentanza. E' una visione corporativa della politica. No, qui la sfida che noi abbiamo, socialisti e radicali, riguarda tutta la democrazia italiana".
D'Eramo
Teodori, quando chiedi ai socialisti di uscire dalle preoccupazioni di schieramento di quadro politico, intendi proporre il loro passaggio all'opposizione?
Teodori
"No, ho detto il contrario, che l'alternativa per il momento non è più possibile perché è stata bruciata. Esiste una serie di battaglie di segno alternativo sulle quali, indipendentemente dal posto tattico che si sceglie di occupare dentro e fuori del quadro politico, ci può essere una convergenza e che a partire da questa convergenza, allora sorgeranno problemi più grossi che potranno essere problemi strutturanti, organici, di rifondazioni.
Voglio finire con un riferimento preciso. E' un nonsenso fare pasticci come quelli che qualcuno auspica: liste comuni alle europee (semmai c'è da considerare seriamente la proposta di unire le proprie forze nelle liste per il senato) oppure astratti processi di giustapposizione come quelli d'infausta memoria tra PSI e PSDI. Il nostro problema di convergenza, se si verificheranno le condizioni nei termini di cui ho discusso sopra, è solo di segno politico, e dovrà interessare settori e processi ben più ampi delle rispettive organizzazioni. Nel frattempo sarebbe forse buona regola riesumare un vecchio adagio: marciare separati e colpire uniti.