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Pannella Marco - 16 gennaio 1979
Lettera di dimissioni da deputato di Marco Pannella

SOMMARIO: Nel presentare le dimissioni da deputato, Marco Pannella rivolge osservazioni critiche sul comportamento dell'Assemblea - in qualche modo ispirato anche dal Presidente Pietro Ingrao - che nel caso di quelle già espresse dalle deputate Adele Faccio ed Emma Bonino le aveva subito accolte, quasi come una mera presa d'atto, modificando una prassi in base alla quali venivano sempre respinte in prima istanza. Le dimissioni di un deputato non possono infatti essere mai irrevocabili o considerate un bene di cui possa disporre discrezionalmente il deputato o il suo gruppo, ma rappresentano sempre una proposta che deve misurarsi con la volontà e la sovranità della Camera che è chiamata ad un atto di straordinaria delicatezza "se è vero che il deputato non rappresenta gli interessi dei suoi elettori o del suo partito ma quelli dell'intero corpo elettorale, dell'intera Nazione". Espone quindi i motivi per i quali dichiara di volersi dimettere: necessità di fornire un esempio di un modo diverso d'intendere il m

andato parlamentare; denuncia dell'accentuarsi delle difficoltà ad assolvere le proprie funzioni costituzionali; opportunità di cedere il posto al deputato supplente; esigenza di essere "testimone di verità" nella cosiddetta società civile. [Le dimissioni furono discusse nella seduta del 17 gennaio 1979 ed accolte con 238 voti a favore, 99 contrari e due astenuti]

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Roma, 16 gennaio 1979

On.le Pietro INGRAO

Presidente della Camera dei Deputati

S E D E

Egregio Presidente,

le ragioni politiche delle mie dimissioni sono riconducibili a quelle già espresse da Adele Faccio ed Emma Bonino. Quelle dimissioni furono subito accettate dalla Camera, in corrispondenza alla decisione del solo Gruppo comunista e contro quella annunciata (almeno per Bonino) da tutti gli altri Gruppi Parlamentari. Già la semplice considerazione di uno schieramento così inedito, e impensabile in questa nostra legislatura, due volte ripetuto in brevissimo lasso di tempo, suggerisce qualche ulteriore prudenza per evitare che decisioni politiche dell'Assemblea, attinenti a delicati meccanismi e aspetti istituzionali del Parlamento, vengano corrivamente sottovalutate.

Abbiamo doverosamente riflettuto sul fatto che Lei ha indicato all'Assemblea la "diversità" delle nostre decisioni rispetto a quelle per le quali la prassi esistente, in casi di dimissioni. Ma tuttora non ci è chiaro perché queste attuali e nostre siano "politiche " diversamente da nostre precedenti o da altre o perché debbano dettare all'Assemblea impulsi diversi.

A noi sembra che, sempre, la presentazione di dimissioni costituisca una "proposta" alla Camera. Come ogni altra essa deve misurare e realizzarsi con la volontà e la sovranità della Camera. Noi non siamo chiamati, in questi casi, ad una mera presa d'atto; ma ad una delibera che è, per di più, di straordinaria delicatezza, se è vero che il deputato non rappresenta gli interessi dei suoi elettori o del suo partito ma quelli dell'intero corpo elettorale, dell'intera Nazione.

Quanto più, quindi, i motivi delle dimissioni sono "politici", di parte, tanto più la Camera deve vigilare nell'accogliere la proposta. Essa non può far propria, o anche dar l'impressione che così possa essere, una qualsiasi motivazione. Per quanto si voglia distinguere fra "petitum" e "causa petendi", fin quando non saremo, da nuovi regolamenti o consuetudini, chiamati ad una mera presa d'atto, dobbiamo poter sbarrare la strada a motivazioni ingiuriose, o non plausibili, o a ragioni sospette. Dobbiamo, al massimo, invitare alla prudenza ed al ripensamento chi in particolari situazioni - più o meno personali o politiche - possa essere indotto s dimettersi da valutazioni affrettate, o inadeguate, o di formale correttezza. E' in teoria concepibile, certo, che qualcuno pretestuosamente motivi dimissioni in modo tale che non possano venire accolte. Ma chi voglia davvero dimettersi deve fino a quando la Camera non accetti la sua proposta, fino all'ultimo , piegarsi alle nostre regole ed ai nostri regolamenti:

non può riconoscerglisi "in limine" una sorte di franchigia.

Accade così - come vede - Signor Presidente, ch'io debba confrontarmi - anche in questo momento - con preoccupazioni inerenti alle regole stesse del gioco parlamentare.

Per questo, non essendo le mie dimissioni né dovute a causa di forza maggiore, né a sopraggiunta impossibilità di qualsiasi tipo, né a dimissioni dell'impegno civile e politico, non possono a mio avviso esser presentate, in prima istanza, come irrevocabili. Ritengo, infatti, che mancherei di rispetto al Parlamento ed a tutti i colleghi, se non sottoponessi con sincerità al loro vaglio la mia libera decisione, la sua legittimità e anche - se lo ritengo opportuno - (poiché la nostra è anche Assemblea politica) la sua opportunità. Non ritengo di poter disporre come di "cosa mia" (o di "cosa nostra" in riferimento al Gruppo del quale mi onoro di far parte) di una funzione che è per sua natura collegiale, "comune". Ho il dovere di consentire, se lo vogliamo, ai colleghi deputati di contribuire al compimento, in una direzione o nell'altra, di una mia decisione, che comunque li riguarda e coinvolge. Ho troppo spesso, signor Presidente, deprecato - come inficianti - certe prassi per le quali siamo chiamati a vo

tare senza aver avuto la materiale possibilità di maturare le nostre decisioni assistendo e partecipando ai relativi dibattiti, per concedere ora, a me ed agli altri, un significato di vuota liturgia alla discussione eventuale delle mie dimissioni. Certo la titolarità della funzione farà sempre che sarò io stesso a decidere in ultima istanza. Ma la Camera deve restare sovrana e prudente nell'accoglierne o meno la loro forma, cioè le loro motivazioni; così come di seguire la prassi o di marcare invece, di nuovo smentendola, determinati sentimenti.

Signor Presidente,

dichiaro di dimettermi per i seguenti principali motivi:

1) ritengo utile fornire un esempio di un modo diverso di intendere l'impegno civile e politico. Troppo ha nociuto alla considerazione del Parlamento la tendenza di troppi fra di noi a vivere come mestiere e carriera di una intera esistenza ( o di una parte preponderante di essa) la condizione di deputato o di senatore. Troppo ha nociuto a troppi di noi, militanti democratici, questa stessa tendenza; con ciò impoverendo e rischiando di sclerotizzare in ruoli fissi e professionali, abitudinari, se stessi oltre che le loro parti politiche e ideali. "Esempio", ho scritto. E intendo - naturalmente - laicamente - esempio politico; in nessun modo "morale" che sarebbe pretesa incivile e farisea.

2) ritengo urgente denunciare l'accentuarsi delle difficoltà del deputato ad assolvere le proprie funzioni costituzionali, sia per le gravi limitazioni poste ai suoi diritti quali si configuravano nel Regolamento della Camera, sia per la tendenza dei partiti di maggioranza a privilegiare sempre più il potere dei vertici dei gruppi, sia per l'abbandono di ogni progetto, pur accettato in passato, volto a consentirgli anche materialmente e davvero di svolgere il proprio compito.

3) ritengo che dopo oltre due anni di intenso lavoro parlamentare, del quale l'esiguità del gruppo cui appartengo non è certo causa unica e che non può non aggravarsi, sia saggio e sano, politicamente e personalmente, cedere il mio posto a chi nel Gruppo Radicale, quale deputato supplente, si è a ciò preparato già contribuendo in modo determinante al nostro e mio impegno legislativo, di indirizzo e controllo, in Aula, nelle Commissioni permanenti e speciali.

4) ritengo che la mancata o distorta, settaria o parziale pubblicità dei lavori parlamentari, con il concorso dei mass-media di Stato e di regime. esiga che vi siano sempre più testimoni di verità a favore della speranza costituzionale e repubblicana, di alternativa e di alternanza nel quadro di un regime di democrazia politica, proprio nella cosiddetta "società civile" lì dove essa rischia di esser travolta dalla violenza assassina, comunque colorata; di Stato o di parte. Urge, di nuovo, sostenere la civiltà della lotta rivoluzionaria per la pace e la liberazione umana con il massimo impegno e uso delle armi non istituzionali della nonviolenza, drammaticamente necessarie; nelle quali, finora, siamo la sola forza politica a credere nel nostro paese. Se ad esse mi riuscirà, Signor Presidente, di tornare con adeguatezza e umiltà, spero che a tutti sarà chiaro che sarò altrove per meglio assicurare anche a favore del Parlamento quanto, sollecitando la mia elezione, ero impegnato a dare e fare.

Chiedo scusa a Lei e a tutti i colleghi per questa troppo lunga lettera, per questa mia troppo frequente mancanza di comune misura. Per l'ultima volta non avrò avuto il tempo e la chiarezza d'esser breve. Nell'augurare più che mai a Lei ed alla Camera buon lavoro, senza rammarico perché, malgrado tutto, fiero e felice d'esser stato uno di voi, umanamente e politicamente più ricco grazie a quanto qui ho potuto apprendere e vivere, Le confermo, Signor Presidente, un antico e non intaccato rispetto e la differenza che Le devo.

deputato Marco Pannella

 
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