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Aglietta Adelaide - 1 febbraio 1979
(12) DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE: Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale
di Adelaide Aglietta

INDICE:

"Prefazione" di Leonardo Sciascia

Il coraggio della paura

Una città assediata

L'appuntamento con i violenti

Fiori in tribunale

Nel bunker

La prossima sarà Adelaide Aglietta

Giustizia per Giorgiana Masi, giustizia per il maresciallo Berardi

La strage di via Fani

La questione dell'auotodifesa

Il dibattimento è aperto

Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale

Curcio: "Un atto di giustizia rivoluzionaria"

Frate Mitra

La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata

La parola è alle parti

La Corte si ritira, il mio compito è finito

Perché questo libro

SOMMARIO: Adelaide Aglietta, torinese, è entrata nel Partito radicale nel 1974. Dopo aver militato nel CISA per la depenalizzazione e la liberalizzazione dell'aborto e poi nel Partito radicale del Piemonte, è stata capolista radicale a Torino nelle elezioni del 20 giugno 1976. Nel novembre successivo è stata eletta segretaria del Partito radicale, carica che le è stata riconfermata per il 1978 al Congresso di Bologna. Estratta a sorte, nel marzo 1978, come giurata popolare nel processo di Torino alle Brigate Rosse, ha accettato l'incarico dopo che si erano verificati più di cento rifiuti da parte di altrettanti cittadini, consentendo così la celebrazione del processo.

Adelaide Aglietta è stata dunque il primo segretario di partito a partecipare ad una giuria popolare: il suo diario nasce da quest'esperienza al confine del lavoro politico e della vita privata, fra le tensioni e contraddizioni che il ruolo di giudice popolare, soprattutto in un processo politico, non può non creare.

Attualmente è deputata al Parlamento europeo.

("DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE" - Adelaide Aglietta - Prefazione di Leonardo Sciascia - Milano Libri Edizioni - febbraio 1979)

TRAGEDIA NEL PAESE, ILLEGALITA' IN PARLAMENTO, NOIA IN TRIBUNALE

Lunedì 10 aprile. Siamo arrivati all'audizione delle parti lese. Ho da tempo riacquistato calma e serenità rispetto alle paure e ai sospetti dei primi tempi. Sempre più frequenti sono invece i momenti di rifiuto della fisicità dell'aula e della sua atmosfera. Fuori di essa, crescono le difficoltà di rapporto con i compagni di partito, che sento lontani dalla realtà del processo.

Vivo come un oltraggio all'intelligenza, e ne sono mortificata, l'interminabile farsa degli interrogatori. Sfilano di fronte a noi decine di persone che vengono a confermarci di aver subito per davvero il furto della carta d'identità, o della patente, o del passaporto, o dell'automobile; fatti già tutti accertati e ovviamente superflui per fare luce sugli autori dei reati. Unico modo per occupare questo interminabile tempo è cercare di avvicinare sempre meglio, sul piano della consapevolezza, gli imputati, di capirne le scelte alla luce delle loro storie, di approfondirne le personalità. Cerco di trovare, in sguardi quasi immobili, la spia di una dimensione più vera, interiore, loro. Mi interessa in particolare Nadia Mantovani, che con il suo comportamento ha messo in risalto diversità e alterità tutte femminili. Appare più aperta, disponibile, anche quando, con l'avvicinarsi della fine del processo, gli altri imputati appariranno più logorati. Palesa una serenità e, forse, un ottimismo profondo, sul volto s

pesso sorridente, che suggerisce una impressione di solidità.

In un intervallo dell'udienza entrando casualmente nella stanza dei giurati li trovo intenti a tagliare una torta con una candelina. "E' passato un mese di processo!", esclama qualcuno notando il mio volto stupito e interrogativo, invitandomi a restare. Forse sarò poco socievole, ma non riesco proprio ad essere partecipe dell'entusiasmo generale e mi allontano.

Martedì 11 aprile. Arrivando alla caserma Lamarmora ho la sensazione che ci sia qualcosa nell'aria. I carabinieri all'ingresso infatti non mi salutano con la solita cordialità, ma hanno volti tirati e seri. Apprendo che hanno ucciso Lorenzo Cotugno, un agente di custodia delle Nuove (il carcere di Torino) mentre usciva di casa. Uno dei feritori Cristoforo Piancone è stato a sua volta ferito dall'agente stesso, che ha così firmato la sua condanna a morte: l'intenzione degli assassini era quella di colpirlo alle gambe - come apprenderemo da un comunicato diffuso dalle BR contemporaneamente all'attentato - ma alla sua risposta hanno di nuovo sparato, ammazzandolo. Sposato con figli. Non usciremo più da tutto questo. Da due mesi la vita italiana è coperta da questa coltre di morte.

In una atmosfera più cupa del solito si apre l'udienza. Depone Labate, il sindacalista della Cisnal rapito dalla BR, sottoposto a interrogatorio e rilasciato la stessa mattina, rapato a zero, legato ad un pilastro di corso Tazzoli. Racconta sottovoce, non ha nulla di nuovo da aggiungere alle deposizioni già rese in istruttoria. Mi viene da chiedermi se dopo quell'episodio abbia continuato a lavorare nel sindacato, se sia ancora fascista, se e in quale misura sia cambiato qualcosa nella sua vita. I tre imputati presenti sembrano assolutamente estranei. Solo quando l'avvocato Guidetti-Serra chiede che venga posta agli imputati la domanda se abbiano qualche domanda o contestazione da fare, Bonavita interviene dicendo che loro sono solo osservatori.

Nel retro dell'aula mi fermo per sentire se ci sono novità: no, c'è unicamente senso di sconforto e di rassegnazione.

Mi avvio lentamente verso casa. Telefono a Roma, al gruppo parlamentare: in questa settimana è iniziato in Parlamento lo scontro sull'aborto. I nostri deputati sono impegnati nell'ostruzionismo e trascorreranno tre giorni senza dormire né mangiare. La lontananza, il mio essere bloccata dal processo, il leggere sui giornali il linciaggio dei quattro parlamentari, il non vedere riportata - mai - nessuna delle nostre dichiarazioni, mi dà un grande ovvio senso di impotenza. Lì, in Parlamento, ci sono Adele ed Emma; dopo le lotte, dopo la galera, dopo le centinaia di interventi, di discorsi fatti con le donne, assistono ora alla svendita delle speranze di liberazione, della dignità della donna, e vedono riconfermare con una nuova legge la violenza dell'aborto clandestino.

Con le compagne vado a protestare sotto le sedi del PCI e del PSI. Ancora una volta mi trovo in polemica con la Magnani-Noya, la quale si giustifica di fronte alle donne sostenendo che "la legge non è buona, poiché con violenza i deputati radicali hanno impedito qualsiasi forma di serio dibattito parlamentare che la potesse migliorare". Questa volta sono stupita dalla malafede della deputata socialista, poiché lei sa benissimo che la legge è frutto di un baratto fra DC, PCI e PSI, siglato al di fuori di un Parlamento oramai completamente esautorato delle sue funzioni e dei suoi poteri: e chi le vietava di dissociarsi dalla linea del proprio partito, intervenendo in sede di dibattito alla Camera?

Attraverso Radio Radicale ascolto gli interventi di Adele, Emma, Marco e Mauro. Quello che mi stupisce, sia nella discussione, sia nella illustrazione delle centinaia di emendamenti presentati, è la puntualità dei loro interventi, tutti pieni di considerazioni e di riferimenti precisi e pertinenti all'argomento di volta in volta affrontato. Questo ostruzionismo radicale non ha nulla a che fare con l'immagine che di esso viene trasmessa attraverso la stampa, e neppure con la fama del "filibustering" che veniva praticato in passato alla Camera dei Comuni inglese, dove è stato inventato questo strumento di lotta parlamentare (con i deputati intenti a leggere, per ore e ore, imperturbabili, l'Enciclopedia Britannica, o a trattare argomenti che non avevano alcun legame diretto con la questione discussa). Ascoltando i deputati radicali si ha invece la sensazione netta che, dietro la loro stanchezza, ci sia l'estremo sforzo, l'estremo tentativo di imporre il dialogo ad una maggioranza sorda a qualsiasi argomento, a

qualsiasi proposta, anche la più ragionevole. E contemporaneamente è chiaro che in questo sforzo essi versano il patrimonio di una competenza legislativa e di una conoscenza che nascono da sette anni di lotte, combattute da loro e dall'intero partito nel paese.

Sempre da Radio Radicale mi arriva la voce di Adele, rotta dal pianto, che motiva il voto contrario alla legge: esprime tutta l'angoscia e la tristezza delle minorenni condannate alle mammane ed ai cucchiai d'oro, delle donne condannate alla violenza fisica e psichica della clandestinità: un nuovo massacro di classe, in nome dell'emergenza e del "socialismo".

Il tema dell'aborto mi distrae dal processo, forse perché è stato quello che in tutta la mia esperienza politica più mi ha coinvolta: la raccolta delle firme sull'aborto ha sancito la mia entrata definitiva nel partito. Per alcuni giorni sento di nuovo vicino il partito e il mio mondo. Poi, dopo la "sconfitta" dei deputati radicali - che ha avuto comunque un grande significato di denuncia, costringendo tutti a buttare le carte in tavola - i fatti mi impongono di rientrare nell'atmosfera processuale.

Giovedì 13 aprile. "Oggi viene a deporre Amerio", mi annuncia il presidente al mio arrivo in tribunale, mentre si appresta a scorrere come sempre i miei giornali; sfoglia in particolare il "Corriere della Sera", lascia da parte come sempre "Lotta Continua". Mentre sono iniziati i capricci e le bizze di Sossi, è positivo che le altre parti, vittime dei reati più gravi e cioè dei sequestri, vengono a testimoniare senza tirarsi indietro.

Anche in questo caso, come in occasione della testimonianza di Labate, non apprendiamo nulla di più di quanto già sapessimo dagli interrogatori resi in istruttoria, subito dopo la fine del sequestro.

Sequestrando e interrogando Amerio le BR hanno tentato di far luce sui criteri con i quali venivano attuati il licenziamenti e le assunzioni, e di sapere quali erano le persone nei vari settori della Fiat che fungevano da raccordo e da informatori fra gli operai. Le risposte che Amerio dà in sede di dibattimento denotano ancora la paura e lo choc subiti, e la volontà di lasciarsi alle spalle tutta la vicenda. La testimonianza sulla settimana trascorsa sotto sequestro è asciutta: no, non ha subito violenze fisiche, è stato sottoposto a interrogatori, non è mai stato minacciato, è stato nutrito regolarmente. Si direbbe quasi che non abbia un ricordo angoscioso di quei giorni, se non fosse per l'ansia sulla propria sorte. Durante una ricognizione di voce fatta successivamente Amerio ha riconosciuto fra quattro, e lo conferma in aula, la voce di Curcio come "la più rassomigliante" a quella del suo interlocutore. Senza che gli imputati intervengano, la deposizione di Amerio comunque termina.

Vado a prendere Alberta e Francesca a scuola e resto con loro a pranzo. I giorni brutti, per le bambine, sono superati e tutto è rientrato, almeno apparentemente, nella normalità, anche se sono sempre molto attente a tutti i miei spostamenti, ai miei orari, alla mia presenza o alle mie telefonate, pronte a farmi rimarcare eventuali distrazioni o assenza.

Lunedì 17 aprile. Mentre in tutto il paese è diffusa l'angoscia per il comunicato delle BR del giorno precedente, che annuncia la condanna a morte di Moro, il processo prosegue con la sua routine quotidiana. Alla caserma Lamarmora trovo una atmosfera tesa, come sempre quando vi sono fatti esterni che possono riflettersi sul processo.

L'udienza si apre con la richiesta del P.M. di fissare una audizione a domicilio di Sossi, che continua a comunicare di essere impossibilitato a presenziare al processo. Semeria dichiara a nome degli imputati che in tal caso vogliono venire anche loro a Genova per essere presenti all'interrogatorio: hanno delle domande da porre. Non posso fare a meno di sorridere: sono d'accordo, così come lo sono alcuni avvocati della difesa.

Sul banco dei testimoni compare Sogno, con il suo profilo aquilino ed il suo fare arrogante. Durante la sua deposizione penso che vorrei invece sentirlo parlare del "golpe bianco", del disegno di instaurare in Italia una repubblica presidenziale, dei legami e delle coperture che ha avuto: ricordo lo scalpore che aveva fatto a Torino la sua incriminazione e come anche quel processo sia stato annacquato negli anni.

Sogno fa una brevissima deposizione. Il presidente sta per congedarlo quando si alza Franceschini chiedendo quali rapporti vi erano fra il Centro di Resistenza Democratica e Beria d'Argentine, del quale hanno ritrovato una lettera durante la loro "perquisizione". In quella lettera il magistrato si diceva d'accordo con gli scopi di un convegno indetto per il marzo '74, anche se per la sua posizione riteneva di non poter intervenire. Barbaro frettolosamente dice che la domanda non è pertinente. Il suo comportamento mi sembra un po' affrettato e ingiustificato. C'è una richiesta del P.M. e di alcuni avvocati che il documento cui ha accennato Franceschini venga letto; la corte si ritira. Il presidente, senza accettare discussione, fa un'ordinanza e licenzia il teste. Mi sembra incredibile e protesto: alcuni giurati sono seccati. Si alza Curcio e riassume il contenuto del documento: parla del progetto di Sogno, della scadenza del referendum sul divorzio, fa i nomi di Leone, Fanfani e Taviani. Il presidente lo int

errompe, Curcio continua. Barbaro licenzia definitivamente Sogno ed espelle Curcio. Curcio protesta, afferma che questo tribunale è fascista e che la sentenza su Moro è valida anche per il presidente. Interviene Moschella, sollecitando l'espulsione dell'imputato per le minacce da lui proferite.

L'avvocato Guiso chiede l'acquisizione agli atti dei documenti citati da Curcio, Franceschini interviene sollevando un nuovo problema: dopo essere arrivata nelle mani del giudice Violante per il processo a Sogno la famosa lettera è sparita. Altri avvocati ed il P.M. si associano alla richiesta di Guiso e chiedono l'audizione di Violante. Questa volta la richiesta si può discutere. Curcio è riammesso in aula, il carteggio Sogno deve essere acquisito, la corte cita Violante e si riserva di riascoltare il teste Sogno. Ma il giorno dopo, sulla "Stampa", appare il seguente articolo: "Con arroganza, i brigatisti vorrebbero essere loro ad interrogare i testimoni". Zelo e servilismo fanno dimenticare che nei nostri codici, sia pur del 1930, è previsto il diritto degli imputati a porre domande ai testi e che i motivi per cui è stata fatta l'irruzione al CRD sono elementi indispensabili per il giudizio della giuria.

Nonostante venga successivamente ascoltato Violante, le lettere scomparse dalla cartella sequestrata a Curcio e a Franceschini al momento dell'arresto non saranno più ritrovate. La seconda deposizione di Sogno non servirà naturalmente a chiarire nulla, perché si troverà la scorciatoia giuridica della legittimazione a non rispondere in quanto imputato in altro processo e non tenuto a fare dichiarazioni che possano nuocere alla sua posizione. Ma se Sogno ha diritto di non parlare, non ha però certamente il diritto di insultare la corte per una sua presunta debolezza nei confronti dell'arroganza degli imputati e di esprimere pesanti apprezzamenti sugli stessi. Sollecito il presidente a farlo stare zitto. Siccome continua, cerco con gli occhi fra gli avvocati per vedere se qualcuno reagisce. Mi alzo e mi avvio verso l'uscita: si alza contemporaneamente l'avvocato Guidetti-Serra che chiede al presidente di far tacere il teste, in quanto esprime solo valutazioni personali, e che le frasi vengano tolte dal verbale.

Il presidente si dichiara d'accordo. Per forza! Torno al mio posto. Mai come in quel momento ho sentito il disagio di non poter intervenire se non in modo indiretto.

Martedì 18 aprile. Depone l'onorevole Costamagna, come parte lesa per l'irruzione avvenuta al Centro Don Sturzo. Con questa deposizione si apre un altro tema che non sarà mai chiarito nel corso del processo: il mistero di una lettera inviata al Centro dal professor Calderon, segretario di Don Sturzo, lettera sottratta durante l'invasione dei brigatisti ma che non è mai stata ritrovata insieme al resto dei materiali rinvenuti nei covi. E' invece riapparsa in fotocopia tra le mani del pretore Guariniello, quando un mese dopo ha convocato l'onorevole Costamagna.

Questi afferma che il pretore non chiarì i motivi della convocazione e rifiutò di dare spiegazioni circa la provenienza della fotocopia in suo possesso. Sapremo poi dal pretore Guariniello che la famosa lettera fu trovata durante una perquisizione in casa di Cavallo, il quale affermò che egli era stata affidata, perché fosse tradotta in inglese, da una persona di cui però non fece il nome. A questo punto le cose sono completamente oscure: abbiamo capito solo che questa lettera ha fatto dei giri strani, dal Centro Sturzo alle BR, poi, fotocopia, a Cavallo. L'originale non si è mai più ritrovato. Ha ragione l'onorevole Costamagna quando definisce assurda e incredibile la vicenda.

Giovedì 20 aprile. E' iniziato da due giorni il giallo del Lago della Duchessa ed è stato scoperto il "covo" di via Gradoli. Si saprà poi che in via Gradoli sarebbe stato possibile arrivarci molto prima. Mentre la polizia si perde letteralmente nelle ricerche in Abruzzo ed il paese quasi no reagisce più all'alternarsi di notizie drammatiche, nell'aula di Torino continuano a sfilare decine di testimoni che non sanno nulla, non hanno visto nulla e, se hanno visto, non ricordano o non hanno riconosciuto nessuno. Protesto a più riprese con Barbaro, chiedendo che i testimoni inutili vengano stralciati. Mi viene risposto che la lista presentata dal P.M. deve essere rispettata per intero. So che i rapporti con Moschella non sono dei più affabili, per cui si aspetta.

La noia ed il nervosismo crescono: ognuno pensa a ciò che sacrifica per essere presente alle udienze e si sente preso in giro o comunque spinto a protestare perché si accelerino i tempi.

L'unico che appare sempre calmo, imperturbabile, è il giudice a latere, Mitola. Non vi è stato momento, nel corso del processo, in cui abbia perso il suo distacco, sia nei rapporti personali con noi che di fronte agli avvenimenti processuali e a quelli esterni. Questo non vuol dire che in alcuni momenti non sia venuta alla luce una sua nascosta dimensione umana, ricca di ironia. Mitola è rigorosamente legato alla "sua" etica professionale, che gli fa respingere (ma in modo diverso da Barbaro) qualsiasi tentativo di interferenza nel processo. E' estremamente rigido nell'interpretazione, quasi letterale, degli articoli del codice, pur essendo sempre interessato a qualsiasi altro punto di vista e disponibile alla discussione: di tutta la giuria è stato l'ascoltatore più attento e minuzioso delle arringhe conclusive. Di fronte al rischio personale ha un atteggiamento quasi fatalistico: per lui il rischio c'è, ma è una realtà già implicita nella scelta della sua professione. Negli ultimi giorni, prima della fine

del dibattimento, lo sento dire sarcasticamente: "Caro presidente, se vogliono bloccare il processo a questo punto, o tocca a te o tocca a me...".

Scorrendo i giornali noto alcuni articoli che annunciano che è stata ritirata a Barbaro la scorta. Resto a bocca aperta: mi pare un fatto inaudito, del quale non riesco a dare un'interpretazione logica, a mano che si tratti di una sorta di ritorsione. Nei corridoi della caserma Lamarmora tutti commentano - indignati - l'accaduto. Incrocio Barbaro e tento un approccio, per cercare di saperne di più: "Lei deve proprio aver pestato i piedi a qualcuno!". Barbaro ride amaro, e non risponde.

Oggi viene a deporre Marco Boato, un dirigente di Lotta Continua che si è formato, come gli imputati, alla facoltà di sociologia di Trento. La sua deposizione è lunga e particolareggiata e dà un contributo di chiarezza sul ruolo di Pisetta nell'mabito delle BR. Pisetta, che è imputato in questo processo in base all'art. 306, è stato uno dei primi infiltrati del SID nei gruppi della sinistra ed in particolare nelle BR. Dopo essere stato alcuni mesi in prigione, quando ne è uscito, approfittando della fiducia acquisita riprende il suo "lavoro" fra i compagni. Nell'estate '74 esce come una bomba il suo oramai famoso memoriale sulle BR: è il primo documento storico sulla vita dell'organizzazione. Pisetta affermerà più tardi di non essere l'autore materiale, ma di aver solo prestato la firma a questa operazione del SID, che servì ad incastrare un centinaio di persone della sinistra italiana. Afferma di aver tradito una prima volta per uscire di galera e poi per paura. Mi viene in mente la deposizione di Allegra,

responsabile dell'ufficio politico di Milano, che ha dichiarato di non aver mai conosciuto Pisetta, se non nel momento in cui lo ha arrestato la seconda volta a Milano, e che non era stato messo a conoscenza, a suo tempo, dell'esistenza del memoriale (che fu diffuso in tutte le questure italiane). Ancora una volta ritorna l'ombra dei servizi segreti sulla vita della sinistra in quegli anni: le zone oscure sulle quali non si riesce a far luce, le responsabilità che non si riescono a individuare, i processi diluiti e rimandati (quelli sì, speciali) al terrorismo di Stato.

Al termine della testimonianza Marco Boato resta in aula fra gli avvocati, per consegnare in un intervallo dell'udienza, avutone il permesso dal presidente, un appello a Curcio per la liberazione di Moro, in nome delle comuni esperienze del '68, prima che le diverse scelte li dividessero.

Il paese sta precipitando in una situazione drammatica, apparentemente senza ritorno: gli azzoppamenti, le uccisioni, il tragico evolversi della vicenda Moro, con la richiesta di scambio non ancora precisata, i messaggi del presidente della DC, l'irrigidimento di una classe politica tanto intransigente sui princìpi quanto duttile nel giustificare il suo porsi fuori della Costituzione, il messaggio del Papa, la cronica inerzia delle indagini che continuano ad approdare ad un nulla di fatto calano su un paese che all'apparenza pare rassegnato, indifferente, senza capacità di reazione: forse questa volta sono riusciti davvero a soffocare completamente le speranze e la volontà di partecipazione che in questi anni si erano manifestate nella società civile.

Il decreto antiterrorismo passa al Senato senza provocare alcuna reazione: oltre ai provvedimenti di cui ho già parlato viene aggiunto un comma, che prevede la non riammissione in aula degli imputati dopo due espulsioni. E' la terza legge speciale emanata ad hoc per questo processo, a procedimento già iniziato. Non solo si lede il diritto alla difesa dell'imputato sancito dalla Costituzione, prevedendo processi fatti in assenza non volontaria degli imputati e quindi negando loro il diritto al contraddittorio, ma si approvano disposizioni di legge che sono nei fatti retroattive. Alla Camera annunciamo l'ostruzionismo. Per timore che, per decorrenza dei termini, salti la conversione in legge del decreto il governo sarà costretto poi a porre la fiducia. Il giurato col quale ho stretto una sorta di amicizia si chiede e mi chiede: "Che cosa ci stiamo ancora a fare qui dentro? Quali speranze puoi ancora avere?". Sta lentamente precipitando in una situazione di assenza e di abulia. Medita di dimettersi dalla giuria

.

Alla Camera si deve avviare la discussione sulla Reale-bis che dovrebbe modificare la legge Reale sulla quale pende uno dei referendum.

Con un colpo di mano la maggioranza, in previsione di un nuovo ostruzionismo dei radicali, stabilisce che la nuova legge venga discussa e approvata direttamente in commissione giustizia in sede legislativa. Ciò comporta innanzitutto la non pubblicità dei lavori (i giornalisti infatti non possono assistere ai lavori di commissione) e il non passaggio della legge in aula. La legge, insomma, deve essere approvata nel buio del "Palazzo", lontano dall'opinione pubblica. La reazione di Emma è dura:

"E' una proposta inaudita e inaccettabile. Non trovo altre parole che fare mia l'opposizione già sostenuta da Spagnoli il 23 aprile 1975 quando fu proposto di votare la prima legge Reale in legislativa: ``Chi cerca di evitare il dibattito in assemblea teme che si parli pubblicamente delle responsabilità delle forze che per trent'anni hanno diretto il Ministero degli Interni e i servizi segreti''". Il PCI ha imparato velocemente i metodi del potere! Pannella si fa espellere di notte dall'aula della commissione: viene riportato il fatto, non le tesi e le motivazioni del deputato.

I deputati radicali attuano l'ostruzionismo: non se ne riferiscono le ragioni. Si sa solo che insieme ai radicali fano ostruzionismo anche i missini, le cui motivazioni ottengono ampio spazio e rilievo. I referendum si avvicinano: il linciaggio è cominciato. La maggioranza, però, ha sbagliato i suoi calcoli: l'ostruzionismo in commissione si rivela più efficace di quello in aula. Le discussioni con gli altri giurati sui referendum, sulla Reale-bis, sui radical-fascisti, sono all'ordine del giorno, e molto accese. Da alcuni avvocati che conosco da anni, tra i quali molti si che sono d'accordo sul referendum sulla Reale, mi viene posto il quesito: "In questa situazione l'ostruzionismo sulla Reale non può essere controproducente? Se per caso si arrivasse al referendum sarebbe una sconfitta schiacciante, e quindi un ritorno indietro". Sono segnali che mi riempiono di sconforto. Mi chiedo per l'ennesima volta chi manovra le BR. Ma se persino le persone più razionali abdicano e si lasciano schiacciare dalla sfiduc

ia, non vorrà dire che siamo già ad una situazione di non ritorno, di annullamento di qualsiasi speranza, di grigiore e conformismo totalmente dominanti?

Continua la sfilata opprimente e tediosa dei testi: a volte mi ciondola il capo sulla spalla ed il sonno rischia di avere il sopravvento. La sera vado a letto sempre tardi, perché con i compagni di partito passo le notti ad organizzare la campagna politica che dovrebbe iniziare il 12 di maggio. Mentre aumenta la sonnolenza in aula, cresce la socialità fuori dell'aula: si riempiono gli intervalli discutendo un po' di tutto. In questi giorni, soprattutto, ci poniamo l'interrogativo sullo "scambio": c'è il dubbio che possa essere scaricato su questa giuria. Nessuno esprime certezze, la confusione direi è generalizzata, la strada da percorrere appare ai più ancora irrimediabilmente lunga e buia. Anche qui sfiducia e rassegnazione sono protagonisti. In mezzo a tutto questo guizza la figurina indaffarata di Guiso, con quel suo fare sempre un po' misterioso, fra il dire e il non dire, l'apparire e lo scomparire, l'atteggiamento dal presuntuoso al dimesso, speso appartato in lunghi colloqui con il presidente; certam

ente una figura anomala in mezzo alla compostezza e alla quasi staticità del foro torinese. Verso la fine del processo mi confiderà il suo sconforto ed anche i suoi timori per le critiche, le insinuazioni e le velate accuse si cui è stato fatto oggetto dalla stampa, e non solo da essa.

 
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