di Adelaide AgliettaINDICE:
"Prefazione" di Leonardo Sciascia
Il coraggio della paura
Una città assediata
L'appuntamento con i violenti
Fiori in tribunale
Nel bunker
La prossima sarà Adelaide Aglietta
Giustizia per Giorgiana Masi, giustizia per il maresciallo Berardi
La strage di via Fani
La questione dell'auotodifesa
Il dibattimento è aperto
Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale
Curcio: "Un atto di giustizia rivoluzionaria"
Frate Mitra
La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata
La parola è alle parti
La Corte si ritira, il mio compito è finito
Perché questo libro
SOMMARIO: Adelaide Aglietta, torinese, è entrata nel Partito radicale nel 1974. Dopo aver militato nel CISA per la depenalizzazione e la liberalizzazione dell'aborto e poi nel Partito radicale del Piemonte, è stata capolista radicale a Torino nelle elezioni del 20 giugno 1976. Nel novembre successivo è stata eletta segretaria del Partito radicale, carica che le è stata riconfermata per il 1978 al Congresso di Bologna. Estratta a sorte, nel marzo 1978, come giurata popolare nel processo di Torino alle Brigate Rosse, ha accettato l'incarico dopo che si erano verificati più di cento rifiuti da parte di altrettanti cittadini, consentendo così la celebrazione del processo.
Adelaide Aglietta è stata dunque il primo segretario di partito a partecipare ad una giuria popolare: il suo diario nasce da quest'esperienza al confine del lavoro politico e della vita privata, fra le tensioni e contraddizioni che il ruolo di giudice popolare, soprattutto in un processo politico, non può non creare.
Attualmente è deputata al Parlamento europeo.
("DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE" - Adelaide Aglietta - Prefazione di Leonardo Sciascia - Milano Libri Edizioni - febbraio 1979)
CURCIO: "UN ATTO DI GIUSTIZIA RIVOLUZIONARIA"
Giovedì 27 aprile. L'udienza si apre con un intervento di Curcio: il Ministero gli ha inviato una persona in carcere con il permesso di colloquio senza vetri, mentre questo continua ad essere negato ai familiari. Apprendo da Barbaro che si tratta di Franca Rame. E' quantomeno una mossa sintomatica dello stadio al quale sono ferme le indagini sul caso Moro.
Quando escono dell'aula vengo avvicinata da un giovane carabiniere, che molto timidamente mi chiede informazioni su come e dove può abortire la sua ragazza. Gli abbasso la canna del mitra inavvertitamente rivolta verso il mio stomaco e gli do le informazioni che mi ha chiesto. Il processo è stato rinviato al 3 maggio.
In questi giorni mi dedico più al partito e passo molto tempo con le bambine, la cui compagnia rappresenta un momento di tregua nelle mie giornate. Venerdì 28, dopo cena, abbiamo una fiaccolata in difesa dei referendum, a Torino: le persone intervenute sono più di un migliaio ed in un clima come quello di Torino, con un partito che continua a vivere col telefono tagliato e carico di debiti, legato unicamente all'informazione data dai miseri impianti di Radio Radicale è indubbiamente un successo.
In questi giorni i quotidiani continuano a dedicare le prime pagine all'evolversi del caso Moro: il PCI, la DC e il governo sono arroccati sul no al ricatto. Craxi ventila una proposta umanitaria che non si concretizza mai, Moro scrive dal buio della sua prigione lettere e lettere, per tentare di sbloccare la situazione. Il paese appare inerte e impotente.
Io cerco a volte di immaginare quale sia il rapporto che Moro ha instaurato con i suoi rapitori, o ho la certezza che, comunque, ha mantenuto intatta la sua lucidità e le sue capacità mediatorie. Gli saranno sufficienti questa volta? Mi è difficile immaginarlo in una posizione non di forza e di potere. Difficile penetrare nelle sue reazioni psicologiche, anche se le lettere che ha scritto alla moglie, almeno quelle pubbliche, rivelano la drammatica angoscia di un uomo cui si negano il dialogo, la fiducia, la vita.
Arriva l'ultimatum per lo scambio con i tredici detenuti, ma è una proposta universalmente interpretata come strumentale. I nostri deputati chiedono ancora il dibattito parlamentare, ma una volta di più i rappresentanti del popolo vengono espropriati dei loro diritti.
Durante tutto il periodo del rapimento di Moro, e sino al suo assassinio, i miei pensieri non sono diversi da quelli di moltissimi altri cittadini. Le ripercussioni sul processo sono state infatti soltanto indirete, se si esclude la tensione dei primi giorni dovuta alle dichiarazioni e ai commenti degli imputati. Spesso ho la netta sensazione (l'impressione sarà poi confermata dalla lettura del "memoriale" e dei cosiddetti "verbali d'interrogatorio") che Moro non abbia mai perso la sua lucidità, né rinnegato in alcun modo il suo passato. Man mano che i giorni scorreranno mi indignerà sempre più il tentativo di negargli il diritto alla paternità delle lettere, e in generale il comportamento dei suoi amici di partito, che sin dall'inizio della vicenda hanno accettato, come unica realtà possibile, quella del tragico epilogo del 9 maggio.
Marcoledì 3 maggio. Ognibene si alza in piedi all'inizio dell'udienza e, attraverso la lettura del comunicato n. 14, rilancia in modo più organico il programma di lotta nelle carceri già annunciato da Curcio in una precedente udienza. C'è un appello a tutti i detenuti, perché si uniscano alla lotta contro le carceri speciali.
...Il programma strategico della Organizzazione Comunista Combattente Brigate Rosse nelle carceri è preciso: liberazione di tutti i proletari e distruzione delle galere.
Ciò non significa l'assenza di iniziativa sui problemi immediati.
L'abolizione del trattamento differenziato per tutti i prigionieri dei campi è il compito più urgente. Esso comprende:
L'eliminazione dell'isolamento individuale e di gruppo, che significa: conquista di spazi di socialità all'interno; lotta contro ogni tentativo di distruzione dell'identità politica e personale dei prigionieri; autodeterminazione della composizione delle celle; ora d'aria e di vita collettiva, ecc...
L'abolizione dell'isolamento verso l'esterni, vale a dire l'eliminazione dei vetri divisori al colloquio, del blocco dell'informazione e della corrispondenza...
...Ciò che proponiamo "non è" il terreno della trattativa, della rivendicazione sindacale, ma la concretizzazione, attraverso la lotta, dei rapporti di forza che già sono maturati a livello generale.
Lottando per questi obiettivi noi intendiamo costruire potere proletario armato anche nelle "carceri speciali" e saldare nel programma strategico dell'"attacco allo Stato" la lotta di vati strati proletari...
...Ancora una volta la borghesia ha fatto male i suoi conti, se ha creduto, con l'istituzione delle "carceri speciali", di risolvere definitivamente il problema, perché coloro che nei suoi desideri dovrebbero essere annientati diventeranno gli affossatori di questo criminale regime carcerario.
Chi ha paura delle "carceri speciali"?
Non certo noi che vi siamo rinchiusi...
Barbaro annuncia che il teste Girotto è irreperibile. Per capire meglio la sua posizione si chiede di riascoltare il colonnello Franciosa ed il capitano Pignero, alle cui dipendenze ha operato, ovviamente pagato, "Frate Mitra". I testi stanno lentamente andando ad esaurimento, ma le testimonianze continuano ad essere praticamente vuote di contenuti e di prove. Viene fissata, dopo la perizia piuttosto movimentata fatta sul giudice Sossi (la scorta del giudice, mitra alla mano, ha tentato di impedire la presenza dell'avvocato rappresentante la difesa, nominato da Barbaro), la data dell'audizione di quest'ultimo al 22 maggio.
Continua la divaricazione, sempre più sofferta, fra il compito di giurata e l'impegno di militante. Terminata l'udienza corro al partito. Telefono al gruppo, mi risponde Emma, sbrigativa e quasi sgarbata. Con Marco da tempo non riesco a parlare. Gianfranco è preso dalle cose del partito. Mi sembra di esser tagliata fuori da tutto. Ho una crisi di depressione che volgo in rabbia. A che serve ormai che rimanga a fare questo processo? Sono soltanto giudice supplente, la mia presenza è pressoché superflua dal momento che il processo è ormai solidamente incardinato e le udienze si susseguono, noiose ma con regolarità. Avrò pure il diritto di far valere le mie funzioni di segretario del partito e di tornare ad esercitarle, libera da altri impegni pubblici, almeno durante la campagna referendaria!
E' uno stato d'animo che durerà alcuni giorni. So benissimo che i compagni in Parlamento hanno affrontato, anch'essi, un periodo massacrante. So altrettanto bene che la responsabilità che mi sono assunta quando ho accettato l'incarico di giudice popolare devo portarla fino in fondo. E' una responsabilità davanti all'opinione pubblica: non si comprenderebbe, giustamente, un abbandono. Abbiamo detto tante volte che siamo gente fra la gente. Non sono il "deus ex machina", evocato dalla sorte per far uscire il processo dalle secche della paura in cui rischiava di arenarsi. Sono, devo essere un giurata fra i giurati e condividere le loro rinunce e i sacrifici che la sorte ci ha imposto. Dalle prime avvisaglie della campagna elettorale, posso infine immaginare benissimo l'uso che il PCI farebbe di questo abbandono. Mi farebbero a pezzi e farebbero a pezzi il Partito radicale, se già così e nonostante la mia esperienza al tavolo della giuria ci indicano (è avvenuto in Parlamento) come sostenitori delle Brigate Ross
e.
Le considerazioni non migliorano il mio stato d'animo. Mi sento come tradita dagli avvenimenti e dai doveri che mi impongono. Tutta la fatica fatta, prima per arrivare a raccogliere le firme dei referendum e poi per difenderli, e trovarmi ora drasticamente allontanata da ogni impegno, proprio nel momento conclusivo... Gianfranco deve averlo intuito nelle rare e rapide telefonate che ci siamo scambiati. Ricevo una sua lunga lettera, molto affettuosa ma senza l'ombra del paternalismo cui impronta talvolta, nei momenti difficili, i rapporti con me e gli altri compagni.
Giovedì 4 maggio. Sono libera dal processo e vado con Elena e Giovanni dal sindaco di Torino Novelli per ricordargli le scadenze della campagna elettorale e gli adempimenti che gli spettano per legge, oramai slittati come in molte altre amministrazioni comunali. La reazione è sconcertante. Il sindaco pare quasi cadere dalle nuvole e non ricordare che esistono dei referendum. Subito dopo però convoca il segretario comunale e, appurato il ritardo, dà disposizioni perché la macchina si metta in moto.
Ho la nausea dei treni e delle notti trascorse in cuccetta. Il sabato e la domenica corro quasi sempre a Roma per seguire alcuni appuntamenti importanti del partito, i Consigli federativi e il Convegno teorico. E' proprio durante quest'ultimo, il pomeriggio del 5 maggio, che ci raggiunge la notizia della condanna a morte di Moro. I tre successivi, con le ultime lettere drammatiche alla famiglia ed il silenzio dei brigatisti, sono giorni cupi e immobili: ancora una volta il paese è attonito, paralizzato (o indifferente?) di fronte alla violenza di una banda di assassini. L'idea di quest'assassinio, a freddo, che forse sta per essere eseguito o è appena stato eseguito mi ributta nel clima ossessivo e oppressivo di questi mesi cancellando in me quel poco di speranza e ottimismo che lentamente andavo riacquistando. Le considerazioni che faccio sul mio intervento al Convegno teorico del partito, forse risentono di questo stato d'animo.
...Ho letto su "Lotta Continua", prima di venire al convegno, la tragica lettera del compagni Valitutti, che ha deciso di lasciarsi morire in carcere. Mi sono chiesta se ce la faremo a strapparlo alla morte o se siamo già nella condizione di assistere impotenti al compiersi di questi crimini, all'annientamento scientifico e legale di una persona. E mi sono chiesta cosa non avremmo fatto noi, quanti cortei non avrebbero organizzato gli extraparlamentari, cosa non avrebbe fatto la stessa "Lotta Continua" se avessimo ricevuto e letto questa lettera un anno fa o anche solo alcuni mesi fa.
Poi sono venuta al convegno e vi ho ritrovato le facce conosciute e care di tante persone di Roma e di altre città, con le quali percorriamo ormai da anni, giorno dietro giorno, lo stesso itinerario. Anche se per intenderci fra noi lo abbiamo chiamato ampollosamente "convegno teorico", siamo riusciti a non farne una riunione da addetti ai lavori, ma qualcosa che assomiglia, pur nel dibattito impegnativo, fatto di riflessioni e di approfondimenti per noi ormai importanti ed essenziali, ai nostri tradizionali appuntamenti. Eppure avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che mancava, che lo rendeva differente dalle nostre altre riunioni. Poi ho capito che cosa rendeva così facili, così ordinati i nostri lavori: non era il contenuto del convegno, non era il carattere del dibattito, ma era l'assenza di un certo tipo di personaggi che hanno sempre contrassegnato i nostri congressi, i nostri convegni, le nostre iniziative pubbliche, rendendole spesso difficili e creandoci dei problemi. Voi li ricordate. Erano e so
no forse i più esibizionisti di una schiera di umili e di emarginati che fra noi pretendevano di trovare il loro posto o la loro tribuna e che rappresentavano il nostro problema non risolto, a volte una nostra sconfitta, e comunque sempre un momento di verità. La loro presenza fra noi non era certo la soluzione e il superamento del problema dell'emarginazione, ma costituiva almeno un segno di speranza. E la loro assenza oggi, lungi dal produrmi un sollievo liberatorio, mi ha suscitato una preoccupazione, mi ha indotto a pormi un interrogativo: se non sia una conseguenza del fatto che i recenti episodi di violenza, il crescere della spirale di violenza, non abbia ormai messo in crisi il modello della disubbidienza civile e nonviolenta, e se ad esso non si sono già sostituiti altri modelli.
Ma se è così questi assenti non troveranno posto negli altri modelli, quelli proposti dai nuovi chierici, dai depositari esclusivi, freddi e spietati, della rivoluzione violenta e del partito armato: per essi sarà solo il massacro di classe, quel massacro che ci è annunciato dalla lettera di Valitutti e che riguarda i mille Valitutti dal volto e dal nome sconosciuti che già oggi sono vittime della illegalità e della violenza.
Martedì 9 maggio. L'udienza si apre con un comunicato letto da Ferrari, nel quale gli imputati si associano alla protesta dei detenuti in corso alla Nuove di Torino dal pomeriggio precedente. viene smentita la notizia, data da alcuni organi di informazione, di contestazioni da parte dei detenuti comuni nei confronti degli imputati, è data invece notizia del comunicato dei detenuti e ne viene richiesta la pubblicazione.
Ascolto il comunicato e non posso che essere d'accordo sui contenuti. Alcuni sono obiettivi sui quali da tempo ci stiamo muovendo in Parlamento e fuori. Le carceri si rivelano oggettivamente, per le condizioni di vita cui sono costretti i detenuti, un momento di contestazione molto dura, della quale non si può disconoscere e l'importanza.
...Gli obiettivi che tutti i detenuti italiani vogliono raggiungere sono i seguenti: immediata approvazione della legge sull'amnistia e su di un ampio condono generalizzato; immediata discussione ed approvazione del provvedimento della "libertà provvisoria" a tutti i detenuti e le detenute in cattive condizioni di salute; libertà provvisoria a tutte le detenute che hanno figli in tenera età e specialmente per quelle che hanno bambini in carcere o che debbano partorire; applicazione alla lettera della riforma approvata ma in effetti mai realizzata in nessun carcere.
In merito alle condizioni del carcere di Torino facciamo presente il sovraffollamento e le disumane "sistemazioni" nel reparto "celle" nel quale sono costretti a dormire nel corridoio decine di detenuti in mezzo alla sporcizia, senza servizi igienici (i cui pochi funzionano male e sono rotti). Facciamo presente l'insorgere di malattie tipo scabbia, diarrea ecc...
...In questo momento tutta la popolazione detenuta si è rifiutata di rientrare nelle celle invadendo pacificamente i passeggi e le sezioni in attesa di una positiva risposta che ci riserviamo di valutare. Mentre la nostra manifestazione si svolgeva pacificamente in attesa delle persone richieste, le guardie del muro di cinta hanno esploso senza alcun motivo raffiche di mitra ad altezza d'uomo verso il secondo e quinto braccio...
Sono venuti a testimoniare intanto il colonnello Franciosa ed il capitano Pignero. L'interrogatorio, condotto dagli avvocati della difesa Zancan e Arnaldi, è molto lungo e particolareggiato, ma non riesce a far chiarezza sul periodo nel quale è iniziata la collaborazione con Girotto (anzi le dichiarazioni appaiono in parziale contraddizione) né sui motivi per cui è stata scelta Borgomanero come sede privilegiata delle indagini.
Si alza Franceschini e fornisce l'interpretazione degli imputati sulla operazione Girotto, che verrà poi messa per iscritto nel comunicato n. 16, consegnato alla corte il 19 maggio. Guardo Franceschini, che le biografie ufficiali indicano come uno dei teorici del gruppo, e che come sempre mi dà una sensazione di grande freddezza e distacco. Nei suoi interventi è molto aggressivo e duro anche se molto attento ai termini usati, per non farsi togliere la parola: ha spesso delle sfumature ironiche che rimbalzano, dallo sguardo attraverso le lenti, anche se i suoi discorsi sono infarciti di dogmatismo. Mi sembrano istintivamente più interessanti, perché più immediati e più semplici, altri imputati.
L'operazione Girotto, ci spiega Franceschini, è stata messa in atto come supporto al compromesso storico, per distruggere i primi nuclei operai combattenti.
...Per capire la funzione della spia Girotto bisogna inserire la sua azione all'interno del quadro politico più generale in cui è andata sviluppandosi. Nell'autunno '73, dopo il colpo di Stato militare in Cile, esce chiaramente allo scoperto all'interno del PCI quel processo di revisione politica che si sostanzierà nella formula berlingueriana del "compromesso politico". Sono di quel periodo i due famosi articoli di Berlinguer comparsi su Rinascita...
...E' in questo quadro che matura l'"operazione Girotto". Essa viene preparata insieme dal PCI e dalla DC, attraverso la collaborazione del sindacato (CGIL) con i carabinieri (nucleo speciale) e la magistratura. Difatti ai primi di maggio '74 Levati, che a quel tempo era funzionario sindacale, viene convocato alla Camera del lavoro e gli viene ritirata la tessera con la motivazione che "essendo in preparazione da parte dei BR una grossa operazione di provocazione in cui avrebbero potuto essere coinvolti anche membri del sindacato, era opportuno togliergli la tessera perché lui poteva essere coinvolto".
E' dopo questo incontro che il Girotto inizia la sua manovra di aggancio col Levati.
Questa collaborazione DC-PCI la ritroviamo in tutti i corpi che partecipano all'operazione.
Nella magistratura si tratta della coppia Caccia-Caselli. Caccia, sostituto procuratore generale, quindi espressione diretta dell'esecutivo (quindi della DC), svolge in tutta l'inchiesta funzioni di controllo. Deve, cioè, assicurare che tutto si svolga entro i confini preventivamente stabiliti dal governo.
Caselli, membro del direttivo di Magistratura Democratica, uomo del PCI. La sua funzione in tutta l'istruttoria è essenzialmente politica. Suo compito non è tanto quello di ricercare prove, ma di "capire politicamente chi gli sta di fronte" e quindi in base a queste valutazioni politiche, stabilire chi è membro delle BR, quale ruolo svolge nell'organizzazione, eccetera.
Nel piano direttamente militare troviamo la coppia Dalla Chiesa-Girotto. Dalla Chiesa è un uomo di fiducia della DC ed ha svolto per questo partito una gran quantità di incarichi speciali. Inoltre non appare totalmente sgradito al PCI, stando almeno alle ripetute dichiarazioni di approvazione e di esaltazione delle "qualità di efficienza e di serietà dell'uomo" rilasciate da vari esponenti del PCI (on. Trombadori, il giornalista dell'"Unità" Settimelli...) per la sua opera di "Riforma carceraria" (cioè di costruzione dei Lager!).
Girotto, uomo del PCI, con funzione di consulente politico dei nuclei specialisti. Del resto solo un uomo di "sinistra" poteva sperare di riuscire ad infiltrarsi con qualche successo all'interno delle BR.
L'operazione Girotto rappresenta quindi uno dei primi momenti in cui la politica del "compromesso storico" mostra chiaramente il suo fine: collaborazione con il nemico di classe per distruggere ogni forma di opposizione rivoluzionaria di classe...
Nel pomeriggio, a casa, dove mi sono rifugiata per cercare di riposare, mi arriva la notizia del ritrovamento del cadavere d Moro. Resto per un po' con la mente vuota, senza pensieri.
La città è immediatamente cosparsa di manifesti listati a lutto. Si organizza una concentrazione verso piazza S. Carlo, ma non mi pare molto affollata. Mi ritrovo ad ascoltare questo commento: "Chissà quante persone hanno tirato il fiato fra Piazza del Gesù e le Botteghe Oscure".
Mercoledì 10 maggio. I partiti costituzionali, i giornali, le radio commemorano la figura di Aldo Moro. Alla caserma Lamarmora si apre l'udienza, in un clima ancor più funebre. Curcio si alza e incomincia a leggere un comunicato, il n. 15, che fa una analisi di cosa ha significato l'operazione Moro in termini di "lotta di classe" e rivendica la portata "rivoluzionaria" del rapimento e dell'assassinio del presidente democristiano, Più precisamente nel comunicato gli imputati affermano:
...Con il 16 marzo non si è affermato un nuovo regime capace di stabilizzare la situazione economica-politica-sociale nel breve periodo come era nelle intenzioni, ma si è invece manifestata l'esistenza di due poteri contrapposti, espressioni di classi antagoniste, di interessi, bisogni e aspirazioni inconciliabili: lo Stato imperialista ed il potere proletario armato.
Il potere proletario armato, di cui le BRIGATE ROSSE costituiscono il nucleo strategico, affonda le sue radici nella classe operaia, nei lavoratori produttivi, nel proletariato metropolitano; ed il suo "interesse generale", vale a dire il suo scopo, è la trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici, la creazione di una società comunista.
Il potere proletario armato sa di essere forza organizzata e concentrata, aspira apertamente a diventare DITTATURA!
Il suo esercizio da parte delle ORGANIZZAZIONI COMUNISTE COMBATTENTI, del movimento di Resistenza Proletario Offensivo e delle lotte di massa non si riferisce ad una astratta "giustizia", ma è il prodotto di un reale rapporto di forze nel processo di liberazione. E come non esiste un'astratta giustizia, così non esiste, per noi, un'astratta "moralità".
Per noi - ha detto Lenin - la moralità dipende dagli interessi della lotta di classe del proletariato. La morale è ciò che serve a distruggere la vecchia società sfruttatrice.
Ecco perché noi sosteniamo che il 9 maggio, anniversario dell'assassinio "a freddo", nel carcere speciale di Stammhein, della compagna Ulrike Meinhof conclude giustamente la battaglia iniziata il 16 marzo ed inaugura una nuova fase della guerra di classe rivoluzionaria.
Ecco perché noi sosteniamo che l'atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle BRIGATE ROSSE nei confronti del criminale politico Aldo MORO, responsabile insieme ai suoi complici della DC di un regime trentennale anti-proletario e sanguinario, oltre che eminenza grigia dei nuovi progetti di stabilizzazione imperialista affidati al regime dell'intesa, varato il 16 marzo, è il più alto atto di umanità possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari in questa società divisa in classi.
Curcio viene espulso e così pure Franceschini. L'indignazione sulla "Stampa" e su tutti gli altri giornali sarà enorme. Nonostante la gravità delle affermazioni, a me sembra che ci sia una logica molto stretta nell'identificarsi degli imputati con l'organizzazione Brigate Rosse che opera all'esterno, anche nel caso non siano d'accordo con alcune azioni. Sono convinta che gli imputati non condividano la soluzione dell'assassinio a freddo adottata dai rapitori, ma è comprensibile che la avallino.
Il P.M. chiede il processo per direttissima per apologia di reato. La corte, riunitasi, respinge la richiesta, contraddittoria con i comportamenti precedenti, e la rinvia a chi ne ha competenza.
Venerdì 12 maggio. E' ormai un fatto quotidiano il ferimento di qualcuno, tale da non destare più impressione nella gente. Nella caserma Lamarmora, negli intervalli delle udienze, si fanno ormai sempre più spesso i conti con i tempi del processo e le previsioni sulla sua conclusione.
Un anno fa, nel pieno della raccolta delle firme, sono accaduti i fatti di piazza Navona e ancora oggi ripenso ai compagni inermi, ai volti terrorizzati della gente, all'accerchiamento della forze di polizia, alle pistole degli agenti in borghese che sparavano ad altezza d'uomo, al fumo dei lacrimogeni che invadeva tutto il centro di Roma, ai tentativi drammatici dei nostri parlamentari di intervenire per sbloccare la situazione, all'assenza plateale di Cossiga e alla certezza acquisita che l'operazione era stata premeditata ed organizzata freddamente a tavolino, per tentare di criminalizzare l'opposizione nonviolenta. Arrivò alle ventuno, nella piazza quasi deserta, la notizia dell'assassinio di Giorgiana Masi. Troppe volte in quest'anno mi sono tornati alla mente quei fatti. Oggi stiamo facendo un processo difficile: altri devono essere fatti. Preparo un comunicato, chiedendo questi processi: quello dell'associazione a delinquere della quale, secondo Cossiga, faccio parte, come promotrice della manifestazi
one del 12 maggio, e quello a Cossiga, per strage.
E' un anno esatto a oggi che secondo la denuncia dell'ex ministro Cossiga, io sono la rappresentante di una associazione a delinquere, rea di aver istigato a delinquere migliaia di cittadini. Protesto fermamente contro questa dimostrazione di cronica inefficienza fornita dalla magistratura. In Italia, oggi più che mai, tutti i processi debbono essere fatti; soprattutto se si tratta poi di presunti gravi reati quali appunto "associazione a delinquere". Non mi riesce di comprendere come mai questo non avvenga né per me né per i deputati radicali, che in svariate occasioni hanno sollecitato l'autorizzazione a procedere in Parlamento.
Esigiamo giustizia per tutti coloro che sono stati uccisi. Esigere giustizia è l'unica possibilità per assicurare al paese momenti migliori. Se associazione a delinquere noi siamo, chiediamo di essere immediatamente condannati; se associazione a delinquere è quella di chi il 12 maggio scorso inviò squadre speciali travestite da "autonomi" a seminare il terrore tra la folla inerme, a cercare e trovare la strage, a tentare di criminalizzare chi si oppone con la nonviolenza e non con le pistole, ebbene chiediamo che paghi e paghi subito poiché già per troppo tempo questa associazione è stata latitante. Cossiga esporrà le sue prove, noi le nostre fotografie e i nostri filmati, e la magistratura deciderà. Ma la magistratura faccia il suo dovere: questo processo deve essere fatto.
Parlandone con gli altri giurati e con Barbaro mi rendo conto che queste cose sono poco conosciute, o già dimenticate. L'impegno di una anno fa, di esigere e fare chiarezza, è tanto più importante quanto più evidente il tentativo di insabbiare.