di Adelaide AgliettaINDICE:
"Prefazione" di Leonardo Sciascia
Il coraggio della paura
Una città assediata
L'appuntamento con i violenti
Fiori in tribunale
Nel bunker
La prossima sarà Adelaide Aglietta
Giustizia per Giorgiana Masi, giustizia per il maresciallo Berardi
La strage di via Fani
La questione dell'auotodifesa
Il dibattimento è aperto
Tragedia nel paese, illegalità in Parlamento, noia in tribunale
Curcio: "Un atto di giustizia rivoluzionaria"
Frate Mitra
La campagna dei referendum: schizofrenia di una giurata
La parola è alle parti
La Corte si ritira, il mio compito è finito
Perché questo libro
SOMMARIO: Adelaide Aglietta, torinese, è entrata nel Partito radicale nel 1974. Dopo aver militato nel CISA per la depenalizzazione e la liberalizzazione dell'aborto e poi nel Partito radicale del Piemonte, è stata capolista radicale a Torino nelle elezioni del 20 giugno 1976. Nel novembre successivo è stata eletta segretaria del Partito radicale, carica che le è stata riconfermata per il 1978 al Congresso di Bologna. Estratta a sorte, nel marzo 1978, come giurata popolare nel processo di Torino alle Brigate Rosse, ha accettato l'incarico dopo che si erano verificati più di cento rifiuti da parte di altrettanti cittadini, consentendo così la celebrazione del processo.
Adelaide Aglietta è stata dunque il primo segretario di partito a partecipare ad una giuria popolare: il suo diario nasce da quest'esperienza al confine del lavoro politico e della vita privata, fra le tensioni e contraddizioni che il ruolo di giudice popolare, soprattutto in un processo politico, non può non creare.
Attualmente è deputata al Parlamento europeo.
("DIARIO DI UNA GIURATA POPOLARE AL PROCESSO DELLE BRIGATE ROSSE" - Adelaide Aglietta - Prefazione di Leonardo Sciascia - Milano Libri Edizioni - febbraio 1979)
FRATE MITRA
Sabato 13 maggio. Vengono lette le testimonianze di Silvano Girotto oramai dato per disperso. C'è un drammatico confronto in aula fra la Carletti ed un ragazzo per anni legatissimo alla donna, poi diventato informatore della polizia: è lui che carpendone la buona fede nel modo più subdolo ha puntato l'indice contro di lei. "Nonna Mao" gli urla in faccia tutto il suo disprezzo. L'udienza viene sospesa e il teste licenziato. Alcuni avvocati paiono voler protestare perché è stato intimidito in teste, ma la cosa è platealmente ridicola e la polemica si spegne subito. Dopo questo episodio la Carletti scomparirà dalla caserma Lamarmora.
Domenica 14 maggio si svolgono le elezioni amministrative in molti comuni italiani: la DC cresce sensibilmente, e si registra anche una consistente avanzata del PSI. Il PCI accusa invece una pesante flessione: è presto chiaro che larga parte di quell'elettorato che nel '76 aveva votato il PCI, consentendogli il "grande balzo", non ha rinnovato la sua fiducia. Le elezioni del 14 maggio rappresentano, in un ceto senso, il primo sintomo di una situazione che va configurandosi e che esploderà con i referendum dell'11 giugno e nelle successive tornate elettorali.
Martedì 16 maggio. Al tribunale, appena mi vede, Barbaro mi Sussurra che è arrivato Silvano Girotto. Stupita gli domando come mai, che cosa ha spinto Dalla Chiesa a tirarlo fuori dal cappello. Non lo sa neppure lui, appare molto seccato da quest'ennesimo episodio di gestione esterna del processo. La notizia serpeggia fra gli avvocati e fra i giurati. C'è da una parte indignazione e dall'latra curiosità e attesa. Mancano alcuni degli avvocati difensori interessati a questa deposizione e si decide di avvertirli, spostando la testimonianza al pomeriggio. In aula Ognibene ha appena fatto un commento ironico sulla irreperibilità del teste.
Alle due del pomeriggio, l'aula è zeppa di avvocati, rappresentanti della stampa, curiosi. Barbaro, infastidito, rileva la presenza di alcuni avvocati che hanno rifiutato la difesa d'ufficio e non risparmia loro commenti polemici.
Magro, coprendosi il volto con una mano, Girotto entra per iniziare il suo show. Dalle quattordici alle diciotto farà il racconto delle sue vicissitudini e risponderà alle domande poste dai difensori, con precisione ed esattezza rispetto alle sue passate testimonianze, usando le stesse identiche espressioni, incisi, parole della famosa testimonianza a futura memoria, quasi l'avesse ripassata il giorno prima. Ci sono discordanze con le testimonianze del capitano Pignero. Non aggiunge nulla a quanto già si sapeva, non porta elementi di maggiore utilità per capire e provare i capi d'accusa contro il gruppo di Borgomanero.
Mentre parla a getto continuo, salvo rifugiarsi, su alcune contestazioni della difesa, nel "non ricordo, è passato troppo tempo", lo osservo attentamente cercando di metterlo a fuoco, sento crescere in me un profondo disagio. Non è solo conseguenza di una avversione conformista e scontata per chi fa il suo mestiere. Il suo modo di fare gesuitico, come le cose dette sottovoce, lo sguardo sfuggente in mille direzioni, il concentrato di ambiguità e ipocrisia della sua esposizione, il tentativo superfluo di giustificare ideologicamente il suo operato mi rendono ostico l'approccio al personaggio. Una maggior chiarezza di se stesso, delle sue azioni, delle sue motivazioni, anche se difficilmente stimabili o vendibili al perbenismo comune, avrebbe certamente reso la figura più credibile. Alla fine dell'udienza - molto lunga e stancante - trascorsa nel silenzio assoluto e impassibile degli imputati, me ne torno a casa pensierosa, dopo aver verificato che non sono la sola ad avere questo disagio e a rimuginare la dom
anda: "cui prodest?".
Si è aperto e subito rinviato intanto il processo a Camilla Cederna, intentatogli dai figli del presidente Leone, naturalmente non sulle accuse più gravi contenute nel libro, ma su fatti marginali. Attraverso il libro della Cederna e la campagna dell'"Espresso" sono venuti alla luce fatti sui quali i deputati radicali più di un anno fa avevano chiesto, formulando una precisa denuncia, un supplemento di indagine alla Commissione inquirente. Eravamo stati accusati di volere una campagna "destabilizzante" e si era archiviata la denuncia. Oggi, grazie al libro della Cederna, si riapre questo caso che si concluderà nel momento in cui "politicamente" sarà utile: Leone sarà il capro espiatorio da offrire al 43 per cento di SI' sul finanziamento pubblico. In mezzo alle polemiche su Leone, alle analisi postelettorali, al processo di Torino, quella che però, non a caso, viene letteralmente soffocata è la campagna per i referendum: c'è stato un tacito accordo fra i partiti della maggioranza per comprimere e dilazionare
l'apertura del dibattito. I giornali tacciono, la televisione pure, le trasmissioni di Tribuna politica sono ridotte all'osso dalla Commissione di vigilanza e non sono ancora iniziate, manifesti non se ne vedono (i nostri per mancanza di fondi, quelli degli altri per ritardare il più possibile il momento dello scontro e quindi della conoscenza, con la speranza di trasformare i referendum in un plebiscito).