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Teodori Massimo - 22 marzo 1979
I Radicali di fronte alle elezioni
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Teodori individua l'orientamento di DC e PCI ad affrontarsi nelle elezioni per riguadagnare, rispettivamente sulla destra e sulla sinistra, quelle aree di consenso e di elettorato la cui fedeltà era stata messa in dubbio dalla "politica del confronto".

Ricorda come, in risposta alla profonda crisi che lo ha attraversato, il PCI abbia solo cercato di indurire la sua facciata senza però mutare la sostanza politica, non abbandonando la politica del compromesso storico che sottende quella dell'unità nazionale.

Nel 1976 i radicali affrontarono per la prima volta le elezioni politiche nazionali conseguendo il piccolo ma significativo successo di portare nelle istituzioni i rappresentanti di battaglie politiche che fino ad allora si erano svolte nella società.

Ora il compito della presenza elettorale radicale è di assicurare la presenza nelle istituzioni non soltanto di una piccola ed alacre pattuglia, dinamica ma impari al compito da affrontare, ma un sostanzioso gruppo di parlamentari, per diventare punto di riferimento per tutte le sinistre.

E'necessario inoltre andare alle elezioni accentuando le proprie caratteristiche, cosa che hanno fatto i radicali distinguendosi per gli obiettivi ed i metodi sia dalla sinistra tradizionale che da quella cosiddetta "rivoluzionaria".

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Gennaio-Marzo 1979, N. 11)

Mentre scriviamo (10 marzo) non è stato ancora deciso lo scioglimento delle Camere, ma appaiono ormai probabilissime le elezioni anticipate, all'inizio di maggio, un mese prima delle europee, o il 10 giugno con una consultazione abbinata. Si conclude così una ormai lunga e duplice vicenda. Quella della "débacle" della sinistra iniziata all'indomani delle scelte rinunciatarie del dopo 20 giugno 1976. E quella del balletto che ha avuto come protagonisti la DC e il PCI fin dal novembre scorso, da quando cioè i due maggiori partiti, non senza spinte interne contrastanti, si sono prevalentemente orientati ad affrontarsi nelle elezioni per riguadagnare, il PCI sulla sinistra, la DC sulla destra, quelle aree di consenso e di elettorato la cui fedeltà ai rispettivi partiti era stata messa in dubbio dalla "politica del confronto".

Il PCI è stato attraversato da una profonda crisi interna. Per mesi hanno circolato notizie, indiscrezioni e indagini che mettevano in evidenza il passaggio da un ciclo ascendente ad uno discendente quanto a capacità di attrazione del PCI e insieme un alto grado di scollamento interno. La risposta comunista è stata quella di tentare di mutare immagine di partito "indurendo" una certa facciata e non già di mutare sostanza politica. Non è stata messa in discussione, almeno apertamente, l'antica linea del dialogo privilegiato di "unità nazionale", ma solo il fatto che la DC non fosse disposta a cedere e ad accettare la presenza comunista al governo. Il PCI non ha voluto mai riconoscere che le "inadempienze" del governo Andreotti, e la formazione di maggioranze diverse da quella dei cinque partiti, fossero in realtà fatti permanenti e non accidentali, cioè espressione di una linea conseguente della DC. Il partito di maggioranza è disponibile a dialogare e ad usare l'appoggio comunista solo nella misura in cui es

so risulta indispensabile per salvare il suo potere e la sua possibilità di superare momenti difficili. Questa è la regola aurea delle collaborazioni democristiane con i partiti minori, con i socialisti, e più di recente anche con i comunisti. Ma Berlinguer non può riconoscere quello che è l'evidenza di questi ultimi due/tre anni: il risultato fallimentare della collaborazione della sinistra con il blocco clerico-moderato, l'impossibilità di spostare con questa linea l'asse della politica italiana, e il rafforzamento della DC invece che la sua lacerazione. Riconoscerlo avrebbe significato, per la dirigenza del PCI, invertire la rotta, e oltre che smascherare l'avversario in un certo senso colpire anche se stessi: aprire cioè un processo di revisione dei tanti postulati che hanno sorretto l'azione comunista da un decennio.

Il gioco delle parti tra DC e PCI

E' così che le considerazioni tattiche hanno prevalso su quelle complessive sui destini della sinistra in Italia e la scelta di andare alle elezioni anticipate - sostanzialmente accettata e, da un certo punto in poi, favorita anche se mai espressamente dichiarata - è stato un "escamotage" per risolvere questioni interne (per esempio le riappropriazioni di diffusi atteggiamenti stalinisti) e di immagine nel paese. Nonostante i risultati degli ultimi anni, nonostante la prova di ingovernabilità con una grande maggioranza, nonostante l'indebolimento della sinistra, la politica di unità nazionale, e quella che la sottende del compromesso storico, non viene abbandonata e il PCI indica in una "opposizione costruttiva" il proprio indirizzo per il futuro, quasi che vi potesse essere, in un sistema parlamentare, un'opposizione "distruttiva".

Il recupero di un volto di opposizione ha per il PCI puro carattere elettoralistico e quindi non indicativo. (Così come, specularmente, dietro le bordate anticomuniste di Donat Cattin vi è il tentativo della intera DC di coprire tutto lo spazio a destra). Ma, al di là del voto c'è il vuoto di indicazioni politiche e di strategia. Le terze elezioni anticipate consecutive che il paese è chiamato ad affrontare, dopo lo scioglimento nel 1972 e quello del 1976, hanno un carattere ancora più effimero delle precedenti. Su cosa si voterà? Il PCI seguiterà a sostenere che senza la sua grande forza non si governa e, contemporaneamente. che si impone la necessità di un accordo con la DC: chiederà di essere rafforzato per meglio "condizionare" la DC. E' così probabile che la campagna elettorale si svolgerà sulla base di proposte confuse e su posizioni ambigue - salvo la probabile retorica "dura" di facciata -, che non consentiranno di individuare le varie alternative in gioco. Prevarrà nella DC e nel PCI la preoccupazio

ne che ha fatto da trama sotterranea del gioco politico negli ultimi mesi: e cioè la volontà di schiacciare le forze intermedie, cioè essenzialmente i socialisti, per riproporre, comunque, all'indomani delle elezioni, un sistema politico imperniato su un tendenziale bipolarismo DC-PCI con tendenze dei due poli alla convergenza e alla consociazione piuttosto che alla alternanza.

Dall'obiettivo referendum a quello elezioni

Come affronteranno i radicali le elezioni e su quale piattaforma? Era previsto, per i prossimi mesi, prima che fosse arrivata a conclusione la corsa verso le elezioni anticipate, la realizzazione di un nuovo progetto referendario. Ancora otto referendum: aborto, nucleare, reati d'opinione, ergastolo, caccia, smilitarizzazione della PS e della guardia di Finanza, tribunali militari. Gli obiettivi dietro al progetto, possono essere così schematizzati: primo, continuare ad attivare l'unico istituto esistente di democrazia diretta dopo i colpi ad esso apportati dalla Corte costituzionale e dalle varie interpretazioni "politiche" dello scorso anno; secondo, inserire nell'agenda politica nazionale temi e problemi che le forze politiche di maggioranza hanno accuratamente tenuto lontano; terzo, rinviare direttamente alla decisione popolare questioni di vitale importanza per il futuro nazionale (vedi il nucleare) e riaprire il dibattito sui problemi tutt'altro che risolti dalle nuove legislazioni (vedi l'aborto); qua

rto, dare voce alla domanda politica del paese "anche" attraverso canali esterni alla esclusiva mediazione partitica, provocando processi di diversificazione e di consolidamento democratico come è già avvenuto nel 1974 e nel 1978 con beneficio delle istituzioni in alternativa alla disperazione, alla violenza e alla rassegnazione. Ma, a questo punto, la raccolta delle firme per i referendum non si potrà più effettuare a causa delle elezioni e sarà rinviata al 1980. Qualche decina di migliaia di militanti non potranno essere impegnati in un progetto di partecipazione civile e politica che avrebbe sicuramente coinvolto centinaia di migliaia di cittadini e, poi, nel voto dell'anno successivo, l'intero paese.

Che senso ha ora, dunque, la trasformazione di un tale progetto di mobilitazione dall'obiettivo referendum a quello elezioni?

La "diversità" radicale nel parlamento e nel paese

Nel 1976 per la prima volta i radicali affrontavano le elezioni politiche nazionali conseguendo quel piccolo ma significativo successo di portare direttamente nelle istituzioni i rappresentanti di battaglie politiche che fino ad allora si erano svolte nella società ed avevano esercitato una pressione esterna per ottenere leggi nuove e trasformazioni istituzionali. Significativa, nel 1976, l'elezione di quattro parlamentari radicali perché per la prima volta dal dopoguerra si rompevano gli ostacoli che si frapponevano al salto parlamentare per le nuove formazioni, oggi dopo quasi tre anni, la prova data da questa sia pur esigua rappresentanza parlamentare, sembra sotto ogni aspetto positiva per il tasso di novità, di contestazione e di opposizione introdotto dai radicali nelle aule parlamentari. Uno dei motivi che sintetizzavano la campagna del 1976 "un eletto in più della sinistra cambia assai poco, mentre un solo radicale in parlamento costituisce un salto qualitativo", si è tradotto in provata realtà.

Nel 1978 i due "referendum radicali" - nel senso che erano stati proposti e fino all'ultimo sostenuti dall'azione radicale contro la diffusa opposizione di tutti o quasi i partiti tradizionali - davano ancora il segno di una "diversità" politica che i partiti non riuscivano ad esprimere. I clamorosi risultati di un orientamento di massa (sia nella Reale che per il finanziamento dei partiti ) divergente da quello delle forze tradizionali rappresentavano del resto la spia di quanto avanzato fosse ormai quel processo di "laicizzazione" su cui più volte ci siamo soffermati, e quali profonde radici il "fenomeno radicale" ormai avesse per ciò che riguarda il rapporto tra società civile e società politica.

Ora le imminenti elezioni politiche generali intervengono in un momento in cui non sono ancora chiari i nuovi orientamenti dei maggiori partiti dopo il logoramento o la fine di tutte le maggiori ipotesi sul tappeto (compromesso storico, unità nazionale, rappresentanza e mediazione politica integralmente effettuata dai partiti). In questo vuoto generale è tanto più importante esplicitare quello che può essere il significato di una presenza radicale.

Un ampio gruppo parlamentare come punto di riferimento per tutte le sinistre

Il Partito Radicale da semplice cuneo nelle istituzioni si sta obiettivamente trasformando in portatore di una proposta politica alternativa all'interno della sinistra e nel rapporto tra politica e società. Più e più la sinistra tradizionale ha dovuto fare i conti con le impostazioni radicali che sono venute assumendo il valore di un polo originale rispetto al PCI e al PSI. Perciò, il primo compito della presenza elettorale radicale è di assicurare che domani non sia presente nelle istituzioni soltanto una piccola ed alacre pattuglia, certamente, dinamica ma impari al compito da affrontare, ma un sostanzioso gruppo di parlamentari, con la possibilità e la forza di costituire un punto di riferimento anche per il resto della sinistra, o almeno per quella parte - la socialista - che vive in sé la contraddizione tra spinte nuove a abitudini vecchie. Lo abbiamo più volte sostenuto: la rifondazione e la rinascita di una grande forza socialista e libertaria passa attraverso una prima fase di rafforzamento del conse

nso intorno a chi ne ha espresso con maggiore forza e precisione la necessità, e cioè attraverso la crescita del Partito Radicale.

Ma la campagna elettorale dei radicali e poi l'azione nelle assemblee elettive, si dovrà far carico proprio di quei temi specifici che, in gran parte, sono proprio quelli per cui sono stati chiesti i referendum.

La questione nucleare è aperta e la sua soluzione in un senso o nell'altro si deciderà nei prossimi mesi.

Sull'ordine pubblico (quindi sulle leggi che lo regolano, dalla Reale ai reati d'opinione...) si scontreranno sempre più impostazioni contrapposte: o lo sviluppo di una "politica delle libertà" accompagnata da un'efficienza non cieca, o la corsa verso il deperimento dello stato di diritto e del garantismo con la crescita di sempre maggiori tratti autoritari.

I diritti civili seguiteranno ad essere il nodo cruciale che dividerà, da una parte, chi pensa ad una democrazia in cui i soggetti legittimati alla partecipazione politica ed alla difesa dei propri interessi sono "soltanto" i corpi organizzati e chi, invece, tenta di disegnare strumenti e possibilità di intervento anche per coloro che non ne fanno parte e, meglio, anche per chi ritiene necessario l'esercizio dei diritti all'interno degli stessi corpi organizzati.

L'ambiente, la sua difesa, e il modo di concepire la ragione dello sviluppo e della crescita con le necessarie ripercussioni strutturali nella economia e nella organizzazione sociale saranno terreni sui quali si giocherà sempre più anche la ridefinizione delle linee di divisione tra destra e sinistra e il modo stesso di valutare che cosa è sinistra. E' questo un campo - vedi per esempio, il referendum sulla caccia che ne rappresenta un aspetto, pur se esemplare - in cui lo scontro si farà sempre più acuto e nel quale l'organizzazione degli interessi diffusi tra i cittadini contro quelli organizzati nei potentati economici richiederà una non indifferente capacità di offerta di sbocchi parlamentari.

Ognuno vada alle elezioni accentuando le proprie caratteristiche

Queste sono alcune ragioni per un impegno radicale elettorale e parlamentare. Sono tutte ragioni che comportano una presenza individuata, esplicita, riconoscibile del simbolo radicale con quella sua peculiarità politica di cui si è caricato in anni di azioni, lotte e proposte. Si impone quindi al Partito Radicale la responsabilità di offrire oggi con proprie liste a scala nazionale un'indicazione complessiva ancora più marcata di quanto lo fosse nel 1976. I radicali si sono posti con tratti caratteristici all'interno della sinistra, distinguendosi per gli obiettivi e per i metodi sia dalla sinistra tradizionale che da quella cosiddetta "rivoluzionaria". L'elettorato ha il diritto di giudicare, tanto più che soltanto negli ultimi anni la nozione stessa di una proposta radicale si è allargata raggiungendo zone ampie della pubblica opinione, pur se ancora limitate per le ben note ragioni del controllo dei mezzi di comunicazione di massa.

Sarà un elemento di chiarezza il fatto che si presenteranno a sinistra diverse posizioni, diverse proposte e quindi diverse possibilità di scelta. Non è in fase elettorale che si possono realizzare processi di collaborazione e di unità che non sono maturati nel fuoco della lotta politica. Così sarà un fatto positivo che i socialisti del PSI vadano a verificare i loro consensi elettorali dopo la svolta dell'ultimo anno oscillante tra una politica di autonomia dalle sudditanze politiche esterne e comportamenti interni ad un determinato "quadro politico" di cui la filosofia e la pratica della cosiddetta "unità nazionale" ha rappresentato il principale motivo. E' solo da un processo che coinvolga forze ben più larghe di quelle che attualmente sono inquadrate dal PSI e dallo stesso PR che possono avviarsi future ipotesi di confronto politico, possibili ma difficili.

A Democrazia Proletaria, il partitino che dopo una serie di unificazioni e scissioni rimane oggi a rappresentare l'anima marxista non revisionista dello schieramento socialista e comunista, certamente ci unisce la collocazione di opposizione alla maggioranza di unità nazionale e, per altri versi, alcune posizioni come quella, per fare un esempio, anti-nucleare. Tuttavia più di un motivo. non solo accidentale, separa in questo momento demoproletari e radicali, sia nell'impostazione generale, sia nella pratica politica e nelle scelte d'ogni giorno. Al recupero di una purezza "rivoluzionaria" ed alla ipotesi di un partito che ne sia l'avanguardia, i radicali oppongono la ricerca di un'unità sulle cose, cioè di un'unità di comportamenti intorno ad azioni e battaglie che molte volte è stata criticata proprio dalla cosiddetta "sinistra di classe". Più in generale, è la concezione stessa del partito e del suo rapporto con la società che ci divide dai demoproletari, troppo legati ai moduli tradizionali del patrimoni

o comunista per consentire con i moduli libertari dei radicali.

Pertanto ci pare che, come per i radicali, sia un dovere anche per i demoproletari articolare una compiuta proposta al paese, magari raccogliendo sotto il cartello DP tutte le forze e i gruppi che alla sinistra del PCI ritengono di appartenere all'area marxista e rivoluzionaria. Una tale presenza può consentire all'intero schieramento di opposizione di allargare il campo di attrazione senza inutili confusioni. La stessa Lotta Continua, dissoltasi come organizzazione per esser presente "nel movimento", ha a questo punto il dovere di orientare il suo contributo elettorale decidendo se esso è più omogeneo a quello radicale o a quello demoproletario.

Massimizzare i risultati elettorali con accordi tecnici al Senato

Certo, al di là delle ragioni politiche, giocano sempre in sede elettorale calcoli tecnici sulla necessità di non disperdere il voto e di perseguire la maggiore efficacia possibile con l'ottenimento di specifici risultati. Tali responsabili considerazioni non sono mai state estranee ai radicali fin da quando, nel 1976, proposero un "accordo tecnico" al cartello di Democrazia Proletaria perché le due liste - PR e DP - si astenessero dal presentarsi in un collegio a reciproco beneficio dell'altra lista, si da non correre il pericolo di non raggiungere almeno un intero quoziente elettorale. Allora quella proposta non fu accettata e, per un ristrettissimo margine di voti, il pericolo paventato non si verificò. Oggi tuttavia il caso è diverso: sia i radicali che i demoproletari, secondo ogni ragionevole previsione (confortata anche dai sondaggi d'opinione) non corrono il rischio di non raggiungere il quorum: semmai ciò si può verificare per il PDUP che sembra voler presentare proprie liste autonome ma la cui vice

nda è legata più alla sopravvivenza di una sigla e di alcune persone che non ad un reale rapporto con un consenso nel paese e con una politica distintiva. Quindi il problema ritorna dal campo dell'opportunità di accordo elettorale a quello della ragione politica. E, per quel che si è già detto, tutto depone a favore di una presentazione separata di PR e DP piuttosto che congiunta.

Diverso, semmai, è il discorso per ciò che riguarda le liste per il Senato, dove, in termini di meccanismo elettorale, la probabilità di una dispersione del voto è assai alta. Qui, al fine di massimizzare i risultati, i radicali potranno e dovranno, proprio per la responsabilità che portano rispetto ai propri elettori, tentare di arrivare ad "accordi tecnici" nei confronti delle due formazioni che, per diverse ed opposte ragioni, incontrano sulla strada delle proprie iniziative: il PSI e DP. Nel primo caso un accordo da ricercare con il PSI dovrebbe basarsi almeno su alcuni impegni socialisti rispetto a lotte radicali; nel secondo caso un cartello con DP dovrebbe assumere il significato di uno schieramento aperto a forze, gruppi e persone che assumono apertamente e decisamente come propria base comune la opposizione al compromesso storico, alla unità nazionale ed a qualsiasi altra formula che veda invischiata la sinistra nella politica e nella pratica di accordo con la DC.

 
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