Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
lun 20 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Bandinelli Angiolo - 1 aprile 1979
Politica: maschio o femmina?
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO. Se il "Politico" è "spazio eminentemente maschile", i radicali hanno preferito la politica "al femminile", che ha quale suo strumento "privilegiato" la "parola". La parola radicale ha avuto come suo "bersaglio" preferito il Potere, e come obiettivo "far deperire il Potere". Nella società contemporanea vi è, certo, bisogno anche di mediazioni che spezzino il rapporto diretto tra potere e il "popolo". Ma non è detto che questo compito di mediazione debba essere assolto dai partiti quali oggi sono e si esprimono. La politica radicale ha dunque come suo obiettivo profondo quello di mettere in movimento, di scompaginare e rimettere in discussione, tramite la parola, i partiti: i referendum hanno assolto precisamente a questa funzione.

(ARGOMENTI RADICALI, aprile-settembre 1979 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)

Il Politico è spazio eminentemente maschile, si coniuga infatti con Potere. Finora, i radicali hanno invece preferito la politica, al femminile come non transeunte omaggio alla liberazione delia donna. La politica, di fatto, ha quale suo strumento privilegiato la parola. Per necessità, per povertà di mezzi, per scaltrezza guittesca, ma soprattutto per intelligenza storica, la parola ha fatto aggio, nelle iniziative radicali, su ogni altra forma di intervento e di presenza. E' stata non solo veicolo, ma oggetto della politica radicale. Suo bersaglio preferito, il potere: far deperire il potere. Disegno non transeunte, si spera.

Certamente i rischi sono stati moltissimi. La parola è anche ambigua. Se da una parte essa gestisce il potere nel senso che lo mette a disposizione, lo divide e lo partecipa, è vero anche che a volte può farlo in termini pericolosi e inquietanti. Il fascismo scoprì la forza della parola in opposizione ad una politica gretta e intraducibile, ma con la stessa parola ricostituì la monolitica compattezza del Politico, del Potere.

E vi è, d'altra parte, la necessità delle mediazioni. Le mediazioni sono necessarie, ce lo ricorda Cacciari: l'hegeliano Pöbel - la plebe - è l'irrelativo negativo (1). Ma perché considerare impraticabile l'ipotesi della riappropriazione diretta da parte della società, delle masse, della capacità - del "diritto civile" - ad esprimere valori attraverso altre mediazioni che non siano i partiti, questi partiti? In un primo luogo attraverso il rischio del linguaggio, della parola, che storicizza e media i meri, grezzi bisogni? E perché non potrebbe essere necessario persino liberare i partiti della responsabilità di dover rappresentare l'elemento utopico, totalizzante, ideale/ideologizzante che è sale e fermento delle società moderne, le sommuove, le accultura e ne fa dati comunque antagonistici alle istituzioni, perfino alla datità della forma-Stato? Occorre rendere mobilità a certe categorie. Occorre rifiutare l'interpretazione di un Baget Bozzo, quando attribuisce al partito radicale il ruolo di "negatore del

la storia" - appunto, i partiti, lo Stato, ecc. - e di esaltatore della cruda "natura" dell'immediato, della pura e semplice - magari - corporeità.

La politica, non vi è dubbio, agisce in superficie, a livello di linguaggio, di rapporti, di comportamenti, di bisogni: essa ha come assioma che l'alienazione non è un irriducibile (come è secondo i francofortesi), ma un processo che può essere combattuto anche nel qui e nell'oggi attraverso il comportamento, l'ironia, la scelta anche volontaristica degli obiettivi e dei fini, e non solo attraverso una regolazione globale, intellettuale della società. La politica - o non sarebbe nemmeno possibile - è ottimismo dell'azione. Così, penso che coerentemente a questo "modello", almeno fino ad oggi si debba parlare soprattutto di politica radicale, prima ancora che di partito radicale; nello stesso senso in cui si parla - mi scuso degli accostamenti - di cavourismo e di giolittismo. Questa politica ha avuto e ha i suoi soggetti, che però non sempre si identificano e coincidono con il partito. I referendum sono stati un modo di esprimersi di questa politica.

NOTA

(1) Massimo Cacciari: "Dialettica e critica del Politico", Feltrinelli, 1978.

 
Argomenti correlati:
referendum
stampa questo documento invia questa pagina per mail