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Scalfari Eugenio - 15 aprile 1979
E' questa la sfida che noi preferiamo
di Eugenio Scalfari

SOMMARIO: Con un fondo di prima pagina (sottolineato da una vignetta di Forattini che mostra Pannella vestito da papa che abbraccia Wojtyla), il direttore del quotidiano "La Repubblica" spiega le ragioni che lo hanno spinto a patrocinare la campagna contro lo sterminio per fame promossa da Marco Pannella e l'importanza della "marcia di pasqua" che si concluderà a S. Pietro. »Eravamo occupati - tutti - nella conquista o nella gestione del potere. Grandi poteri o piccoli o infimi poteri, non importa ... l'iniziativa per il disarmo e per la vita ha il pregio di obbligarci ad uscire da questo sterile labirinto, riscoprendo valori comunitari, al tempo stesso carichi d'umanità e di profonda e pacifica rivoluzione . »La marcia laica di oggi è il rilancio d'una grande sfida su un terreno che è proprio dei cristiani e che purtroppo molte volte le istituzioni cristiane e cattoliche hanno disertato ... del papa andiamo a sentire, una volta tanto, la parola con rispettosa attesa .

(LA REPUBBLICA, 15-16 aprile 1979)

Sarà una Pasqua singolare quella di oggi, a Roma. Non era mai accaduto, infatti, che un corteo di laici, anzi di anticlericali, marciasse pacificamente su piazza San Pietro per ascoltare »con umiltà - come ha scritto su queste colonne Marco Pannella - una parola del papa a proposito delle lotte per il disarmo e per la vita.

Chi scrive queste righe non fa parte del comitato che ha promosso l'iniziativa e che comprende uomini di differenti appartenenze politiche e culturali. Ma, avendo fin dall'inizio patrocinato il progetto d'una mobilitazione di massa per ottenere dal governo un impegno concreto e fattivo contro la fame nel mondo, credo di poter spiegare perché, qui ed oggi, una Pasqua così imprevedibile per i laici e per gli anticlericali d'Italia.

C'è il fatto di 30 milioni di bambini - 17 dei quali al di sotto dei quattro anni - che muoiono ogni anno. Si dirà che un numero molto alto di persone muore per un'infinità di altre cause comunque connesse ai meccanismi del sistema nell'ambito del quale viviamo. Penso alle inutili guerre, agli infortuni sul lavoro (gli omicidi "bianchi"), agli incidenti dovuti ad una patologica motorizzazione. Ma nessuna di queste altre cause miete un numero di vittime così elevato, nessuna colpisce l'infanzia in modo così specifico, nessuna infine ha un così spiccato carattere d'involontarietà come il morir per fame, con la sola colpa d'esser nati in certe condizioni sociali e in certe zone del mondo.

E questa è la prima ragione. Da sola basterebbe, ma ce ne sono altre che individuano meglio i connotati di questa grande battaglia.

La morte per fame e povertà non è un fatto nuovo. Come mai ce ne accorgiamo soltanto oggi? Eravamo distratti perché troppo occupati altrove?

Certo: eravamo distratti e troppo occupati altrove. In che cosa?

La risposta non è difficile: eravamo occupati - tutti - nella conquista o nella gestione del potere. Grandi poteri o piccoli o infimi poteri, non importa. Ma quella era ed è la principale occupazione sia di chi sta dentro al sistema sia di chi ne sta al di fuori.

L'iniziativa per il disarmo e per la vita ha il pregio di obbligarci ad uscire da questo sterile labirinto, riscoprendo valori comunitari, al tempo stesso carichi d'umanità e di profonda e pacifica rivoluzione. Perché questo è il punto: non si tratta di questuare gli spiccioli dai bilanci degli Stati del mondo per mandare pacchi di medicine e scatole di latte in polvere nei paesi della miseria, bensì di modificare profondamente la struttura dello sviluppo, e quindi degli investimenti e dei consumi e del modo di vivere di ciascuno.

Sembra un obiettivo non raggiungibile; sicuramente è un obiettivo difficile e lontano. Ma il fatto stesso di aver mobilitato masse di persone a battersi per esso, superando rivalità e abbattendo steccati che sembravano insuperabili, significa pur qualcosa. E questa è la seconda ragione: per il disarmo e per la vita è uno slogan che rifiuta l'ingiustizia sociale, la violenza degli Stati, la violenza degli individui e - soprattutto - il loro ritrarsi nel privato e quindi nella sfiducia per ogni ideale.

E con chi si debbono misurare i laici, una volta che abbiano deciso di scendere sul terreno comunitario della nonviolenza e della pacifica rivoluzione verso nuove speranze di vita, se non con i cristiani?

La marcia laica di oggi è il rilancio d'una grande sfida su un terreno che è proprio dei cristiani e che purtroppo molte volte le istituzioni cristiane e cattoliche hanno disertato.

Oggi un movimento laico decide di confrontarsi con quelle istituzioni, al tempo stesso sul terreno dei princìpi e dei comportamenti. Ciò significa che la sfida obbligherà tutti coloro che vi partecipano ad essere assai rigorosi: rigore per i laici, ai quali non saranno consentite furbizie e strumentalizzazioni di sorta, e rigore per i cristiani, i quali dovranno anch'essi dar prova che l'amor del prossimo può e dev'essere una pratica di vita se non vuole ridursi ad una frusta giaculatoria.

Del papa andiamo a sentire, una volta tanto, la parola con rispettosa attesa. Essa sarà commisurata al rispetto che il capo della Chiesa avrà per un corteo di uomini e donne che chiede alla Chiesa soltanto di fare sul serio ciò che la sua stessa fede le comanda.

 
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