di Paolo SprianoSOMMARIO: Per Spriano il Partito radicale rappresenta oggi in Italia il nuovo qualunquismo. "La stessa condanna sommaria, la stessa ripresa di motivi, che prescindono da qualsiasi valutazione della lotta politica e sociale in atto. Lo stile dell'insulto non è cambiato, neppure questo". "Certo, neppure il qualunquismo operaio nasce soltanto dalla propaganda. Ha la sua base nelle sofferenze reali dei lavoratori [...] Ma la mentalità qualunquistica, quella per cui, a un certo momento, la sfiducia si indirizza contro tutto e tutti, dai »partiti ai sindacati fino al delegato d'officina, è, come sempre nel passato, la negazione di una coscienza di classe matura, è un passo indietro, verso il corporativismo, oppure la sterile protesta individuale". "Il nuovo qualunquismo ha tratti negativi, profondamente reazionari, che ricava spesso da tutto il polverone ideologico »libertario ."C'è una cartina di torna sole infallibile per controllare la natura di questa accanita propaganda che è giusto chiamare di nuovo qualunq
uismo. E' che di essa il bersaglio principale è sempre il partito comunista, l'anima è l'anticomunismo più scatenato. Il PCI è il nemico da battere. La DC può stare alla finestra".
(L'UNITA', 3 maggio 1979)
Abbiamo un nemico che si chiama qualunquismo, oggi particolarmente insidioso, perché diffuso e spesso mascherato. Può portare le più varie insegne elettorali, dal qualunquismo come base della rassegnazione e della paura del nuovo che si annida dietro lo scudo crociato a quello »storico della destra, con il tipico slogan missino della avversione al »regime (cioè alla democrazia), al nuovo qualunquismo che veste panni radicali o sovversivi, anch'esso teso a teorizzare l'estraneità del cittadino dallo Stato, al »sistema . E' evidente che la mentalità qualunquistica, assai radicata in vasti strati popolari, è alimentata in primo luogo da quel modo di governare che è tipico della DC, dalla rete di corruttele, di clientelismi, di ingiustizie e di impunità che essa ha steso sulla nazione intera, dal senso di impotenza e di schifo che ogni cittadino prova dinanzi allo sfascio di strumenti, organismi, istituti pubblici essenziali, dalla disgregazione di tanta parte della stessa vita sociale. Il qualunquismo, però,
forma così un circolo vizioso, raccoglie disagi e sfiducia e semina nuovi germi, insieme di dissoluzione e di conservatorismo. E' il nemico di chi vuole cambiare le cose e dice agli elettori che esse non solo si debbono ma si possono cambiare.
Ci si scandalizza spesso quando noi diamo del qualunquista anche a chi non è conservatore o reazionario o magari è convinto di essere più a sinistra di noi. Eppure ci sono fenomeni e motivi di analogia, impressionanti, tra vecchio e nuovo qualunquismo. L'ideologia dell'Uomo qualunque dell'immediato dopoguerra ereditava anch'essa un male che il fascismo del ventennio aveva lasciato dietro di sé, nel crollo dei suoi miti e del paese intero, quello che Eugenio Curiel chiamava »l'infinito scetticismo che uccide ogni possibile fiducia in un ideale , ogni speranza che i governati potessero influire sui governanti, che la democrazia politica potesse essere una realtà operante. Quella mentalità è tutt'altro che vinta, riprende, a volte letteralmente, la vecchia solfa. Per l'uomo qualunque del 1944 48 i partiti antifascisti sono nient'altro che la continuazione del potere fascista della dittatura. Questi rubano come quelli rubavano, congiurano a defraudare il poveraccio. Anzi, per il Giannini del 1944 i veri fascisti
sono gli antifascisti dei CLN, dei governi di unità nazionale. Per il Pannella del 1979 c'è l'ammucchiata, al posto della »esarchia del dopoguerra. La stessa condanna sommaria, la stessa ripresa di motivi, che prescindono da qualsiasi valutazione della lotta politica e sociale in atto. Lo stile dell'insulto (semmai, ora con un particolare vittimismo e senza quel minimo di ironia bonaria che caratterizzava il vecchio Giannini: i radicali, quando non sono »incazzati , ma lo sono quasi sempre, strillano, piangono, chiamano tutto l'etere che cercano d'occupare a testimone dei soprusi che si perpetuano quotidianamente ai loro danni) non è cambiato, neppure questo. La grande battuta dell'U.Q. era: »Non ci rompete i coglioni! . Il linguaggio becero di oggi ricalca quelle orme.
Ma il problema delle varie manifestazioni e facce del qualunquismo ha dimensioni sociali che vanno colte in tutta la loro pericolosità. Non a caso le versioni sovversive e radicali blandiscono il qualunquismo che si annida anche nella classe operaia, lo esaltano, lo contrabbandano come un segno di intransigenza classista. Gli operai comunisti si trovano quotidianamente a fronteggiare questa mentalità, nelle lotte sindacali così come nella battaglia contro il terrorismo. Certo, neppure il qualunquismo operaio nasce soltanto dalla propaganda. Ha la sua base nelle sofferenze reali dei lavoratori, nella coscienza che essi hanno di pagare sempre i prezzi più gravosi della crisi, di scontrarsi ogni giorno con sopraffazioni e parassitismi, dalla fabbrica alla società. Ma la mentalità qualunquistica, quella per cui, a un certo momento, la sfiducia si indirizza contro tutto e tutti, dai »partiti ai sindacati fino al delegato d'officina, è, come sempre nel passato, la negazione di una coscienza di classe matura, è un
passo indietro, verso il corporativismo, oppure la sterile protesta individuale.
Il movimento operaio è andato avanti battendosi contro simili posizioni sin dall'inizio della sua formazione, è andato avanti quando è riuscito a sconfiggerle all'interno della classe, ha segnato il passo o è stato sconfitto quando non è riuscito a fare chiarezza e a mobilitare attorno a queste scelte di fondo. La storia non per nulla ignorata dalla mentalità qualunquistica lo insegna. Cent'anni fa i socialisti che organizzavano le masse lavoratrici e le portavano alla ribalta della vita politica e sociale, dovevano sconfiggere gli operaisti »puri , avversi a ogni contaminazione oggi si dice mediazione con le elezioni e le rappresentanze politiche. Proudhon predicava l'astensionismo agli operai parigini, Marx invece diceva loro che si dovevano costituire in partito politico autonomo, che dovevano fare propria la causa di tutti gli oppressi della società capitalistica. E aveva ragione Marx. Il qualunquismo mascherato di rivoluzionarismo consigliava ai lavoratori italiani, durante la guerra di liberazi
one, di non mischiarsi, di non fare la resistenza, chè quella era guerra che interessava i borghesi, affare loro. Per fortuna gli operai non ascoltarono i cattivi consiglieri. Come non li ascoltarono nel 1953, quando fecero scioperi possenti contro la legge truffa e non li ascoltarono nel 1960, quando da Genova a Reggio Emilia scesero in piazza contro la nuova minaccia fascista.
La fortuna, in verità, arriva ai lavoratori dalla dura lezione che impartisce loro l'avversario di classe. Si guardi ad oggi. La sfida che lancia il padronato, nella sua resistenza a concludere le vertenze contrattuali che interessano quasi nove milioni di lavoratori, è una sfida politica. Si vuole battere i sindacati di classe, rompere la loro unità, fare arretrare i partiti operai, in primo luogo il PCI. Quanta gente aspetta e spera che noi andiamo indietro il 3 giugno per rimettere in riga gli operai che scioperano! Quanta gente si ripromette, nell'immediato futuro, sia di colpire l'eguaglianza del voto, con nuove leggi truffa, sia di limitare l'esercizio effettivo del diritto di sciopero. Senza la forza dei comunisti, senza la loro coerente lotta in difesa della democrazia politica, tutte le conquiste del mondo del lavoro sarebbero rimesse in discussione. Altro che le lagne sul »regime .
Il nuovo qualunquismo ha tratti negativi, profondamente reazionari, che ricava spesso da tutto il polverone ideologico »libertario . In omaggio alla lotta contro la »statolatria , esso finisce per ridurre gli obiettivi generali a campagne unilaterali che smarriscono anzi negano ogni progetto di soluzione complessiva e graduale dei problemi, ogni concezione positiva dello sviluppo. La sua intellettualizzazione si traduce poi in rozze semplificazioni, in una demagogia che sparge le stesse delusioni e frustrazioni nutrite da tanti »orfani . Appena si scrosta la vernice di un sinistrismo di maniera si scopre come per tanti intellettuali neofiti del radicalismo la polemica al cosiddetto regime nasce dalla sfiducia che essi ormai sentono in loro stessi, sfiducia che sia possibile trasformare la società in senso socialista, sfiducia nella democrazia, come terreno d'avanzata concreta.
E' sintomatico che si sia già sentito il bisogno di avvertire gli elettori che lo scontro elettorale attuale uno scontro in cui la posta decisiva è proprio la partecipazione al governo dei comunisti è tutta una messinscena, un inganno, semplicemente per »fregare i poveri illusi. Del resto, per dare maggiore base à questa mistificazione, non si va forse dicendo che tutto il trentennio passato è stato il trentennio della »spartizione dei ruoli tra DC e PCI? Un gioco, dunque, la discriminazione anticomunista, un gioco il monopolio del potere democristiano, un gioco la restaurazione capitalistica, un gioco le lotte per la realizzazione della Costituzione, lo statuto dei lavoratori, la conquista di tutti i diritti civili, per la quale il contributo dei comunisti è stato decisivo.
C'è una cartina di torna sole infallibile per controllare la natura di questa accanita propaganda che è giusto chiamare di nuovo qualunquismo. E' che di essa il bersaglio principale è sempre il partito comunista, l'anima è l'anticomunismo più scatenato. Il PCI è il nemico da battere. La DC può stare alla finestra, si giova di campagne che s'indirizzano non a infrangere il suo sistema di potere ma ad indebolire quanti lo combattono davvero. Anzi, essa conta che la delusione seminata nella sinistra serva a diminuire i consensi al partito comunista. Sa bene che i discorsi sulle varie alternative di sinistra sono chiacchiere se il PCI arretra. I suoi dirigenti lo dicono chiaramente. Per questo non bisogna sottovalutare l'insidia del nuovo qualunquismo, non stancarsi di chiarire, dire la verità, denunciare i veri ostacoli a un'avanzata della sinistra, chiamare, a una battaglia che non è solo elettorale ma di educazione politica e morale, gli italiani che vogliono che le cose cambino.