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Coppola Aniello - 4 maggio 1979
L'imbevibile cocktail radicale
di Aniello Coppola

SOMMARIO: Istituti demoscopici e osservatori politici "accreditano a Pannella almeno il triplo dei parlamentari eletti nel 1976". Nomi autorevoli come Leonardo Sciascia, già parlamentari come "il socialista Ajello" e il "comunista Tessari", Mimmo Pinto, Marco Boato hanno aderito alle liste radicali... In questi tre anni i radicali hanno condotto iniziative parlamentari dirette "contro l'intesa di governo tra le grandi forze" che essi definiscono una "ammucchiata", hanno cercato di "destabilizzare il sistema dei partiti", ecc. Il vecchio partito dei Rossi, dei Piccardi, dei Valiani, dei Calogero, era una "mosca cocchiera del centro-sinistra", quello di Pannella si presentò all'inizio come un "tentativo di rifondazione da sinistra del radicalismo italiano". Appoggiandosi sul volume "I nuovi radicali", l'a. riprende poi la tesi della iniziale "alterità" del partito quale "forza esterna e contrapposta" alla "società politica", con "metodi di lotta" che violano "deliberatamente le regole del gioco". Ma ora che il

piccolo partito ha cessato di essere "extraparlamentare" rivela di essere "una forza antagonistica su tutti i piani", mettendo in discussione anche "i meccanismi istituzionali" e speculando sulle difficoltà del movimento operaio. Oggi, "la dilatazione dei ceti intermedi" e la nuova "mobilità elettorale" "aprono nuovi spazi" a un partito che si definisce spregiudicatamente "empirico". Non a caso esso utilizza come "canale" il referendum, che "mette in mora gli schieramenti" e può avere un effetto "squilibrante" sul sistema. Così, alla fine, "i tratti genetici del nuovo radicalismo non sono più dubbi"... "La combinazione di questi ingredienti produce un cocktail elettorale tanto disorganico quanto spumeggiante",... affidato "al carisma del 'barman'", che presenta anche qualche tratto di un "nuovo mussolinismo"...

(»Rinascita 4 maggio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

I radicali sono sull'onda dei pronostici. Istituti demoscopici e osservatori politici accreditano a Pannella almeno il triplo dei parlamentari eletti nel 1976 (che furono 4, con l'1,7 per cento dei voti). Crescono i favori della grande stampa, compresa quella di destra o comunque lontana da posizioni libertarie. Indicativo di questo "trend" favorevole è il fenomeno delle adesioni in "extremis" di candidati provenienti da altre formazioni e aree politiche. Leonardo Sciascia ha spiegato la sua scelta, contraddittoria con il precedente impegno ad essere soltanto scrittore, in nome del »diritto alla contraddizione . Altri, come il senatore socialista Ajello e il deputato comunista Tessari, non si sono neanche cimentati in acrobazie dialettiche per giustificare il tentativo di essere rieletti comunque. Con l'adesione di Mimmo Pinto (Dp) e Marco Boato (Lotta continua) il Partito radicale raccoglie i frutti del suo spregiudicato empirismo ai danni di confinanti gruppuscoli fortemente ideologizzati, settari e morali

stici ma pur sempre impotenti di fronte al trasformismo dei loro "leaders". La forza radicale, che era rimasta compatta dietro il suo capo carismatico, ora agisce sull'estremismo di sinistra con effetto calamità.

Per giudicare la natura e le finalità del Pr val però meglio analizzare la politica condotta dopo il suo ingresso in Parlamento. In questi tre anni sono mutati i rapporti tra i radicali, la sinistra e l'intera società politica per il convergere di varie tendenze: l'inasprirsi dell'attacco contro l'intesa di governo tra le grandi forze, accomunate nell'accusa di aver dato vita ad una »ammucchiata , anzi ad un »regime (con ciò dovendosi intendere il regime democratico-parlamentare "tout-court"), lo sviluppo di forme di lotta miranti a destabilizzare il sistema dei partiti; la spregiudicata ricerca di interlocutori anche nel versante della conservazione o peggio (da De Carolis ad Almirante), la dichiarata indifferenza nei confronti della discriminante tra fascismo e antifascismo che è la ragione fondante della democrazia italiana.

Non si tratta di una virata improvvisa giacché la mutevolezza e l'imprevedibilità delle mosse di Pannella lo avevano qualificato da tempo come una sorta di guerrigliero politico disposto a tutto per affermarsi come "leader" e per conquistare uno spazio al suo partito.

L'insorgenza del fenomeno radicale nei primi anni settanta, culminata nell'azione per il divorzio, aveva pur sempre avuto caratteristiche e scopi coerenti con il radicalismo storico: la battaglia per i diritti civili tipici di una società moderna si indirizzava contro la Dc, la sua concezione e la sua pratica del potere. Le stesse polemiche contro ritardi, timidezze, insufficienze del movimento operaio sul terreno delle libertà e dei bisogni individuali e dei diritti delle minoranze, si svolgeva in chiave più di pungolo che di attacco frontale.

Allora il Pr agiva come un aggressivo gruppo di pressione liberaldemocratico sinistreggiante. La strategia generale nella quale queste iniziative si collocavano (l'alternativa socialista-libertaria) si presentava come una variante interna al movimento operaio, sia pure con l'obiettivo di una rifondazione del socialismo italiano. Stava qui, anzi, la principale differenza con il Partito radicale nato nel dicembre 1955 da una scissione delle correnti di sinistra del Partito liberale, con l'apporto di borghesi illuminati e laici di provenienza soprattutto azionista (da Leopoldo Piccardi a Ernesto Rossi, da Leo Valiani a Guido Calogero) e con il sostegno del "Mondo" di Mario Pannunzio e dell'"Espresso" di Arrigo Benedetti. Questo gruppo minoritario, alimentato da ambizioni politiche e da un prestigio intellettuale sempre superiori alla sua effettiva incidenza, predicò con risultati evanescenti il riformismo liberal-borghese in contrapposizione con i partiti della sinistra, spese il meglio delle sue energie come m

osca cocchiera del centro-sinistra e ne sofferse tutte le delusioni.

La "leadership" di Marco Pannella si affermò, a partire dal 1964, sulle ceneri di questa esperienza. All'inizio si presentò come un tentativo di rifondazione da sinistra del radicalismo italiano, senza alcuna continuità con il vecchio partito (del resto praticamente estintosi negli anni del centro-sinistra). Tant'è vero che si impegnò in una forte polemica con i socialisti avviati alla fusione con il Psdi e arrivò a stabilire accordi elettorali con il Psiup nelle amministrative del 1966 a Roma, a Genova e in altri centri minori. A quell'epoca risale lo sforzo per fare di quello che ormai era un gruppo di amici più che un micro-partito (i militanti si erano ridotti a un centinaio) un nucleo interno all'area socialista, estremamente deciso ad affermare le proprie posizioni (anticlericalismo, antimilitarismo, diritti civili) e i propri metodi di lotta (azione diretta non violenta).

In una ricostruzione storica fatta dai pochi radicali che si siano impegnati nella sistemazione teorica della loro esperienza (Massimo Teodori, Piero Ignazi e Angelo Panebianco) si legge che »la cultura dei nuovi radicali coniugava elementi tutti estranei ai moduli di cultura politica esistenti nel paese . Sin dagli anni '60, i connotati di tale cultura erano questi: »un soggettivismo di azione politica che aveva semmai gli antenati in una certa tradizione democratico-risorgimentale...; un metodo di intervento sulla scena politica basato su piccoli gruppi ben decisi a coinvolgere più ampie sezioni di cittadini, che trovava riscontro nella tradizione anglosassone...; un'attenzione all'indagine empirica su nodi ritenuti cruciali, con un metodo che si potrebbe chiamare di induzione politica piuttosto che di deduzione da grandi schemi e sistemi ideologici... . Dall'inizio, e a prescindere dalla collocazione politica, che allora era a sinistra, Pannella tendeva ad affermare l'"alterità" del Partito radicale quale

forza »esterna e contrapposta alla società politica e mirante a dar corpo ad una vera e propria alternativa di sistema con metodi di lotta che violavano deliberatamente le regole del gioco.

Tuttavia queste peculiarità sarebbero venute in piena luce non nel momento in cui il micro-partito si rivelò capace di dispiegare una grande iniziativa di massa (battaglia e referendum per il divorzio), ma successivamente. Solo quando cessa di essere una forza extraparlamentare, il Pr svela di non essere affatto una variante libertaria del movimento democratico e socialista, ma una forza antagonistica su tutti i piani, fino a mettere in discussione i meccanismi istituzionali del sistema di democrazia organizzata nei quali si riconoscono le masse popolari italiane. Questa fase, relativamente lunga, di ambiguità è stata favorita da fattori esterni. In primo luogo dalla contraddizione fra la crescita della coscienza civile del paese e le mutazioni sociali antropologiche indotte dallo sviluppo da una parte e, dall'altra, la persistenza vischiosa di leggi arretrate, di pratiche di governo illiberali e corruttrici che hanno screditato una direzione politica ed economica incapace, oltretutto, di ammodernare il paes

e e inane di fronte alla crisi aperta alla fine degli anni '60. Il Pr poteva muoversi come un saccente e provocatorio compagno di strada del movimento operaio anche perché sfruttava in questa direzione la rendita acquisita nelle battaglie libertarie e speculava sulla duplice difficoltà in cui si trovava lo schieramento di sinistra: quella originata dallo sforzo di governare la crisi insieme alla Dc, e quella derivante dalla comprovata impotenza del cosiddetto socialismo reale a garantire i diritti di libertà individuale e sociale vigenti nelle democrazie dell'occidente.

La dilatazione dei ceti intermedi mentre cresce l'instabilità sociale, e la mobilità elettorale manifestatasi a partire dal 1975 (le prime elezioni nelle quali si allargava il voto di opinione) aprono nuovi spazi ad un partito alternativo come il radicale. Esso non ha e non vuole avere referenti classisti, si collega spregiudicatamente con i più diversi movimenti spontanei, contrappone l'empiria all'ideologia e via via si qualifica come l'agitatore di problemi specifici (dalla sessualità all'ecologia) sui quali non esistono schieramenti precostituiti né ideologici né sociali sicché sono più agevoli, aggregazioni mobili motivate da interessi e spinte individuali e di specifiche comunità.

Queste sono la filosofia e la prassi dei nuovi radicali. E non a caso il referendum ne è il canale. Tale forma di consultazione, infatti, mette di colpo in mora gli schieramenti e il sistema di relazioni politiche fondato sulla mediazione attraverso i partiti e tra di essi, consente il massimo di semplificazione nei pronunciamenti e, per di più, ha un esito immediatamente operativo che contrasta in modo netto con la lentezza e la complessità dei meccanismi politici e legislativi. Infine il suo effetto è spesso squilibrante e i radicali lo hanno enfatizzato per aggravare la crisi di ingovernabilità del sistema politico, favorita per altro dalla sua crescente impotenza (tipico il caso della mancata riforma della legge Reale, pur data per certa alla vigilia dell'ultimo referendum).

Ora i tratti genetici del nuovo radicalismo non sono più dubbi o ambigui, come dimostrano le liste e la campagna elettorale del pannellismo. E legittimano "ex-post" tutte le contestazioni di parte comunista: oscillazione tra sinistra e destra, ricerca di interlocutori e di consensi anche al di là della divisione tra fascismo e antifascismo, »qualunquismo che ha fatto il '68 (riprendo la felice definizione di Fabio Mussi), anticomunismo profondo e organico, movimento eversivo di natura piccolo-borghese. La combinazione di questi ingredienti produce un "cocktail" elettorale tanto disorganico quanto spumeggiante. Vecchi parlamentari e nuovi aspiranti dovrebbero dargli un alto potere di suggestione. Tra i candidati radicali, i teorici della non violenza si affiancano ai pratici della »violenza di massa che fino a ieri trattavano da »compagni che sbagliano gli sprangatori, i ragazzi della P38 e magari i brigatisti rossi. Le antesignane del femminismo chiedono voti insieme con Maria A. Macciocchi che per il fem

minismo ha or ora recitato un "de profundis". Gli anticlericali arrabbiati di sempre vanno in processione (naturalmente laica) dal papa, ma non più per reclamare l'abrogazione del Concordato. Eugenio Scalfari dimentica i sarcasmi indirizzati all'ultimo lavoro politico-letterario di Leonardo Sciascia per trasformare la "Repubblica" in cassa di risonanza dello scrittore che vuole »rifondare la politica . Con più coerenza, Montanelli si conferma antenna sensibile degli umori della destra e preconizza (su "Oggi") che »certamente un successo i radicali lo avranno perché incarnano una protesta sempre più diffusa contro i partiti, tutti i partiti che, diciamo la verità, rompono le scatole agli italiani i quali vedono in essi, e non senza qualche ragione, il focolaio di tutti i vizi che affliggono la nostra vita pubblica .

Si potrebbe far punto qui, se non fosse necessario dire che la riuscita di questo "cocktail" è in buona parte affidata al carisma del "barman". Nel modo di far politica di Pannella si può intravedere, senza troppa malizia, qualche tratto di un nuovo mussolinismo: quello - per intendersi - che nel '19 ruppe una tradizione politica e un vecchio schema di rapporti tra demagoghi e masse. Naturalmente un mussolinismo carico di libertarismo dirompente, di soggettivismo esasperato capace di "épater" non solo i borghesi ma i "fans" più diversi, di mescolare aggressività e vittimismo, di sollecitare il minoritarismo ma anche il senso comune, di dissacrare miti ma alimentando il culto della propria personalità, di offrirsi quale interprete autentico delle »vere aspirazioni degli elettorati più autentici. Il paragone non lo suggerisce tanto l'uso cialtronescamente geniale della Tv, dove Pannella si è presentato perfino con il bavaglio in bocca, quanto una sua recente recente intervista al rotocalco di destra "Il Setti

manale". Vi si trova un "pot-pourri" emblematico della versatilità politica pannelliana. Riecheggia la polemica fascista contro l'attentato di via Rasella, ma in nome della non violenza, e definisce »comprensibile anche se condannabile la scelta di Curcio; chiede la liberazione di Reder e di Hess per favorire l'abolizione dell'ergastolo, anzi delle carceri, e contesta da sinistra il Pci; accusa »gli antistalinisti di regime di apprezzare »un Pci comunista e stalinista ; tratta Togliatti come un delinquente politico peggiore del capo delle Br.

Quando mai, dopo il »diciannovismo , si era visto un uomo politico italiano lasciare segnali così contraddittorii?

 
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