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Ledda Romano - 25 maggio 1979
La protesta dei bramini
di Romano Ledda

SOMMARIO: "La natura del...'fenomeno' radicale" può essere definita con "una certa nettezza", e "si tratta di qualcosa di preoccupante". I suoi "valori", "antitetici" alla "tradizione politica e intellettuale della sinistra", si stanno allontanando dalla "tradizione del pensiero democratico", per svolgere una funzione "destabilizzante". A causa loro, "umori reazionari verranno convertiti in umori libertari". Il "pesce radicale" nuota infatti in ambienti ambigui e spaventati di vedere intaccati le sue funzioni e i suoi interessi. L'a. smentisce poi Baget Bozzo, il quale afferma che Pannella cerca di portare certa "nuova forma storica della cultura di destra" verso "approdi di sinistra": si veda come tratta "l'ormai celebre questione di Via Rasella", e l'attacco portato all'"associazionismo politico" della sinistra, con le affermazioni sui partiti "uniti nel 'fascio' del potere".

Questi tratti si erano in parte già delineati "nel modo in cui è stato usato lo strumento referendario", così come nella confusione di "riferimenti ideali" e nella mancanza di "programma" del partito in questione. "E' un continuo movimento nel quale 'la parola' sostituisce il fatto". Sono molti gli interrogativi che circondano il "fenomeno" radicale...

(»Rinascita 25 maggio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

I tratti e la natura del partito, e più complessivamente di quello che viene chiamato il »fenomeno radicale, pur magmatici possono ormai essere definiti con una certa nettezza. E si tratta di qualcosa di preoccupante, quale che sia il risultato elettorale che i radicali conseguiranno, perché il loro essere espressione e nel contempo "veicolo" dei terremoti negativi della crisi italiana, è un fatto già presente, circondato da sostegni, benevolenze, ammiccamenti, il cui stampo non è certo »libertario .

Molte ambiguità si sono così sciolte, e non si fa difficoltà a capire che il linguaggio, l'argomentazione, i »valori espressi dal »fenomeno radicale sono profondamente antitetici alla tradizione politica e intellettuale della sinistra, e si stanno sempre più allontanando dalla stessa tradizione del pensiero democratico. Quel connotato dei radicali di essere anche antenne vibranti di certi fermenti della società civile, pronti a captare stati d'animo e parzialità emergenti, e quindi di esserne particolarissimi interpreti, è completamente scomparso (il referendum sul divorzio rimarrà probabilmente l'ultima e unica testimonianza degli »altri radicali), con un progressivo, rapido slittamento verso posizioni che puntano su altre parzialità e particolarismi in funzione destabilizzante. I temi della loro propaganda, la tastiera delle loro argomentazioni riecheggiano ormai i "nouveaux philosophes", mescolati al "revival" neoliberalista, alla rivalorizzazione dell'atomismo sociale di un certo tipo di privato, dell

e »competenze mutilate di una società civile disarticolata da contrapporre alle istituzioni e così via. Tra i fenomeni antidemocratici che la crisi sta producendo dobbiamo cominciare a mettere l'agitazione radicale esplosa in questa campagna elettorale, ma maturata in questi ultimi tre anni. Con molti punti di riferimento nelle correnti di »riflusso che circolano per il mondo, ma con un tratto indigeno di robusta demagogia (nell'accezione più vera della parola), in base alla quale, come osserva Rina Gagliardi sul "Manifesto" »umori reazionari verranno convertiti in umori libertari .

In questo senso non mi convince molto un tentativo di analisi che si limiti a registrare il dato radicale come tentativo di catalizzazione generica del malcontento, della protesta, delle inquietudini complessive che scuotono la nostra società. E' vero che in termini elettorali la spregiudicatezza radicale è assoluta, secondo i canoni più tradizionali e logori di un certo modo di fare politica (sarebbe difficile veramente trovarvi del nuovo). Ma a me pare che l'aggregazione (esito a parlare di blocco) sociale che si sta determinando, e di cui i radicali si fanno portavoce, abbia già una sua specificità. E non va cercata nel mondo dei cosiddetti emarginati. Se si scorre la composizione delle liste, se si fa la somma di certi percorsi individuali - a parte i fenomeni di opportunismo più spicciolo e più usuale, in una certa tradizione politica - se si indaga più a fondo nelle scosse, nelle incertezze provocate dai mutamenti avvenuti nell'ultimo decennio e dalla crisi stessa in tutta una serie di ruoli, di figure

e di ceti sociali, si può trovare nel magma politico radicale un asse portante.

Fasce di intellettuali, nel senso più lato della parola, e in quello specifico di "maitres à penser", che vedono scardinato il loro ruolo elitario, che sono richiamati a riclassificare la loro funzione e vi reagiscono con uno sbandamento; gruppi di ceto piccolo e medio borghese urbano (sarà interessante esaminare il voto di una vecchia burocrazia, di settori del pubblico impiego) »impazziti per lo scarto che investe la loro funzionalità rispetto a ciò che è nuovo e che muta; strati meridionali i cui poli sono stati o la domanda del soccorso assistenziale, oggi meno agevole, o la esplosione di ambigue rivolte; frammenti corporativi di categorie privilegiate che si arroccano nei loro interessi, rifiutando ogni organico giudizio sulla crisi, le sue difficoltà, lo sforzo di autodisciplina che richiede la »fantasia di progetti che impone: è questa l'acqua in cui nuota il pesce radicale, ed è qui che raccoglierà, probabilmente, il nerbo dei suoi consensi. E' »la protesta dei bramini scrive in un articolo assai

acuto Baget-Bozzo, che si orienta verso »una nuova forma storica della cultura di destra , fondata »sul rigetto della storia , critica verso »il valore dell'idea di rivoluzione e »che respinge la tesi che la politica possa incidere in modo positivo e significativo sull'esistenza umana . Ma Baget-Bozzo mi permetterà di dissipare un equivoco che continua a restare, quando dice che Pannella »cavalca la tigre e cercherà di portare quella cultura e quella protesta »verso approdi di sinistra , anche se »le intenzioni contano poco di fronte a una catalizzazione obiettiva dei consensi e alla vera natura di essi . No davvero, quella cultura di destra, infatti, segna già la campagna radicale, Pannella ne è già intriso. L'ormai celebre questione di via Rasella sollevata dal dirigente radicale come un discrimine tra »violenza e non violenza , la dice lunga. Non perché si sia parlato male di Garibaldi. Sono i problemi del fascismo e dell'antifascismo dell'interpretazione del nazismo e della guerra, in breve sono parame

tri epocali del nostro tempo (e della storia), che vengono cancellati. Se su punti di questo genere c'è una fuoriuscita dal patrimonio democratico, la bussola davvero impazzisce con un ago tutto puntato a destra.

E infatti non mi spiego diversamente, non la polemica o le battute elettorali, il sentimento di rancore o livore profondo che trasuda dalla campagna elettorale radicale contro l'insieme del movimento operaio organizzato, divenuto, per dichiarata, esplicita ammissione, il bersaglio principale. Non è, si badi bene, la discussione di una linea politica. L'attacco più sostanziale è permanentemente rivolto all'elemento di organizzazione che è stato il canale principale della presenza e della partecipazione delle masse alla vita politica. Ad essere nel mirino non sono soltanto i comunisti, gratificati da una ossessiva accusa demonologica, ma i socialisti, i sindacati, ogni forma di associazionismo politico, di nascita e crescita di una coscienza e di una solidarietà collettiva.

Si tratta, del resto, di un passaggio obbligato, che dal movimento operaio passa all'intero tessuto democratico. Quando Marco Boato dichiara che "Lotta continua" è entrata nelle file radicali perché »sono la più coerente opposizione al sistema dei partiti inevitabilmente repressivo, (intervista a Radio radicale di Roma, del 20 maggio) o, su un piano diverso, Maria Monti dice di essersi candidata tra i radicali perché vuole »essere sola e »l'individuo è l'unica dimensione possibile (dichiarazione pubblicitaria ripetuta su varie Tv radicali, la riprendo da "Teleroma 56"), o quando su un altro piano ancora Angelo Panebianco ("Mondoperaio" aprile 1979) teorizza la liquidazione del partito politico moderno, e Pannella volgarizza il tutto dicendo (ovunque, ma cito dall'intervista a Montanelli alla "Tv Montecarlo" del 19 maggio e dalla conferenza stampa a "Tribuna elettorale" del 21 maggio) che tutti gli altri partiti sono eguali perché »uniti nel "fascio" del potere e che la storia di questo dopoguerra è stata

un gioco »di comparaggio tra i grandi partiti per »spartirsi il potere , ebbene allora abbiamo già quella »filosofia di cui parla Baget-Bozzo che ci restituisce gli individui frantumati, le disgregazioni corporative e individuali, regrediamo di nuovo verso la separazione del sociale dal politico, e la politica viene ancora una volta riproposta come empirica, tecnica, servizi, e soprattutto corpo separato cui delegare (altro che partecipazione) le gestione del potere in forme oligarchiche (se non con gli uomini della provvidenza). Parlare di democrazia mi sembrerebbe davvero azzardato.

Esemplare, da manuale, è la questione del programma. Non tanto per una salutare discussione sulle »promosse elettorali , quanto perché attraverso la negazione di un programma ciò che si attacca e si rifiuta sono appunto la politica come produttrice di valori universali di grandi aggregazioni umane, di intervento delle masse nella società, la capacità progettuale di una forza politica. La politica come momento generale viene denunciata - ecco l'assonanza qualunquista, ma nel vivo di una crisi, e quindi più corrosivo - come »un potere astorico e indiscriminato . La spinta verso il passato e il puntello conservatore non potrebbero essere più chiari. Ma soprattutto è chiara la proiezione verso l'avvenire: il guardare alla »americanizzazione della struttura politica italiana, a una ideale seconda Repubblica nella quale le "lobbies", i gruppi di pressione, la federalizzazione delle corporazioni, diventano gli strumenti del potere reale. E' questo, d'altronde, un terreno non molto nuovo.

Questi tratti si erano già in parte delineati nel modo in cui è stato usato lo strumento referendario: consultazione delle masse su alcuni problemi ritagliati e resi esterni alla vera domanda che sorge dalla complessità delle società moderne: che è come costruire nuove forme, come »inventare una nuova funzione del pubblico, del sociale, dello statale, e come saldare a ciò libertà e democrazia. Ma, comprendiamo, sarebbe davvero chiedere troppo a un movimento politico che ha confermato la sua incapacità di costruzione, sfogandosi a mettere sassi in ogni ingranaggio, arroccandosi nell'abrogazionismo puro, tirando »i calci negli stinchi , enfatizzando l'elemento predicatorio e teatrale dell'azione politica (si pensi solo all'uso che è stato fatto dell'ostruzionismo parlamentare).

C'è dell'altro. Il »diciannovismo può essere una metafora storica, ma assai significativa, se la sia attualizza alla crisi odierna. Il linguaggio e i comportamenti sono lì a confermarlo. Giorgio Albertazzi recita in uno "sketch" pubblicitario che »i ladri danno il voto al governo ladro , che bisogna entrare nel »baraccone che sta andando alla deriva , De Cataldo ("Tv Voxson", 19 maggio) spiega che nella legislatura interrotta i radicali hanno combattuto contro »un ostruzionismo della maggioranza contrario alla legalità repubblicana e costituzionale . Le derivazioni »ideali sono infinite: Gobetti, Ernesto Rossi, Gramsci, Lelio Basso, Mario Pannunzio, Indro Montanelli (»quando scopro tante consonanze tra noi, ne sono fiero , Pannella sull'"Espresso" del 6 maggio); vecchi moduli garantisti, le "élites" sociali, il socialismo, l'individualismo, la democrazia anglosassone, e che più ne ha più ne metta. Tutto diventa così lorianesimo, tutto può essere detto e negato, in un continuo movimento nel quale »la parola

sostituisce il fatto.

C'è un brano da antologia, che merita di essere riportato per esteso. Ad una domanda: come pensa di organizzare l'economia, Pannella risponde: »...l'edificazione di una società socialista, autogestionaria, laica, umanista, l'unica che può garantire alle speranze liberali di diffondersi. Noi personalmente riteniamo che esistano alcune operazioni liberalistiche che possono essere tentate, perché siamo contro quel tipo di economica pubblica in cui si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite, magari con l'aiuto del sindacato. Credo che solo all'interno di una scelta energetica di energie diffuse e dolci si può riproporre anche la speranza di un lavoro a dimensione umana, se vuoi artigianale, cioè riconquistare anche nell'economia quel mercato che consenta l'espressione lavorativa, la più varia, della gente (nella Tribuna elettorale del 21 maggio).

E' come valutare un'ottica che non ha punti di riferimento oggettivi, che manipola ogni forma di oggettività? Come rispondere a questa lapidaria affermazione: comunisti e democristiani »cosa vogliono? Semplice. Uniti con i loro subalterni (centristi, frontisti, di centro-sinistra) mirano a ricostruire le strutture giuridiche e economiche dello Stato corporativo ed interclassista del Partito nazionale fascista (intervista di Pannella al "Settimanale", n. 15-16,1979).

Nella stessa intervista c'è anche il seguente passo: »quando ci accusano di essere troppo teneri con Curcio non posso non rispondere che pur non essendo affatto d'accordo con lui, è comprensibile la sua scelta. Anche se condannabile? Ma è molto più grave la scelta di Palmiro Togliatti... . E qui entriamo in altre acque, più torbide ancora. Franco Piperno, dalla clandestinità, ha invitato a votare radicale. Noi non sappiamo dove approderà l'attuale inchiesta della magistratura sul dirigente di autonomia. Ma al di fuori della vicenda giudiziaria Piperno è uno dei teorici della lotta armata, teorizza l'azione violenta. Che significa, e come mai chiede un voto per una formazione che si presenta come capostipite della non violenza? quale singolare paradosso c'è in questa posizione? e perché Pannella tace, lui solitamente tanto loquace? Perché non reagisce, non prende le distanze, non si difende da questo appello dei violenti a votare per i non violenti? perché, sebbene incalzato da mille domande, le elude tutte,

annegando ogni presa di posizione in una condanna metafisica della violenza? per raccattare qualche voto e strappare qualche seggio in più? oppure? Non è l'ultimo dei »perché che circondano il »fenomeno radicale.

 
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