di Lucio Lombardo RadiceSOMMARIO: L'a. racconta di aver letto per caso "Candido. Un sogno fatto in Sicilia", di Sciascia. Non si sofferma sulle varie critiche dello scrittore al PCI, ma sottolinea che, anche per Sciascia, "la sfiducia nel PCI, il distacco da esso" significano la "perdita di ogni speranza": ma proprio per questo, continua l'a. "la scelta di Sciascia - ma anche di Mimmo Pinto o di Marco Boato - significa...l'abbandono di ogni speranza di cambiare la faccia dell'Italia". [Replica di Sciascia nel testo n. 4505]
(LA REPUBBLICA, 29 maggio 1979)
In giro per l'Italia, ho trovato nella biblioteca di una delle case di compagni che via via mi ospitano. »Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia , di Leonardo Sciascia, pubblicato da Einaudi nel 1977. Di Sciascia ho letto quasi tutto, da quando l'ho scoperto nel 1956 in quelle »Parrocchie di Regalpetra che oggi mi sembrano troppo dimenticate, suo primo. dolente e affascinante libro. »Candido , non so perché mi mancava, e ho passato qualche ora di riposo leggendolo.
Credo di aver fatto bene, perché sono forse riuscito a comprendere meglio, più seriamente e più in profondità, la parabola di Sciascia e di altri, che non può essere ridotta a un contraddittorio percorso politico. »Un gigantesco pessimismo è l'approdo di Candido Munafò, che per tanti anni era stato »dalla parte della speranza . Il protagonista che ripete il nome del grande personaggio volterriano (Sciascia, maestro di letteratura, riesce a scrivere un racconto squisitamente »isomorfo a quello del grande illuminista), assomiglia ad altri eroi siciliani del tormentato scrittore siciliano. Assomiglia al capitano dei carabinieri del »Giorno della civetta , assomiglia al professore-indagatore di »A ciascuno il suo . Sono tutti e tre degli »uomini , non mezzi-uomini, ominicchi, e men che mai piglianculo o »quaquaraqua per attenerci alla classificazione della specie umana che fa il capomafia nel »Giorno della civetta . E sono tutti e tre, seppur in modo diverso, degli sconfitti; tutti e tre, dei combattenti soli
tari, che finiscono per la loro dirittura, »per il loro candore , coll'essere abbandonati e odiati »da tutti . C'è però una differenza decisiva tra la sconfitta di Candido e quella dei suoi fratelli maggiori dei precedenti racconti. Né il carabiniere né il professore abbandonano la lotta per la giustizia e la verità: il primo non riesce a colpire la mafia, il secondo dalla mafia è ucciso. Candido, invece, espulso dal partito comunista in Sicilia, respinto dai contadini ai quali vorrebbe fare dono delle sue terre, trattato con diffidenza dagli operai di Torino, e deluso dal partito anche al Nord, abbandona l'Italia, si rifugia a Parigi, dove, finalmente una sera »Candido arrivò a sentirsi felice . Ha incontrato dopo 34 anni la madre, che lo aveva lasciato in tutela al nonno, con il marito americano, un ufficiale del »governo militare , che, se pur per ordine dall'alto aveva scelto per le cariche pubbliche i peggiori cittadini. Tutto si placa nel distacco, il mese di maggio 1968 non si sa se è cosa dei »nostri
nonni o dei nostri nipoti ; nella sua Parigi di sogno, Candido non deve far altro che lo spettatore (»mi piace veder finire quello che deve finire ). Non è il caso che mi fermi sulle critiche concrete di Leonardo-Candido al PCI, ai comunisti di Palermo di Torino, d'Italia. Alcune di esse sono »spiritose invenzioni assai singolari - penso ai giovani mandati a scuola di marxismo-leninismo a Mosca: in altre ci sono omissioni e forzature non facilmente scusabili - come alto dirigente siciliano del PCI si parla di un barone fascista (?), che sia esistito un Mommo Li Causi è taciuto dall'autore. Ma ripeto, voglio lasciare da parte il quadro dei comunisti che Sciascia dà in questa autobiografia spirituale. Ciò che mi par importante invece sottolineare è il fatto che la sfiducia nel PCI, il distacco da esso, significano per Candido la »perdita di ogni speranza .
La scelta politica 1979 di Leonardo Sciascia - ma anche di Mimmo Pinto o di Marco Boato - significa, in profondità, l'abbandono di ogni speranza di cambiare la faccia dell'Italia, e del mondo. Io confido nell'intelligenza e nella onestà di Leonardo Sciascia, spero di leggere tra non molto un capitolo aggiuntivo del suo libro volterriano, e mi permetto di suggerirgliene il titolo: »Della decisione presa da Candido di entrare a far parte, cogli auguri di Indro, della colonia felice di Zacinto con Maria Antonietta, Mimmo Marco il Lottatore, Luigi il Boss di Cosenza, Franco l'Avvocaticchio e altri, e della delusione che ne seguì.
Di scherzare in verità, ho poca voglia. Da quaranta anni, partecipo a un grande progetto: quello di costruire il Socialismo in Italia conquistando e sviluppando la democrazia, colla libera partecipazione delle grandi masse lavoratrici a una profonda trasformazione delle strutture collettive e della qualità della vita di ciascuno. Questo progetto-speranza entra in crisi se abbandonano l'impegno. se »fuggono a Parigi , coloro che dovrebbero realizzarli. Entra in crisi, se si accetta come inevitabile il vivere nel »peggiore dei modi nel peggiore dei mondi possibile , concedendosi al più lo sfogo dello sdegno e del »No , secondo un'antica tradizione d'impotenza politica dell'intellettuale, soprattutto meridionale, che sembrava nel 1976 superata. Sarò senz'altro »un candido , nell'accezione corrente e non letteraria del termine: ma continuo a credere nella speranza, e questa mia speranza si chiama unità, unità di tanti, uniti e diversi, per realizzare un'esperienza storica fino a oggi »unica , che oggi unicamente
in Italia è possibile, il socialismo nella libertà.
(»La Repubblica 29 maggio 1979)