di Leonardo SciasciaSOMMARIO: Sciascia risponde su "La Repubblica" all'articolo di L.L. Radice [testo n.4504] che criticava la sua scelta politica di adesione alle liste radicali. Puntualizza ribattendo la assoluta verità dell'episodio dei giovani del PCI inviati a scuola di marxismo-leninismo a Mosca, e stigmatizza che L.L. Radice "consideri spiritose invenzioni cose che nel suo partito accadono". Si chiede infine se il fatto che L.L. Radice legga "cupamente" "Candido" non esprima piuttosto "un suo timore, una sua paura, la paura di non poter più credere, la paura di dover disperare".
(LA REPUBBLICA, 1 giugno 1979)
Mi arriva con ritardo, ad Amsterdam, l'articolo di Lucio Lombardo Radice pubblicato su »La Repubblica del 29 maggio. E un articolo nella sua brevità, esemplare. Da analizzare. A cui rispondere lungamente. Ma qui ed ora ne voglio soltanto toccare qualche punto: e stando al gioco del candore cui effettualmente Lombardo Radice viene a partecipare; e a miglior titolo di me, del mio personaggio e del personaggio di Voltaire.
Può sembrare secondario o addirittura trascurabile, ma il punto in cui raggiunge il massimo del candore è quando dice che tra le critiche che in »Candido io muovo al partito comunista. alcune sono »spiritose invenzioni , come quella dei giovani mandati a scuola di marxismo-leninismo a Mosca.
E qui debbo dire a Lombardo Radice che so essere più spiritoso ed ho migliori capacità di inventare. Voglio dire: se il particolare del giovane che nel 1977 va a scuola di marxismo-leninismo a Mosca l'avessi inventato, non avrei dato prova di fantasia né sarei stato spiritoso. Non l'ho inventato purtroppo. Purtroppo è un fatto vero.
Ed ecco come è caduto nel racconto. Stavo in campagna ed incidentalmente da un mio vicino, vengo a sapere che il figlio di un altro vicino era appena tornato da Mosca dove era stato per quattro mesi a una scuola di partito. Qualche dopo, il giovane venne a trovarmi: mi raccontò del suo soggiorno a Mosca, della sua scuola che aveva frequentato.
Avevo cominciato a pensare di scrivere »Candido , ma fu qualche mese dopo, mentre stavo scrivendolo, che il particolare entrò di peso nel libro; con quelle battute. Venne a trovarmi, con altri amici, un parlamentare comunista; e si parlò dell'indipendenza da Mosca del PCI. Ad un certo punto io raccontai del giovane che era stato mandato a scuola a Mosca. »Impossibile , mi rispose il parlamentare. Mi offrii di accompagnarlo dal mio vicino. Il parlamentare ci pensò su un momento, poi disse quella battuta che io calai nel libro: »Allora vuol dire che mandano i più cretini . Se Lombardo Radice vuole, posso accompagnarlo dal giovane che è stato a Mosca e dal parlamentare comunista, che credo peraltro sia un suo amico.
Il fatto che Lombardo Radice consideri spiritose invenzioni cose che nel suo partito accadono, mi fa vedere il suo intervento a mio riguardo in una luce patetica. E lo dico senza ironia. Un po' come Guttuso, anche lui crede che non ci sia salvezza all'infuori del PCI, e che colui che se ne allontana, anche se mai è stato dentro, lo faccia per disperazione o nella disperazione sia destinato a precipitare.
Non ci si può spiegare diversamente la lettura che ha fatto del mio racconto intitolato a Candido. Come se fosse la storia di una sconfitta. E un libro scritto con molta allegria e che con allegria penso vada letto: e Lombardo Radice lo legge cupamente e attribuendomi un cupo pensare, un pensare senza speranza. Di speranza invece credo di averne: e al punto di forzare me stesso a un'azione che per temperamento non mi si attaglia.
Ed ecco una domanda che gli rivolgo senz'ombra di malizia: nel suo vedermi senza speranza, nella rinuncia e nella disperazione, nel suo leggere cupamente un libro che cupo non è, non è possibile intravedere un suo timore, una sua paura? La paura di non poter più credere, la paura di dover disperare?
(»La Repubblica 1 giugno 1979)