Intervista allo scrittore, eletto nelle liste radicaliCosa sono i radicali. »Potrei dire egualmente di essere socialista . L'abbandono del partito comunista. I giovani chiedono parole nuove, non parole solo politiche.
SOMMARIO: Botta e risposta con l'intervistatore: "Lei è radicale?" "Potrei dire ugualmente che sono socialista". Conferma di essere stato convinto da Pannella "in pochi minuti", ma ammette di non sapere ancora quale "comportamento o obiettivo" sosterrà. Critica i comunisti e pensa di essere un politico "mediocre". Agirà quindi secondo "intelligenza e onestà", ecc.
(SECOLO XIX, 7 giugno 1979)
Leonardo Sciascia, scrittore, entra dunque in Parlamento. E' stato eletto alla Camera, a Milano, nelle liste radicali: secondo con 17.270 preferenze, dopo Pannella (che ha superato quota 28 mila). Sciascia e i radicali. Lo raggiungiamo a Palermo (libreria Sellerio, che è anche suo editore) per un'intervista.
Domanda: "Sciascia, lei è radicale?"
Risposta: "Non so cosa vuol dire esattamente radicale. Sì, lo sono, ecco. Sono del vecchio partito radicale. Votavo radicale, un tempo..."
D.: "E anche adesso, immagino..."
R.: "Certo. Sì: diciamo che sono radicale. Potrei dire ugualmente che sono socialista".
D.: "Ma i radicali cosa sono, di destra o di sinistra?"
R.: "Per me sono di sinistra. Lo dico per il fatto stesso che dico di sentirmi socialista".
D.: "Esiste una certa immagine radicale: quella incarnata da Marco Pannella. Come vede lo scrittore Leonardo Sciascia accanto al personaggio Marco Pannella?"
R.: "Io mi ci trovo bene con Pannella".
D.: "E' vero che Pannella l'ha convinta in pochi minuti ad entrare nelle liste radicali?"
R.: "E' verissimo. Evidentemente ero già convinto".
D.: "Lei è stato consigliere comunale a Palermo, eletto nelle liste del PCI. Poi se ne è andato, deluso della cattiva gestione dei lavori nell'aula municipale. Cosa si aspetta dall'esperienza di Montecitorio?"
R.: "Non lo so. Per me è un'esperienza del tutto nuova. Che farò? Cercherò di fare del mio meglio".
D.: "Ha un programma di comportamento e qualche obiettivo?"
R.: "No. Tutto sta in quello che si farà, quale governo verrà fuori, quali intendimenti presiederanno a questa legislatura".
D.: "In un'intervista al corrispondente romano del "Nouvel Observateur" lei ha parlato di una sicilianizzazione dell'Italia. E ha aggiunto: "Odio e detesto la Sicilia nella misura in cui l'amo. Questo sentimento può estendersi a tutta l'Italia". Come esprimerà a Montecitorio questo odio-amore?"
R.: "Non credo nemmeno che si tratti di odio-amore. E' una constatazione che facevo quando scrivevo il "Giorno della civetta", nel '61. E poi l'ho vista progressivamente realizzata".
D.: "Cosa farà per cambiare questa Italia che non le piace?"
R.: "Tutto il possibile. Sono qui a dare il contributo che posso per tentare di mutarla".
D.: "Lei crede davvero nel contributo radicale?"
D.: "Io credo in un contributo radicale, come credo nel contributo socialista e nel contributo comunista".
D.: "Ma recentemente è stato molto critico dei comunisti".
R.: "Si capisce. Ci dividono tante cose. E tuttavia la gente che c'è, dentro il partito comunista, mi è molto vicina".
D.: "Nell'intervista citata ha detto di considerare la politica come un'attività mediocre, riservata ai mediocri. Si considera un politico mediocre, o un impolitico, anche se rappresentante (politico), del popolo?"
R.: "Temo di dover essere un politico mediocre. Ma questo mi va bene".
D.: "E un politico mediocre, che cosa può fare?"
R.: "Può agire secondo intelligenza e secondo onestà. Io mi ritengo un politico mediocre, ma non un mediocre che fa politica".
D.: "Che cosa pensa dei politici radicali?"
R.: "Per me i radicali rappresentano un tentativo - non dico altro, un tentativo - di fare politica diversamente, di fare politica secondo quello che vogliono i giovani, che chiedono parole nuove, di verità, non parole solo politiche..."
D.: "Ma questo non significa uscire dalla politica?"
R.: "Dal politicantismo sì. Credo che, oggi, la politica migliore sia quella di non fare politica nel senso politicantistico".
D.: "Lei viene considerato un illuminista. Si è parlato in questi giorni d'una sua "nostalgia religiosa". Cosa c'è di vero?"
R.: "Il termine nostalgia non è esatto. E non è cosa nuova. Io sono sempre stato un uomo religioso".
D.: "E oggi?"
R.: "Lo sono. Non religioso nel senso della religione rivelata, ma nel senso della religiosità rispetto alla vita".
D.: "C'è qualcosa che potrebbe dire ancora a proposito del suo ingresso in Parlamento?"
R.: "No, nulla. Sono molto confuso. Spero di avere le idee più chiare, col tempo".