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Sciascia Leonardo - 13 giugno 1979
Dialettica della fragilità
di Leonardo Sciascia

SOMMARIO: Il fascismo reagì contro un'immagine dell'Europa "fragile, decadente, corrotta, disfatta". Il fascismo era per l'"Antieuropa"; proponeva la campagna "pura e luminosa" contro il "cosmopolitismo" delle città, "Strapaese" contro "Stracittà". L'antieuropeismo divenne facilmente polemica antifrancese, gli artisti italiani che guardavano a Parigi erano attaccati duramente. Tale antieuropeismo aveva radici "nella storia dell'unità nazionale": le grandi potenze europee avrebbero sbarrato il cammino dell'Italia verso le colonie. Del resto in Italia, per secoli, alla parola Europa "non corrispondeva nessuna idea". Nei dizionari della lingua italiana, nessuna delle espressioni legate al termine "Europa" è precedente al 18· secolo.

Solo durante gli anni della guerra si leverà dal paese "un'invocazione all'Europa ...commovente..." (cita versi del poeta Vittorio Sereni). L'Europa è "un mito, un'utopia". E' possibile trovare qualcosa di simile nell'idea di Europa mentre si elegge un Parlamento dal quale dovrebbe nascere una sorta di suo governo?

(LE MONDE, 10-11 giugno 1979, tradotto in italiano e pubblicato dal »Mattino del 13 giugno 1979)

In Italia, al tempo del fascismo, ci si divertiva ad immaginare l'Europa, fragile. decadente, corrotta. disfatta. E contro questa immagine dell'Europa che il fascismo reagì. Non che esso suggerisse un'altra Europa, giovane e forte. Secessionista, esso era per l'anti-Europa. Una rivista scelse persino di intitolarsi: »Antieuropa . La dirigeva un personaggio del regime. Asvero Gravelli, che poteva vantare un'impressionante somiglianza con Mussolini. E non era la sola a fare professione di sentimenti anti-europei. Altre riviste, culturalmente meno rozze, conducevano con più brio e sottigliezza una polemica anti-europea che oggi noi saremmo tentati di definire »ecologica .

La campagna pura e luminosa. era esaltata in contrasto alla vita malsana, opprimente e crepuscolare della città. La città era il cosmopolitismo. era l'Europa. Gli »strapaesani di Strapaese (Soffici, Maccari, Longanesi). e gli »stracittadini di Stracittà (Bontempelli, Malaparte), furono gli uni contro gli altri in una disputa letteraria. Nei fatti la polemica anti-europea si ridusse ad una polemica anti-francese. Il complesso d'inferiorità si trasformò nel suo contrario, si proclamò una superiorità che si volgeva più alla buona salute, alla forza fisica e alla crescita demografica, che all'intelligenza e alla cultura. In compenso, nel campo dell'intelligenza o della cultura, chiunque propendesse per l'Europa era, quasi automaticamente sospettato d'antifascismo. Quando Giorgio De Chirico e Alberto Savinio rientrarono in Italia (nel 1934 credo), nei confronti dei due italiani più europei del momento, »Il Selvaggio settimanale »strapaesano scoccò questa freccia: »La Francia ci offende non quando li prende, m

a quando li rende .

L'antieuropeismo del fascismo aveva le sue radici nella storia dell'unità nazionale. Lo Stato italiano era nato, nel secolo scorso, dalle rivalità tra le grandi potenze europee, quelle stesse che gli avrebbero sbarrato poi il cammino verso un'espansione coloniale. Le avventure disastrose in Africa orientale e in Tripolitania erano state le uniche possibilità di manovre lasciate all'Italia. Di qui un certo risentimento. Riconosciamo anche che da secoli, in Italia, alla parola Europa, non corrispondeva nessuna idea. A meno che non si voglia considerare una sorta d'idea quella che si facevano dell'Europa gli avventurieri quali Cagliostro e Casanova.

Il più recente e il più completo dizionario della lingua italiana registra tutta una serie di parole relative all'Europa: europe/anamente; europe/ano; europe/ismo; europe/ista; europe/istico; europe/izzante: europe/izzare: europe/izzazione: europe/o: europe/ico tra le citazioni che illustrano l'uso e il senso di queste parole nella letteratura italiana, poche sono quelle che esprimono una qualsiasi idea dell'Europa e nessuna di esse è precedente al 18 secolo.

Del resto non si tratta precisamente di un'idea: piuttosto di uno stato d'animo, cioè di una semplice sensazione. Proclamarsi europeo, o prendere coscienza di esserlo, è allo stesso tempo, provare una sensazione di debolezza, di fragilità, di spossatezza. Savinio è esemplare: »Tutta la debolezza e tutta la fragilità del nostro europeismo mi fu manifestata di fronte a questa Asia barbara e marcia . Si sa che al tempo del fascismo in particolare, altri scrittori tentarono di trovare nella negazione, nel rifiuto, un'alternativa alla fragilità: come il poeta Cardarelli, si dissero europei di »second'ordine , cioè antieuropei.

Contro questo anti europeismo si leva durante gli anni della guerra un'invocazione all'Europa che è forse la più antica e la più commovente di tutta la letteratura italiana. Il poeta Vittorio Sereni, dal fronte greco e poi da un campo di prigionia in Africa, invoca una certa Europa: silenziosa e minacciata, ma sul chi vive, portatrice di conforto, di salvezza per un mondo che la violenza e la follia sembrano voler inghiottire:

»Europa, Europa che mi guardi

sprofondare tra le orde dei barbari

disarmato, un mito fragile mi ossessiona...

Così parlava un soldato italiano, invasore, sul suolo di Grecia, nel 1942. Forse egli voleva pudicamente e cinicamente recitare con voce flebile ed esitante la »Preghiera sull'Acropoli . E due anni più tardi, prigioniero in Algeria, al momento dello sbarco americano in Normandia:

»Egli non sa più niente e vola alto

colui che cadde per primo

faccia a terra sulla spiaggia normanna:

qualcuno questa notte

mi toccò la spalla mormorando

di pregare per l'Europa

quando la ''Nuova Armada"

appariva davanti alla costa di Francia .

In Sereni persiste la sensazione di una fragilità dell'Europa alla quale corrisponde la fragilità del poeta davanti alle orde barbare. Ma c'è anche l'idea dell'Europa, come qualcosa di diverso dalla guerra, dalla violenza, dal nazismo e dal fascismo. Un'idea, un mito, un'utopia.

Ecco l'interrogativo che, oggi, si offre alla nostra meditazione: è possibile scoprire le tracce di questa idea, di questo mito, di questa utopia nell'Europa che si tenta di realizzare con un Parlamento dal quale nascerà una sorta di governo?

In un appello lanciato sotto la forma di un'inserzione pubblicitaria su »Le Monde del 20 maggio, Sartre e il Comitato contro l'egemonia tedesco-americana rispondono di no, e in termini apocalittici. Noi siamo ancora a questa divisione del mondo di cui parla Borges: quelli che vedono nella battaglia di Waterloo una sconfitta e quelli che vi vedono una vittoria?

Oppure la prospettiva angosciata di un'Europa della disoccupazione e del capitale, della repressione e del conservatorismo, insomma di una Europa della guerra ha un fondamento reale?

Certamente, per noi altri italiani, non è molto rassicurante ascoltare il presidente della repubblica francese rispondere alla domanda: »Perché l'Europa? , con un "Guardate, grazie ad essa abbiamo venduto l'Airbus . Se si mostrasse così franco e così cinico che cosa risponderebbe il presidente della repubblica federale tedesca? Che rappresenta l'Airbus in rapporto a ciò che la Germania aspira a vendere alla Francia stessa? C'è qualcosa di gratuito o, almeno, di prematuro nel tendere l'orecchio per sentire nell'unità europea che ci si sforza di realizzare le trombe dell'Apocalisse. Ma sicuramente, noi italiani, dobbiamo procedere con diffidenza e inquietudine. Io credo che dovremmo trasferire dalla letteratura alla politica il nostro concetto di fragilità dell'Europa, poiché noi saremo veramente vasi di terracotta contro vasi di ferro.

(»Le Monde , 10-11 giugno 1979, tradotto in italiano e pubblicato dal »Mattino 13 giugno 1979)

 
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