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Sciascia Leonardo, Candito Mimmo - 14 giugno 1979
La sinistra non segna l'ora giusta
Intervista a Leonardo Sciascia a cura di Mimmo Candito

SOMMARIO: Lunga intervista allo scrittore, che non ha ancora scelto per quale Parlamento opterà, se quello italiano o quello europeo. Il suo fare "è lo scrivere", ma "in certi momenti..." Giudica "conservatrice" l'Europa attuale ma pensa che le elezioni hanno posto fine al '68 che aveva dato luogo "al terrorimo da un lato e ai nouveaux philosophes"dall'altro. Non gli dispiace che i PC non siano più rivoluzionari, ma pretende che lo dicano con chiarezza. Teme un'Europa dominata dai tedeschi, vorrebbe "l'avvento di un po' di povertà", "l'accettazione, il vagheggiamento della povertà..." la povertà di quel francescanesimo per il quale la Chiesa "è sopravvissuta, nel cuore umano, non come istituzione". Questa "linea francescana" egli vorrebbe per la sinistra, che deve infine abbandonare "il nome e la dottrina del potere". Insomma, ciò che occorre "è la reinvenzione della sinistra". Respinge le accuse di chi gli imputa di provare "diffidenza" per lo Stato; al contrario, egli vuole uno Stato "forte", "forte nella

legge, nella capacità morale..." E' vero che il nome di Moro è scomparso da elezioni che "sembravano dover esser fatte in sua memoria", ma pensa che Moro non avrebbe cambiato di molto la politica della DC. Ciò di cui la DC ha bisogno è un PCI forte, a lei "speculare". Moro ha "fregato tutti non volendo morire" e questo è diventato un "fatto politico enorme". Il PCI non ha capito la questione Moro "e così si è dato la zappa sui piedi".

(LA STAMPA, 14 giugno 1979)

Eletto a Roma e a Strasburgo, Sciascia non ha ancora scelto. E stanco per questi suoi interminabili viaggi in treno, ma par di capire che l'Europa gli vada a misura giusta. »Nella vita uno deve pentirsi più del non fare che del fare. Lampedusa disse un giorno qualcosa sul peccato del fare: ma io sono e resto un peccatore inveterato, cerco di fare .

Nello studiolo soffice di Sellerio, le serrande abbassate tagliano fuori la calura. Filtra una quiete penombra. Sciascia ha davvero qualcosa di grottesco. Un che di indolente che a volte si accende di attenzione. Come il suo Candido Munafò. »Ci vuole poco a passare questo confine tra la pagina e la realtà, e la tentazione per me è sempre troppo forte. Il mio fare resta sempre lo scrivere, ma in certi momenti bisogna fare una testimonianza più diretta, rischiosa anche .

D.: Solo che ne viene fuori una grossa contraddizione con quanto, lei professore, aveva detto con scandalo di molti al tempo delle dimissioni dal consiglio comunale di Palermo .

R.: »Certo, ma io accetto questa contraddizione; è una mia scelta consapevole, volontaria. Per un mio esasperato senso del dovere. Avevo tutte le ragioni per tirarmi indietro, la salute, la voglia di scrivere, la campagna che amo più della città. Ma mi è parso che fosse un chiudersi, un arroccarsi troppo di fronte a cose che avvertivo comunque necessarie .

D.: Però finisce per ritrovarsi in mezzo a una Europa dove si è mobilitato di tutto, dalla retorica di Carlomagno, alla storia che votiamo più degli altri così mostriamo di essere i più bravi.

R.: »Io sono più vicino alle posizioni di Sartre e del Comitato contro l'egemonia tedesco-americana, più che a questo idillio europeista fiorito con grazia ammaliante da giornali e TV. Non ho pratica di assemblee, so che la realtà di queste cose è assai più brutta di quella che si immagina; ma resto dell'idea che bisogna provare. Infatti non sono d'accordo con il Comitato quando chiedeva un boicottaggio elettorale: io dico che semmai il boicottaggio bisogna farlo standoci dentro, andando a vedere .

D.: Gorresio dice che questa che è venuta fuori è una Europa borghese, Cavallari che è moderata. Per lei, Sciascia che roba è?

R.: »E' un'Europa conservatrice, che porta con sé il problema della crisi delle sinistre. Mentre viaggiavo in treno ieri, mi è venuta un'immagine: gli orologi che vanno male non segnano mai l'ora giusta, mentre l'orologio che è fermo due volte al giorno l'ora giusta la segna. E l'elettorato finisce per rivolgersi a quell'orologio fermo .

D.: Si è anche voluto vedere, nei risultati del voto di domenica, la pietra tombale messa sulle bandiere del Maggio, e l'immaginazione che doveva andare al potere.

R.: »Ma bisogna vedere se il '68 poteva essere visto come il trionfo delle illusioni o delle delusioni. Per me è stato un fenomeno che ha dato luogo al terrorismo da un lato e ai noveaux philosophes dall'altro. Da un lato le illusioni che somigliano molto alla disperazione, e dall'altro la delusione, direi, più ragionevole. E stato chiaro, nel '68, che le rivoluzioni non si potevano più fare. Che a farle, si rischiava la sconfitta in partenza .

D.: Ma lei professore ha appena detto che ci sono momenti in cui è anche necessario rischiare .

R.: »Certo, ma la ragionevolezza di oggi, la ragionevolezza della delusione, sta nel fatto di scegliere la nonviolenza, invece che la violenza. Essendo un uomo di immagine e di immaginazione, più che di teoria, io vedo una specie di spartiacque, tra quello che era prima e il dopo, in un episodio del '68, raccontato nel suo libro dal prefetto di Parigi: lui scrive che al di là del ponte Saint Michel stavano gli studenti, come un muro pronti all'assalto, e che lui ha fatto schierare la polizia da quest'altra parte. E ha pensato: se gli studenti passano il ponte, è la rivoluzione. Ma gli studenti non passarono il ponte. Perché dietro non avevano il PCF. Quello è il momento storico che segna la fine delle rivoluzioni. Da quel momento i partiti comunisti non sono stati più rivoluzionari .

D.: E' il giudizio freddo dell'uomo politico o è anche la rabbia dell'uomo di sinistra?

R.: »No, il mio risentimento sta nel fatto che i PC non sono più stati, e non sono, rivoluzionari; è nella constatazione che non si sono ancora decisi a dirlo, che non hanno voluto prendere atto di quel fatto. A me un PC socialdemocratico va benissimo, ma a patto che lo dica .

D.: Ripiombiamo allora in quell'Europa che Sciascia-Candido vede diventare sempre più un orfanotrofio: gli orfani di De Gaulle, gli orfani di Franco, gli orfani di Salazar, gli orfani del partito comunista. In quest'Europa, Candido dice che solo i tedeschi hanno un padre, anche se è un fantasma .

R.: »Si, il fantasma del nazismo. Forse noi proiettiamo sui tedeschi l'eccesso delle nostre paure, delle nostre spaventose esperienze. Ma il fatto è che paura la fanno davvero. Sto arrivando da un viaggio che ho fatto in treno, da Parigi ad Amsterdam e poi qui a casa. Ho passato due frontiere: il Belgio e l'Olanda senza nemmeno accorgermene; ma a passare la frontiera tedesca me ne sono proprio accorto. Questi poliziotti che passavano a ondate di tre, con le pistole che sbattevano sulle pareti del treno, che erano gentili. che non chiedevano nemmeno i documenti. Che guardavano in faccia, soltanto questo, e il rumore delle loro pistole ad ondate. Un certo brivido uno lo avverte .

D.: Allora: Europa dominata dai tedeschi, e dietro i fantasmi della nostra coscienza, e il potere americano, e il grande capitale senza patria. Ma basta così?

R.: »Sta finendo il mito delle rivoluzioni, e quindi necessariamente deve nascere qualche altro mito, qualche altra utopia. Finisce il mito della rivoluzione violenta

D.: Candido-Sciascia confessava che qualcosa sta per finire e qualcosa sta per cominciare in Europa: e che gli piaceva vedere finire quello che deve finire. Ma non apre bocca su quello che deve cominciare .

R.: »Vorrei l'avvento di un po' di povertà, e spero che tutto cominci da lì. Dall'accettazione, dal vagheggiamento della povertà. Certo non parlo della povertà che hanno vissuto i poveri; dico di una povertà come vocazione. E un po' come l'opposizione tra quelle due grandi correnti della Chiesa, il domenicanesimo e il francescanesimo E' in effetti, la Chiesa è sopravvissuta, nel cuore umano non come istituzione, più per la linea francescana che quella domenicana .

D.: Detto in parole che capiscano tutti? .

R.: »Ecco, io vorrei che la sinistra trovasse una specie di linea francescana, che abbandonasse la linea domenicana, il nome e la dottrina del potere. Per esempio trovo che la sinistra è morta se si schiera per il nucleare; una sinistra viva, vitale, promettente, deve schierarsi contro la morte nucleare .

D.: C'è una radice, una origine storica di questa scelta domenicana?

R.: »Credo che tutto sia avvenuto in Russia. Forse anche prima di Stalin; ma comunque è Stalin che segna questo processo, e marchia la storia che poi è venuta nella lotta per una democrazia reale .

D.: Le dichiarazioni ufficiali del PCI, dopo il risultato di queste due domeniche, mostrano però un cambiamento, parlano di un nuovo rapporto tra il sociale e il politico, tendono a rompere gli schemi interpretativi che scacciavano, per esempio, i radicali dentro il peggiore qualunquismo fascista .

R.: »E penoso che lo riconoscano solo dopo la sconfitta. Il fatto è che bisogna farla finita con le tattiche e le strategie, lo stalinismo della pratica e l'antistalinismo della teoria, e debbono tornare alla speranza della gente .

D.: In pratica che cosa significa?

R.: »La storia che ci aspetta è la reinvenzione della sinistra. Io non dico che sia certa, questa reinvenzione; dico che bisogna provare, che non bisogna lasciare cadere la speranza .

D.: Questo riporta però alla sua diffidenza nei confronti dello Stato, alla distinzione tra Stato e società .

R.: »Non ho diffidenza verso lo Stato. Calvino, al momento della sua polemica sulla viltà dell'intellettuale (''Né con lo Stato, né con le BR''), ha ricordato in una intervista come nei miei libri si possa intravedere piuttosto il vagheggiamento dello Stato, e che questo mio essere "contro lo Stato" va visto come una delusione e non come un'avversione. Figuriamoci se io, qui, dal fondo della Sicilia, non vagheggi uno Stato democratico, uno Stato forte .

D.: Cosa significa ''forte"?

R.: »Nient'affatto repressivo, ma invece forte nella legge, nella capacità morale di far rispettare la legge verso tutti i cittadini. Uno Stato che riesca a non privilegiare nessuno .

D.: Però, mi pare che la realtà in cui l'Europa si muove oggi sia, nella analisi di Sciascia, un pendolo tra la germanizzazione da un lato e la sicilianizzazione dall'altro .

R.: »Possono essere, in verità, due fatti concomitanti e fatali per la nostra speranza...

D.: Ma lo scrittore e il deputato Sciascia hanno questa speranza?

R.: »C'è una speranza contemperata dallo scetticismo. Una contemperazione sempre salutare, perché senza scetticismo la speranza rischia di diventare fanatismo. La quota di speranza e comunque è assai maggioritaria. Lo scetticismo sta sempre al margine. Come quando uno si mette a scrivere a macchina e lascia un margine per le correzioni .

D.: Il nome di Moro è scomparso da queste elezioni che sembravano dover essere fatte in sua memoria .

R.: »Moro non avrebbe cambiato di molto la politica della DC. Credo che Moro riservasse ai comunisti la stessa trappola che aveva usato ai socialisti. Poteva essere una questione di tempi, e forse li avrebbe distrutti anche di più, con più risultati. Ma credo che la DC doveva comunque tornare a questa politica di ora, perché tra la DC e il PCI c'è troppo rapporto speculare per cui non possono avvicinarsi troppo senza cadere tutti e due. Debbono stare sempre a una certa distanza, e questa distanza debbono farla aumentare nei periodi elettorali. Senza un PCI forte, non ci sarebbe una DC forte .

D.: Ma la DC resta ancora il partito di maggioranza .

R.: »E il criterio assistenziale con cui è gestito il potere che la fa forte, le dà questa primogenitura. C'è una fascia maggioritaria di persone che va da quello che una volta si chiamava sottoproletariato a tutta la burocrazia statale e locale, che con la DC sta bene. Perché appartiene ad un criterio che doveva essere normale in un partito cattolico italiano: cioè l'unico criterio che un partito cattolico poteva adottare era quello di trasformare la carità cristiana in assistenza dello Stato .

D.: E Moro diceva anche questo, ma poi hanno anche detto che diceva pure altro .

R.: »Le sue scelte vivevano solo nella riserva mentale, non negli articoli o nelle interviste più o meno postumi. La santificazione che è stata fatta ha avuto risultati fallimentari. Moro li ha fregati tutti non volendo morire, e questo è diventato un fatto politico enorme, di grande ripercussione. Io arrivo anche a immaginare che gli Stati Uniti davano probabilmente come perduto questo nostro Paese. Perduto per loro, voglio dire. E che invece sono stati riconfortati dalla resistenza del governo a non cedere allo scambio con i brigatisti. Hanno ritrovato allora una certa fiducia in questo Stato italiano, per cui l'hanno ripreso pienamente dentro la loro area. Se questa mia immaginazione corrispondesse alla realtà, i comunisti, sostenendo il patto della fermezza, si sono dati la zappa sui piedi .

D.: Questo, se ben capisco, significa distinguere tra regime e Stato .

R.: »Certamente. C'è una distinzione tra coscienza morale e istituzione, tra fondamento etico e manovra o interesse di parte .

D.: E ora? Già ci sono formule in discussione per il nuovo governo .

R.: »Un governo laico sostenuto dalle sinistre sarebbe un fatto molto grosso. Se invece si dice che lo sostiene anche la DC, allora siamo fuori dalla realtà. Sarebbe un ritorno a quell'unanimismo che finora è stato una fregatura .

(La Stampa, 14 giugno 1979, intervista a cura di Mimmo Candito)

 
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