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Boffa Massimo - 20 luglio 1979
Il radicalismo degli anni settanta
Nota introduttiva di Massimo Boffa

SOMMARIO: Presentazione del fascicolo speciale del "Contemporaneo" dedicato al "radicalismo negli anni '70", con contributi vari. "Riemerge negli anni '70" - osserva Boffa - "una questione del radicalismo", una vasta gamma "di antagonismi... di comportamenti... di sperimentalismi", nati con la "frattura" del '68. Queste "nuove forme di antagonismo proprie delle società tardo-capitalistiche" non portano però a una vera "strategia", ma prendono la forme "del mito", del "gesto", ecc. In Italia, in "neoradicalismo" presenta componenti di "eccedenza": accanto a una componente "umanistica, non-violenta", dalle aspirazioni "tecnocratiche", ve ne è una legata "all'estremismo di sinistra". Ambedue presentano una "contrapposizione abbastanza netta nei confronti del movimento operaio organizzato", ma ci sono stati momenti di "lotta comune", con una "egemonia" esercitata dal movimento "di ispirazione socialista", anche se con "elementi di ambiguità e di equivoco". Senza "opportunistici inseguimenti" dei "neoradicali", "

Rinascita" offre i dati per una "discussione nuova", ospitando opinioni di varia origine.

(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Riemerge negli anni '70, con connotati profondamente mutati rispetto alla tradizione, una questione del radicalismo. Essa si manifesta molto prima che il partito di Pannella ne divenga, in qualche modo, uno dei principali punti di riferimento. E' difficile formulare un significato univoco che descriva e comprenda la gamma assai vasta di antagonismi politici, di comportamenti eversivi, di aspirazioni trasgressive, di sperimentalismi morali che compongono questo fenomeno. Muovendosi ancora alla sua superficie, si può tuttavia registrare che si è formata in questo decennio un'area sociale dai confini in espansione, la cui dilatazione (soprattutto culturale) interseca le vicende dei gruppi e il destino degli individui, differenziata al suo interno ma unificata dalla comune estraneità e ostilità nei confronti delle grandi tradizioni politiche e culturali del paese.

Tornando a ritroso per ricostruire la genealogia di questa frattura, bisogna arrestarsi all'anno 1968. Il giudizio su questo punto di svolta è andato evolvendosi e precisandosi in corrispondenza con lo sviluppo della crisi e delle vicende politiche. E' potuto anche sembrare, in un recente passato, che i principali effetti di quella rottura fossero sostanzialmente esauriti, sostituiti nella coscienza di massa da altri di segno radicalmente diverso. Eppure, man mano che aumenta la distanza temporale, appare sempre più chiaro che quel punto di svolta rappresenta il principale momento di discontinuità della nostra storia recente, più profondo persino di quanto si potesse inizialmente presumere. E' una frattura non rimarginata, poiché, a partire da quella data, non solo la struttura sociale è stata sconvolta da processi materiali, ma soprattutto la cultura ha prodotto la coscienza di nuove contraddizioni ed ha aperto interrogativi ed ha aperto interrogativi senza risposta nella comune rappresentazione del mondo.

Questo neoradicalismo si è prodotto ed alimentato all'interno delle nuove forme di antagonismo proprie delle società tardo-capitaliste: fra governanti e governati, fra uomo e donna, fra giovani e anziani, fra sviluppo incontrollato delle forze produttive e conservazione del naturale equilibrio biologico. Ma anche all'interno della contraddizione »fondamentale fra capitale e lavoro salariato si è manifestato in forme nuove l'antagonismo fra tempo di vita e tempo di lavoro.

Ma queste contraddizioni tendono ad esprimere sempre meno l'opposizione fra due definiti modelli di società. Vi è produzione di antagonismo nei confronti dell'esistente, ma esso non diventa strategia. Prende allora la forma del mito, più spesso quella del gesto, produce simboli, sufficienti ad indicare il tramonto di un ordine morale ma non ad esprimere politicamente la volontà di un ordine diverso. Qualcosa si è invertito nella dinamica della crisi. La civetta di Minerva questa volta ha anticipato il nascere del giorno, producendo idee, aspettative, rappresentazioni del mondo che non hanno ancora trovato un assetto sociale e istituzionale capace di soddisfarle.

Si tratta di fenomeni comuni alla gran parte dei paesi sviluppati dell'Occidente. Tuttavia, là dove è assente un forte movimento operaio organizzato capace di tenere aperta la »contraddizione fondamentale , essi si presentano in forme politicamente più attenuate, essenzialmente rivendicative nei confronti di una stabile ed egemonica controparte. Il caso italiano è sensibilmente anomalo anche da questo punto di vista. Le forme e le componenti dei neo-radicalismo italiano presentano una eccedenza, sia nei confronti della tradizione radical-democratica nazionale, sia nei confronti di ciò che il termine radicale indica altrove. Accanto ad una componente umanistica, non-violenta, dalle aspirazioni tecnocratiche, germinano forme scissioniste, effrattive, antistituzionali, legate all'estremismo di sinistra e alla sua involuzione. Questa »eccedenza di comportamenti radicali si origina dai caratteri profondamente critici della situazione politica e sociale del paese, che richiede drastiche trasformazioni. Ed anche p

er questo non ci sembra che il partito di Pannella, che pure in modo non casuale si è trovato sul punto di confluenza di molte di queste aspirazioni, sia in grado di dare loro una espressione politica adeguata.

L'attuale punto di arrivo del processo di radicalizzazione di strati della società italiana vede una loro contrapposizione abbastanza netta nei confronti del movimento operaio organizzato e soprattutto del partito comunista. Ma non è sempre stato così. Questo decennio, oltre che rotture e polemiche aspre, ha conosciuto anche momenti di lotta comune e di effettiva egemonia da parte del movimento di ispirazione socialista. Nelle fasi in cui un incontro si è potuto determinare non erano certo assenti elementi di ambiguità e di equivoco, come poi le vicende politiche avrebbero dimostrato. Ma è anche vero che nei momenti di rottura, di drastica contrapposizione, oltre che un indebolimento della sinistra, si è prodotto un impoverimento della fisionomia di entrambe le parti.

Ciò non viene detto per stimolare opportunistici inseguimenti dei comportamenti neo-radicali: sarebbe goffo, a questo proposito, entrare in un'eclettica logica elettorale. Ciò viene detto al contrario per segnalare come si ripresenti, fra i tanti, anche un problema di identità della tradizione comunista, posto non tanto dalla quantità del fenomeno neoradicale, ma piuttosto dalla sua qualità.

La prospettiva di una sintesi di socialismo e democrazia non può essere pensata come invariata nel tempo. Storicamente, il problema della democrazia è stato posto dalle correnti radicali della borghesia. Esiste infatti uno sperimentalismo, un avanguardismo intellettuale, anche estremistico, che va alla ricerca di confini nuovi dell'idea di libertà. E' una ricerca difficile, che rischia permanentemente di trasformarsi nel suo contrario democratico esistente, ma è anche una ricerca necessaria, per adeguare continuamente il significato delle categorie che usiamo.

Quella che tentiamo in questo fascicolo non è per noi una discussione nuova. Più volte ci siamo trovati ad affrontare problemi analoghi sotto forma di »questione giovanile o di »questione degli intellettuali . Ad un convegno dell'Istituto Gramsci sull'orientamento delle nuove generazioni questa ricerca produsse non solo dibattito, ma anche una analisi dei fenomeni di cui ora, in forma diversa, torniamo ad occuparci. Se allora difetto vi fu, esso non consistette in una impropria descrizione dei caratteri e delle ambiguità del fenomeno, né in una insufficiente consapevolezza della sua radicalità, quanto piuttosto in una sottovalutazione della sua espansività culturale e del suo rilievo politico.

Torniamo ora a discutere aspetti diversi - e certo parziali - della tradizione e dell'attualità del radicalismo in Italia, e lo facciamo ospitando sulle nostre pagine anche le opinioni e le critiche di chi esprime posizioni assai lontane dalle nostre. Non si tratta comunque di una »conversione : basta anche solo dare un'occhiata ai fascicoli precedenti del Contemporaneo per vedere che non è un'abitudine che dati da oggi.

Quando si ricerca, bisogna sapere mettere in discussione se stessi. Naturalmente cerchiamo di farlo anche noi, con la consapevolezza, tuttavia di avere alle spalle la più ricca tradizione teorica e pratica di critica della miseria borghese, e che non abbiamo bisogno di diventare radicali per andare alla radice della condizione umana del nostro tempo.

 
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