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Badaloni Nicola - 20 luglio 1979
Il Comunismo è, in primo luogo, diritto dei meno forti
di Nicola Badaloni

SOMMARIO: Analizza con dovizia di riferimenti (Seymour Lipset, ecc.) le fondamenta teoriche dell'iniziativa radicale, nel quadro delle "società tecnocratiche dei paesi a capitalismo avanzato" nelle quali, una volta che il "carattere simbolico" delle "aggregazioni di massa" si è fortemente "attenuato", resta "l'individuo solitario" che non si aggrega più "in modo da esprimere volontà di mutamento sul piano generale". Così, o l'iniziativa del Partito radicale può divenire "elemento integrante... della manipolazione funzionale del consenso" o la sua tematica può essere utilizzata per "ristabilire canali di collegamento tra le contraddizioni della politica e quelle della società": come dice Marx, c'è un "inestricabile intreccio tra governo della società e contraddizioni". I giovani radicali saranno perdonati se avranno contribuito a ristabilire l'idea di Marx "che il comunismo è in primo luogo diritto dei meno forti"...

(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

In un intervento ancora necessariamente provvisorio, è difficile fare un bilancio di ciò che la sinistra e, con essa, la nuova sinistra e quella radicale hanno compiuto di positivo e di negativo. Ho l'impressione che questo primo approccio sia utile, ma possa anche contenere dei pericoli. Non è facile ristudiare con spirito nuovo tutta una problematica senza ricadere in posizioni precostituite. Del resto siamo ancora in piena polemica post-elettorale e niente sarebbe più ingenuo che il pensare che l'unità della sinistra si possa costruire inseguendo le reciproche posizioni, nello stesso modo che rifiutandole o demonizzandole in blocco.

Due cose mi sembrano preliminarmente da dire. La prima riguarda gli anni '50 e '60. Le lotte per l'attuazione costituzionale e per la difesa di elementari diritti di libertà sul terreno economico e su quello dei diritti civili, »il disgelo costituzionale degli anni '60 , per esprimersi con le parole di Stefano Rodotà, sono fatti storicamente rilevanti, tale da giustificare l'impegno nella lotta di classe, nella costruzione di un nuovo blocco storico, nella difesa dei diritti civili da parte di più generazioni di militanti. Cancellare tutto ciò sotto la generica etichetta di un compromesso storico n. 1, cui farebbe seguito il compromesso storico n. 2, teorizzato da Berlinguer, (così come è sostenuto in "Argomenti radicali" n. 6 marzo 1970-1978), mi sembra storicamente falso, riduttivo di quelle lotte che videro sangue sparso nelle città e nelle campagne italiane e centinaia di compagni affrontare con coraggio il licenziamento, l'assenza di prospettive di anni di carriera e spesso la miseria ed il fallimento d

ella realizzazione delle loro capacità e delle loro aspirazioni di vita.

L'altro punto su cui mi sembra che l'analisi della nuova sinistra, e quella radicale in particolare, abbiano fatto fallimento, riguarda proprio l'idea, ormai scontata, dell'avvenuta costituzione di un regime di partiti che, come tale, avrebbe stabilito l'egemonia della Democrazia cristiana e, anticipando il risultato elettorale, avrebbe rappresentato la definitiva spartizione del potere. Ora ciò non era vero di fatto, perché il Pci era ed una realtà assai più articolata e complessa, e non è stato inoltre verificato dai risultati elettorali. »L'ammucchiata non era tale, piuttosto il rapporto ravvicinato tra i partiti tendeva a nascondere non tanto gli elementi di contrasto tra di essi, quanto il significato della lotta di classe, ai nuovi livelli che la moderna società industriale rendeva necessari, ove non si volesse dare spazio a nuove forme autoritarie.

L'analisi dei radicali, risultata in parte vittoriosa nel confronto elettorale, si basava sul giudizio elettorale, si basava sul giudizio che il solo incontro-scontro dei due maggiori partiti (seppure sempre il larga compagnia) fosse sufficiente ad ingenerare nell'opinione pubblica il timore di una volontà di controllo e spartizione del potere. Già alcuni attenti teorici americani avevano rivelato la somiglianza della situazione politica degli anni '60 rispetto a quella degli anni '20, e fra l'altro avevano sottolineato il declino della identificazione del singolo coi corpi collettivi ed in particolare coi partiti. Questo declino di identificazione è diventato evidente negli anni '70 e, alla sua luce, va visto anche il successo elettorale dei comunisti nel '76, dietro a cui non stava alcuna propaganda monolitica, ma, semmai, all'opposto, la critica del vecchio monolitismo.

Che le polemiche ideologiche, quelle politiche, gli errori commessi abbiano fatto arretrare i comunisti italiani dalle posizioni raggiunte, è un fatto cui i radicali hanno senza dubbio contribuito, certamente non però nella stessa misura in cui vi ha contribuito la sordità politica, del resto scontata, del partito di maggioranza. Ma, venendo al punto teorico della questione, esso si concentra nella ripresa e nello sviluppo dell'affermazione di Semiour Lipset, circa la ricordata crisi della identificazione e quindi lo sfaldamento potenziale del grandi partiti di massa. Non è qui il luogo per entrare nei particolari circa l'esercizio tecnocratico del potere nei paesi socialisti. Tutti ormai diamo per scontato che esiste in quei paesi una forte tecnocrazia, cui fa da controllore un potere politico incentrato sul partito, che raramente è capace di rappresentare istanze democratiche e partecipative.

Ma se questo è vero, è altrettanto certo che le grandi teorie tecnocratiche si sono affermate nei paesi a capitalismo avanzato. Qui il sistema politico si è correlato con altri sistemi (economico, familiare, simbolico, ecc.) determinando un insieme di sottosistemi politicamente controllabili. Il funzionalismo, adottando le tecniche keynesiane, utilizzando nuovi sistemi cibernetici e mediando opportunamente i vari sistemi operativi con apparati informativi a loro conformi, non ha fatto altro che creare un sistema tecnocratico a maglie larghe in cui le volontà singole si manifestano parzialmente all'interno di ciascuno dei sottosistemi. Ma non si aggregano mai in modo da esprimere volontà di mutamento sul piano generale.

Una famiglia americana ha teoricamente possibilità di scelta tra il risparmio ed il reddito, ma in realtà essa è obbligata a scegliere l'alternativa del reddito se vuole garantirsi l'assicurazione sulla salute (là dove è fortemente carente il sistema assistenziale pubblico), l'assicurazione sulla vita, il tenore di vita che il ruolo impone, come elemento simbolico del gruppo sociale a cui appartiene. Si tratta di un mondo tutt'altro che perfetto e per il quale può essere altamente desiderabile che le aggregazioni di massa, attenuato il carattere simbolico che le sosteneva, si disperdano e lascino invece loro l'individuo solitario o il gruppo di cui si può ancora dire ciò che osserva il vecchio Stuart Mill; e i singoli prendono l'imbeccata dai gruppi del pari che dagli organismi di massa.

Nel numero 5 e 6 di "Quaderni radicali" (gennaio-giugno 1979) in cui vengono presentati i vari interventi, anche di Marco Pannella, la demitizzazione viene spinta fino a quei limiti estremi che coinvolgono come tutti sanno, la guerra antifascista. E tuttavia Pannella, come rilevano alcuni suoi compagni di partito, è un »ultraleninista , vuole »l'organizzazione , il »partito , anche se nelle forme nuove che comprendono come strumenti di aggregazione i referendum, le lotte di massa su obiettivi particolari, ecc. A me sembra che la discriminante teorica fondamentale sia qui: o questa nuova organizzazione, che si pone in contrasto con le forme storiche del movimento operaio, intende il suo libertarismo come un modo di dar via libera alle strutture nascoste che sono costruibili a vari livelli della società, ed allora il radicalismo è un elemento integrante della teoria politica dei sistemi e della manipolazione funzionale del consenso; ovvero essa esprime una sorta di effetto di ritorno della società civile, tras

formata dall'azione dei sistemi politici, sui sistemi politici stessi (per esprimersi con termini tratti da "Argomenti radicali" n. 11, gennaio-marzo 1979), ed allora gran parte della tematica offerta dai radicali può essere utilizzata per ristabilire canali di collegamento tra le contraddizioni della politica e quelle della società. Ma a questo punto deve, comunque espressa, ritornare ad operare una vecchia idea di Marx, quella dell'inestricabile intreccio tra governo delle società e contraddizioni. Si tratta, come ognuno vede, di un'idea opposta a quella della teoria funzionale dei sistemi. La libertà nel suo significato più ampio, comporta l'accettazione delle contraddizioni, la fragilità degli aggregati umani che contraddicono il potere e la necessità di non ridurre ulteriormente tale fragilità, fino al punto di togliere ogni ostacolo a questo.

Non sono accuse queste che io faccio, né processi alle intenzioni. Ma la discussione nella sinistra, se vuole procedere innanzi, deve essere capace di liberarsi da schemi, da una parte e dall'altra. Di tali schemi nella loro giovane storia i radicali, che pure hanno dato contributi importanti di demitizzazione e di agilità operativa, hanno pur dovuto costruirne parecchi. Ma a tanti che hanno peccato sarà, dicono, perdonato, se avranno contribuito a ristabilire l'idea di Marx che il comunismo è in primo luogo diritto dei meno forti (oggi si direbbe degli emarginati), autogoverno cooperativo dei produttori, libera manifestazione e formazione di capacità in tutte le sfere del sociale, dalla nascita fino alla conclusione della vita.

 
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