di Maria Luisa BocciaSOMMARIO: I "nuovi soggetti" sociali di cui si parla "fanno la loro comparsa sulla scena politica con il movimento femminista", con l'elemento originale che lo caratterizza, cioè l'"assunzione della 'particolarità' del proprio riferimento sociale" e la ricerca di una "legittimazione" a gestirne direttamente gli "interessi" nella sfera politica: il movimento cerca "una differente definizione di ciò che è politico". Il femminismo "rivela la sua originale ricchezza nel suo collocarsi lungo il crinale che separa le due anime della sinistra, quella radicalsocialista e quella comunista", affermando "una diversa gerarchia dei bisogni". "I giovani e gli intellettuali sono gli strati tra i quali più immediata è la penetrazione di queste tematiche": perciò è sbagliato vedere nelle rivendicazioni che pongono l'accento "sull'individuale" solo gli aspetti di "riflusso". Il femminismo si distingue però dal radicalismo, in quanto "alle sue fasi di espansione politica ha sempre corrisposto un'alta tensione progettuale" che
non fa propria la "logica dei particolarismi, della frammentazione" ecc. né ha mai accettato la concezione "radicale" "della rappresentanza". Infine, il femminismo non si è mai posto sul piano della "contrapposizione" con la sinistra, con il "movimento operaio".
(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)
I »nuovi soggetti sociali, di cui oggi tanto si parla, fanno in realtà la loro prima comparsa sulla scena politica con il movimento femminista. E' in esso infatti che trova una prima concreta espressione un fenomeno ben più vasto e complesso, il modificarsi cioè del carattere politico dei movimenti di massa e quindi del loro rapporto con le forme tradizionali di rappresentanza, quali quelle partitiche e istituzionali.
L'elemento del tutto originale, grazie al quale il femminismo va davvero oltre il '68, ed esprime interamente la novità degli anni '70, è l'assunzione della "particolarità" del proprio riferimento sociale e, insieme, la ricerca di una legittimazione a gestirne direttamente, nella sfera politica, i bisogni, gli interessi, perfino la progettualità. Per il primo aspetto, assumendo la contraddizione tra i sessi, il femminismo offre la prima formulazione critica della centralità politica della classe operaia, e della conseguente concezione delle alleanze: il blocco di forze interessato alla trasformazione della società non riconosce, per una sua componente, di funzionare secondo determinate priorità. Per il secondo aspetto, il movimento femminista ricerca non solo una modifica dei rapporti tradizionali tra movimenti di massa, partiti ed istituzioni, ma una differente definizione di ciò che è politico. Risultano cioè sconvolte le distinzioni tra obiettivi rivendicativi e non, intermedi e finali, di condizioni di v
ita o di potere. Ed è per entrambe queste componenti che il femminismo acquista progressivamente influenza, parla ad altri soggetti, dà voce a fenomeni più vasti che troveranno solo in seguito, in questi ultimi due anni, una loro esplicitazione.
Ma già nella prima metà degli anni '70, in realtà, quanto avviene all'interno di una ristretta area di donne, trova un preciso rapporto con la società italiana e con il definirsi di altre esperienze, culturali e politiche. La battaglia per il referendum sul divorzio è il crocevia in cui questi percorsi si intersecano. Il movimento femminista vi arriva impreparato e non ne risulta il protagonista principale, come avverrà poi con la lotta per l'aborto. Ma sui temi dei cosiddetti diritti civili, misura comunque, già in quella occasione, la sua specificità e peraltro la sua esemplarità. Vale la pena di notare che, sul piano culturale e politico il femminismo rivela la sua originale ricchezza nel suo collocarsi lungo il crinale che separa le due anime della sinistra, quella radicalsocialista e quella comunista. Per il divorzio, come per l'aborto, la critica alla strategia emancipativa e alla lettura in sostanza riduttiva, che lo schema classista offre della condizione femminile, si accompagna al rifiuto della con
cezione formalisticamente ugualitaria e garantista, propria delle lotte »civili .
Ma fermandosi alla lettura dei fenomeni, al loro più immediato messaggio, non vi è dubbio che il femminismo partecipa al rilancio di una cultura radicale, dando a questo termine una portata più vasta dell'ideologia che sostiene l'attuale schieramento attorno al partito di Pannella. E per capire la portata della radicalità femminista, il suo contributo qualitativo al radicalismo, come ciò che resta invece tratto distintivo dell'esperienza delle donne, serve forse tralasciare il terreno più immediatamente politico, quello appunto delle battaglie civili, poiché forse ne sono più chiari e noti i termini delle convergenze e dei dissensi. Ciò che il femminismo condivide con altri soggetti, e contribuisce ad affermare nella società, è innanzitutto una diversa gerarchia dei bisogni, nella quale muta profondamente il rapporto tra quelli individuali e quelli sociali. L'elaborazione sulla sessualità, sull'affettività, sulla quotidianità, per quanto ancorata ad una condizione specifica, mette in evidenza aspetti della c
risi e del conflitto sociale che in realtà investono molteplici figure, ne scompongono l'identità e si frappongono alla stessa possibilità di ricomposizione secondo parametri di interessi economici, di status sociali, di valori ideali e politici.
I giovani e gli intellettuali sono gli strati tra i quali più immediata è la penetrazione di queste tematiche. Proprio perché, per tutte altre ragioni da quelle delle donne, la crisi di condizione sociale che vivono rinvia direttamente alla propria individualità consente un relativo autonomizzarsi della dinamica personale e di quella del gruppo di appartenenza, dalle regole generali del conflitto sociale, come da quelle della mediazione politica. La cultura del privato dà corpo in realtà ad una crisi di »socialità , della quale sono progressivamente investiti migliaia di individui. La ricerca di una diversa "radice" al proprio essere muove dalla critica della società, ma per interrogarsi su una concreta determinazione individuale. Nella richiesta di una soddisfazione immediata dei propri bisogni, non si esprime tanto un egoismo diffuso o un primitivismo politico, ma la perdita di un significato di un modello di trasformazione sociale che implichi un rinvio del progetto di sé. In realtà la spinta che questi s
oggetti esercitano nella collettività e verso lo Stato, nella misura in cui muove da una corrosione interna alla loro funzione e da una adesione soggettivamente critica ad essa, chiede un massimo di concretezza e di profondità dell'opera di cambiamento.
In questo senso, ogni lettura che sottolinea prevalentemente gli aspetti di »riflusso , la tendenza a porre l'accento sull'individuale, ignora ad un tempo l'oggettiva rottura prodottasi dentro precise funzioni sociali, e le forze critiche che se ne sono sprigionate. Ciò che interessa, invece, è capire quanto di questi processi sia raccolto ed interpretato dagli stessi movimenti che vi si richiamano.
Direi che qui si pone una differenza essenziale tra radicalismo e femminismo. Distinguendo la radicalità di un comportamento sociale o politico dall'ideologia che vuole corrispondervi, non mi sembra che il neoradicalismo possa davvero essere assunto come l'orizzonte concettuale in grado di riassumere la complessa varietà dei nuovi soggetti, la definizione delle loro particolarità, (dei giovani, delle donne, degli omosessuali, degli ecologisti), per il carattere »trasversale che assume rispetto alla stratificazione sociale, investe infatti l'intero patrimonio culturale e politico. Ciò che nel radicalismo trova un'espressione comune è piuttosto una forma di legittimazione e di rappresentanza che, in quanto si inibisce ogni sintesi ed ogni progetto, offre una variante più duttile della delega e introduce una diversa prassi di accoglimento delle domande sociali. "In quanto cultura dei particolari", il radicalismo ripropone come limite, un inevitabile privilegiamento della politica, e addirittura della sua facci
a istituzionale, sia pure nella versione referendaria o ostruzionistica.
Il femminismo, al contrario, è cultura e pratica di un soggetto specifico, come tale esprime l'esigenza di una sua piena valorizzazione, innanzitutto sociale. In questo senso esso è più direttamente chiamato a misurarsi con l'effettiva radicalità del comportamento femminile, e non può limitarsi né ad esprimerne l'ideologia, né a gestire di volta, in volta, le sue richieste. Infatti alle sue fasi di espansione politica ha sempre corrisposto un'alta tensione progettuale, ed uno sforzo di collocamento con i temi della trasformazione complessiva della società. Il femminismo cioè non ha mai fatto propria la logica dei particolarismi, della frammentazione e separazione dei soggetti sociali. Né ha mai accettato, sul piano politico, la concezione »radicale della rappresentanza. La stessa questione dell'autonomia del movimento è sempre stata posta, anche nella sua versione separatista, quale condizione per sviluppare in modo pieno la portata generale dei propri contenuti, e ricercare quindi un rapporto con altri sog
getti - giovani, classe operaia - con i loro movimenti e le loro espressioni politiche, che non fosse di semplice mediazione e convivenza tra i diversi obiettivi specifici ma investisse la prospettiva del cambiamento.
Per questo il suo rapporto con la sinistra, con il movimento operaio non è stato di mera contrapposizione, ma si è anzi svolto secondo una dinamica di reciproche influenze. Non è un caso che, del »nuovo della società italiana, il femminismo è l'unica realtà che ha coinvolto forze organizzate nei partiti di sinistra e nei sindacati, ha portato cioè il conflitto politico al loro interno divenendo, anche per questo via, un riferimento essenziale per l'elaborazione ed il dibattito di tutta la sinistra e di tutte le componenti del movimento delle donne.