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Panebianco Angelo - 20 luglio 1979
Il conflitto fra il cittadino e lo Stato
di Angelo Panebianco

SOMMARIO: Il partito radicale raccoglie l'eredità del "radicalismo ottocentesco", del partito d'azione, ecc., con l'innesto delle tematiche che si sviluppano nella "società tardo-industriale". La sua crescita è collegata con la crisi "delle forme storiche" della politica, in particolare del "partito di massa", nella ricerca di una "deburocratizzazione della vita pubblica", del "ridimensionamento" degli "apparati di partito", ecc.; non costituisce comunque un "ritorno al passato", al partito "dei notabili" (che sarebbe impossibile), ma mette in difficoltà "le forme tradizionali... della sinistra", e la spinta alla "burocratizzazione" delle società moderne, esprimendo il nuovo conflitto "cittadino-establishment", che non si lascia imprigionare nelle vecchie strutture partitiche. Il nuovo conflitto può essere canalizzato "a sinistra" - con il partito radicale - ma anche a destra, da partiti conservatori che si avvantaggiano del clima di crisi, di "neoliberismo", ecc.

(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Due dimensioni vanno contestualmente considerate se si vogliono capire le caratteristiche del nuovo Partito radicale. In primo luogo, gli indiscutibili elementi di continuità (di metodi e, per molti aspetti, di proposta politica) con il radicalismo ottocentesco e con quelle correnti politiche minoritarie via via incarnatesi in »Giustizia e Libertà , nel Partito d'Azione, nel Partito radicale degli anni 1955-1962. In secondo luogo, le discontinuità rispetto ai precedenti storici provocate dall'innesto su quel ceppo originario delle tematiche politiche proprie di una nuova opposizione che si sviluppa nella società tardo-industriale: le tematiche dei movimenti che con termine comodo ma fuorviante si è convenuto di definire della »antipolitica (in realtà, esprimono l'esigenza di una politica diversa), gli ecologisti, i movimenti di liberazione sessuale, i movimenti regionalisti, antimilitaristi, ecc. Se non si tengono presenti l'uno e l'altro aspetto, il radicalismo italiano può apparire un fenomeno politico in

comprensibile.

La crescita del radicalismo italiano, a mio avviso, è direttamente collegata alla crisi delle forme storiche di rappresentanza politica della sinistra in particolare del »partito di massa (che qualifico tale sulla base degli attributi del modello di partito descritto da Maurice Duverger). Il Partito radicale sviluppa un'azione politica volta a mutare il rapporto fra cittadini e Stato e fra elettori e partiti. Sono note le linee portanti di questa strategia: 1) riattivazione dei tratti »liberali della democrazia rappresentativa: riaffermazione della sovranità del Parlamento "contro" il suo svuotamento da parte dei partiti, della responsabilità diretta e personale del singolo rappresentante di fronte agli elettori "contro" le discipline di partito, ecc.; 2) correzione della democrazia rappresentativa mediante una ampia utilizzazione degli istituti della democrazia diretta, il referendum ma non solo il referendum, potenzialmente a tutti i livelli istituzionali; 3) riforma in senso fortemente federativo dell'a

ssetto istituzionale tale da potenziare le autonomie e l'autogoverno locale.

Il filo rosso, come si vede, è una deliberata strategia di deburocratizzazione della vita pubblica. Il suo perseguimento implica un drastico ridimensionamento del peso degli apparati di partito. Da qui la polemica contro le forme tradizionali di organizzazione e la proposta alla sinistra italiana di un diverso tipo di partito, parzialmente realizzato (con le sfasature che sempre esistono, naturalmente, fra una ipotesi politica e la sua traduzione pratica) nell'organizzazione del Partito radicale: con un apporto laico (di non annessione) con i gruppi, leghe e movimenti che perseguono obiettivi specifici e che anch'essi crescono nel frattempo sulla crisi delle forme politiche tradizionali e con un rapporto diretto, non mediato dalle burocrazie di partito, fra rappresentante e rappresentato (polemica contro il professionismo politico, contro i legami verticali permanenti che definiscono l'insediamento sociale del partito di massa, ecc.).

E' comprensibile che alcuni, legati alla cultura politica tradizionale del movimento operaio, abbiano creduto di intravedere in quella radicale una proposta di »ritorno al passato , in sostanza al partito di notabili e alla forma-Stato del XIX secolo. Ma non è così: perché forme politico-organizzative analoghe assumono significati diversi in contesti storici diversi, e perché le società complesse del tardo-capitalismo non sono le società del XIX secolo. Se non si tiene a mente la crisi indotta nel rapporto fra cittadino e sistema dei partiti dai processi di burocratizzazione della politica e dalle nuove forme di autoritarismo statale non si può comprendere perché, lungi dal rappresentare un richiamo conservatore la politica radicale si sia rivelata assai efficace nel dare sbocco politico a domande che si collocano nel segno dell'innovazione sociale e non della restaurazione. Al centro del problema è la crisi delle forme tradizionali di rappresentanza politica della sinistra, partiti di massa e sindacati. Str

umenti che hanno svolto un ruolo incomparabile di democratizzazione della società, di emancipazione sociale di grandi masse diseredate, le forme organizzative tradizionali segnano oggi il passo, e non solo in Italia: hanno contribuito a democratizzare la società, ma insieme ai processi di trasformazione dei sistemi economici, ne hanno anche accelerato la burocratizzazione (un legame questo fra democrazia e burocrazia, che Max Weber aveva per primo riconosciuto).

E' su questo terreno, a mio avviso, dei processi di burocratizzazione della società che il capitalismo maturo porta alle estreme conseguenze e della rivolta antiburocratica e antiautoritaria che ne consegue, che si saldano gli elementi di continuità fra vecchio e nuovo radicalismo e le tematiche della cosiddetta »antipolitica . C'è una connessione fra la crescita del radicalismo italiano, i nuovi movimenti di opposizione in Europa cui i radicali si collegano e l'"impasse" delle organizzazioni politiche storiche della sinistra. Il partito di massa e le organizzazioni sindacali entrano in crisi in Europa perché i processi di differenziazione sociale provocati dall'azione dello Stato amministrativo erodono le culture politiche tradizionali e incrinano il rapporto con le classi e i gruppi di riferimento »naturali .

Le nuove opposizioni presentano una novità di rilievo rispetto alle divisioni politiche del passato: non contrappongono gruppi sociali concreti, tendenzialmente omogenei al loro interno (proletariato e borghesia, contadini e classi medie urbane, ecc.), i conflitti "tagliano" i sistemi di stratificazione sociale, danno luogo ad opposizioni di tipo »diffuso . Se si trattasse di una contrapposizione, sia pure di tipo nuovo, fra gruppi concreti (come sostiene, ad esempio, la teoria delle »due società ), fra gruppi garantiti dalle politiche neocorporative e gruppi non garantiti, le cose sarebbero più semplici per le organizzazioni politiche tradizionali: il partito di massa navigherebbe in acque magari difficili ma conosciute, dovrebbe soltanto rivedere o al limite cambiare la sua politica delle alleanze. Ma così non è: la frattura fra "interessi diffusi e interessi organizzati" assume le modalità del conflitto »cittadino-establishment e non si lascia imprigionare in organizzazioni che aggregano e danno direzion

e politica permanente a un insieme di gruppi o di segmenti di gruppi sociali (il »blocco sociale in cui si incardina l'organizzazione politica tradizionale).

La frattura "interessi diffusi-interessi organizzati" è legata alla crisi delle funzioni dello Stato amministrativo-assistenziale. E' una frattura che sprigiona energie che vengono canalizzate a sinistra (il Partito radicale, i movimenti ecologici in alcuni paesi europei, eccetera), ma che vengono anche canalizzate a destra. La crisi dello Stato assistenziale, infatti, è strettamente legata alla crisi, anche di progetto politico, dei partiti di sinistra, assai meno di quelli di destra. I partiti conservatori possono convogliare a destra la spinta antiburocratica: le ideologie neoliberiste del nuovo conservatorismo europeo sono uno strumento. I partiti storici della sinistra invece sono sulla difensiva, difendono lo Stato assistenziale ormai in crisi profonda, non hanno elaborato alternative politiche. Non è casuale che l'aspirazione all'autogestione, nella quale si esprime in forme a volte confuse l'opposizione all'eccessivo coinvolgimento dello Stato nell'economia e alle pratiche neocorporative ma in funzio

ne egualitaria e non in difesa dei grandi interessi economici, sia un tratto comune delle nuove opposizioni di sinistra. Esse indicano, nel complesso una possibile via d'uscita, sia pure ancora tutta da esplorare, al resto della sinistra europea, partiti e sindacati. O la riduzione dei tratti burocratici della società e il superamento della crisi dello »Stato keynesiano , resa drammatica dalla sfida energetica, verranno guidati da una Sinistra capace di rimettere in discussione le sue forme storiche di organizzazione e le sue politiche tradizionali oppure esiste il rischio concreto, come vari segnali indicano - dal successo del conservatorismo inglese alla situazione di "impasse" della sinistra italiana come di quella francese, alla designazione di Strauss come candidato della Cdu/Csu - che l'Europa politica nasca, se nascerà, con i tratti cupi della democrazia autoritaria.

 
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