di Giuseppe VaccaSOMMARIO: Chiedendosi se il partito radicale sia o no di sinistra non si comprende "la novità e la profondità del fenomeno", che è assai complesso, e prende inizio dalla "questione della libertà e dei diritti civili nella società capitalistica di massa" in cui si esprime - nei paesi dell'Occidente - "la necessità di sperimentare e tradurre in pratica" le proposte avanzate da "élites" intellettuali. Si tratta di una "trasformazione profonda dei rapporti tra...gruppi intellettuali e segmenti di società". E' un "fenomeno nuovo" delle società "altamente sviluppate". Con tutti i rischi "dissolutivi" presenti, il nuovo radicalismo offre segnali "significativi" di avanzamento delle "doglie del parto" di una "nuova società", alla quale però esso offre solo un "armamentario teorico liberale", insufficiente. Ma l'intera questione è sempre "di stretta pertinenza del movimento operaio".
(»Rinascita del 20 luglio 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)
I radicali fanno parte della sinistra, sì o no, visto che la loro polemica politica è rivolta soprattutto verso il Pci? E le loro tematiche non sono forse tipicamente »borghesi ? Che cosa hanno a che fare con il movimento operaio, la sua cultura, la sua storia? Prevalentemente così si discuteva, fra i compagni, del »fenomeno radicale , durante la campagna elettorale e così, mi pare, se ne discute ancora.
Credo che se si parte solo da questi interrogativi non si va molto lontano nella possibilità di comprendere la novità e la profondità del fenomeno. I suoi profili strettamente politici, che, fra l'altro, sono vari, si esprimono in movimenti, partiti, semi-partiti, e riguardano l'intero Occidente capitalistico, sono solo un aspetto di un fenomeno assai più complesso e più vasto. Da esso, io credo conviene avviare la riflessione, se se ne vuole definire innanzitutto la pertinenza o meno agli orizzonti e alle prospettive »epocali del movimento operaio.
Probabilmente è utile inquadrare il fenomeno con concetti non solo politici e tentare di osservarlo in tutta la sua complessità e nel suo sviluppo. Non pretendo di riuscire a tanto in una breve nota. Vorrei solo fornire qualche spunto alla riflessione, richiamando l'attenzione su alcuni profili del "comportamento radicale". Da questa angolazione la questione della libertà e dei diritti civili nella società capitalistica di massa va ben oltre i problemi che l'azione politica del partito di Pannella pone ai partiti operai. Non solo perché si tratta di questioni connesse con la necessità di contrastare e vincere implosioni e tendenze autoritarie sempre più minacciose in questa società. Ma anche perché a monte della tematica radicale della libertà, della disobbedienza civile, della legittimazione del »diverso vi sono trasformazioni sociali profonde e di ampia portata.
Proporrei, in via di prima approssimazione, una riflessione sui caratteri comportamentistici e culturali del fenomeno. Da questa angolazione, l'aspetto che mi pare più rilevante, in una varietà di fenomeni riconducibili al »radicalismo in un senso relativamente nuovo e specifico è questo: mi pare che in tutto l'Occidente, sia pure in modi diversi, si vengano affermando sempre più, tumultuosamente, ormai da un ventennio, connessioni nuove fra elaborazioni culturali di avanguardie e sperimentazioni e comportamenti relativamente diffusi. Ciò avviene nei campi più diversi. La "radicalità" del fenomeno, ovvero la riconducibilità di una molteplicità di fenomeni di tale natura alla categoria di radicalismo mi pare consista in ciò: la necessità di sperimentare e tradurre in pratica proposte culturali elaborate da "élites" intellettuali nei più diversi campi del sapere, cercando di orientare ad esse la ricerca di nuovi modi di vita e di nuovi comportamenti.
In questa assunzione, la radicalità allude soprattutto al raccorciamento drastico delle distanza fra pensare e vivere: quasi un cortocircuito. Ovvero, una trasformazione profonda dei rapporti fra pensare e agire, avanguardie e masse, gruppi intellettuali e segmenti di società, che esprime il raccorciamento delle distanze anche nei modi di un crescente e sempre più diffuso "immediatismo" della mente e delle pratiche.
Si tratta, come si vede, di un fenomeno nuovo, tipico delle società di massa capitalistiche, altamente sviluppate. In esso si riflettono, accanto alla crisi delle vecchie forme di convivenza e dei rapporti sociali, trasformazioni inaudite della »composizione demografica , l'intellettualizzazione crescente delle forze produttive, la moltiplicazione dei »saperi , la loro crescente socializzazione, i'espansione di tutte le forme della comunicazione.
Vi è il rischio della regressione e dell'»imbarbarimento se e dove questi processi storici di grande portata diano vita a fenomeni sempre più diffusi ed incidenti di vero e proprio cortocircuito fra intelletto ed esperienza? Certamente sì. Basti pensare ad alcuni aspetti dell'uso di massa delle droghe pesanti, motivato ideologicamente; oppure al »terrorismo diffuso in Italia. Anche questi fenomeni andrebbero ricompresi, per taluni profili, nel »radicalismo , secondo l'accezione qui proposta.
Ma non è su questo che mi pare utile richiamare l'attenzione. Se la concettualizzazione che propongo ha qualche pregnanza, allora, nella pluralità dei fenomeni di nuovo radicalismo, sia in quelli dissolutivi, sia in quelli propositivi, si possono intravedere segnali significativi di avanzamento delle »doglie del parto di una nuova società. Di che parla il crescente raccorciamento delle distanze fra avanguardie e masse se non della possibilità e della necessità di una trasformazione profonda dei rapporti fra dirigenti e diretti? E quale direzione di marcia segnalano i comportamenti radicali, nella loro generalità e nel loro fondamento, se non quella della ricerca d'un autogoverno sempre più diffuso?
Certo, questo approccio rischia di far sorvolare sulle forme di coscienza e sui contenuti politici e culturali con i quali la varietà dei fenomeni di nuovo radicalismo si esprime. Al riguardo, il mio giudizio è tutt'altro che ottimistico o indulgente. Nel complesso, essi mi paiono riesumare un armamentario teorico liberale proprio degli albori della società borghese, dal quale non credo ci si possa attendere risposte progressive ai processi dissolutivi della vecchia società.
Ma se la sostanza del problema è quella qui accennata, esso, se non anche i suoi rilevatori, è di "stretta pertinenza" del movimento operaio. Chi altri, sennò, può assumere in prospettive di progresso travagli di tale portata? Una nuova sintonia fra dirigenti e diretti, fra le forme dell'intelletto e le forme di vita non è forse il versante più alto (e più complesso) della tematizzazione del socialismo?