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Archivio Partito radicale
Bandinelli Angiolo - 3 agosto 1979
Area e Partito radicale
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Contesta il fatto che le analisi apparse sul numero de "il Contemporaneo" dei 5 agosto tendano a identificare, più o meno, le due aree costituite una dal "partito radicale" e l'altra dai disparati fenomeni definiti come "nuovo radicalismo". Esse vanno tenute distinte, proprio in conseguenza della presenza di un vero e proprio partito, nato dalle ceneri di quello sciolto "miserabilmente" nel 1962 e dotato di un proprio "progetto politico" con il quale esso mira rigorosamente a "ricondurre" a "unità politica" "il disgregarsi, il parcellizzarsi della società su cui dilagava il 'radicalismo'". Questo progetto punta a costruire "l'alternanza/alternativa" avendo come interlocutore il PCI. Anzi, fin dai tempi delle iniziative sull'ENI e l'industria pubblica, il vero "problema dei problemi" è stato, per i radicali, proprio il rapporto con il partito comunista e la sua strategia.

(»Rinascita del 3 agosto 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Tra il marzo e l'autunno del 1962 miserabilmente, tra risse e ripicche, veniva sciolto e si disperdeva ii Partito radicale prima edizione quello idealmente raccolto attorno fogli prestigiosi del "Mondo" di Pannunzio. L'occasione prossima veniva fornita da una "querelle" interna tutto sommato di scarso rilievo; ma il motivo vero della drastica conclusione di una ipotesi politica nata tra tante speranze e sotto così ricchi auspici era nella necessità che il nascente centro-sinistra non trovasse fuori di sé possibili coaguli di forze antagoniste o critiche o di confronto (specialmente sul versante laico), pericolosi e temuti per l'avvio dell'esperimento di governo con la Democrazia cristiana che socialisti e repubblicani si apprestavano a varare.

Assieme a "quel" partito, e nella consunzione dell'esperimento di centro-sinistra, moriva anche l'ipotesi, allora caldeggiata da molti, di una "terza forza" che si ponesse a mezza via, ago della bilancia ed arbitro tra Dc e partito comunista. Ma, intanto, un gruppetto di giovani (non tanto tali, anagraficamente) si opponeva allo scioglimento definitivo del partito radicale e assumeva la responsabilità della sua gestione. Da tempo il gruppetto agitava un progetto, un disegno che nello stesso partito era duramente contrastato dalle altre componenti: quello di aprire un dialogo/confronto con il Pci per arrivare a delineare e costituire, assieme anche a questo partito, un raggruppamento di forze che avesse la capacità di respingere finalmente la Dc all'opposizione e di attuare l'alternanza di governo. I più qualificarono quella »sinistra radicale come un gruppetto di illusi, o di spregiudicati ambiziosi, disponibili a farsi al più presto fagocitare dal Pci.

Credo di poter affermare, con sufficiente esattezza, che tutto quanto è accaduto successivamente nel perimetro del Partito radicale - nei durissimi anni '60 come nel decennio successivo - è stato sforzo di esplicazione e di realizzazione di quel progetto: la realizzazione del fronte laico di sinistra e della svolta alternativa. Indispensabile, urgente per il paese veniva giudicato liquidare il "regime" dc, considerato come il vero erede - a livello "strutturale" - del "regime" fascista.

In sostanza, fin da allora, nell'esiguità delle forze e dei mezzi, il Partito radicale si pose - con consapevolezza e rigore - quale soggetto politico, portatore di un progetto politico. E qui mi pare difettino le analisi, pur vive ed importanti, apparse sul numero del "Contemporaneo", che affrontano e analizzano il "neoradicalismo degli anni '70" e non il problema del Partito radicale in quanto tale. Eppure, la distinzione non è indifferente.

E' esatta, infatti, una delle osservazioni che mi paiono ricorrenti (ma qua e là smentite da altre di segno opposto) nella serie degli interventi: che, cioè, il Partito radicale non coincide perfettamente con l'area più vasta per la quale si giustifica e vale la connotazione dell'"aggettivo" »radicale , o il sostantivo (così ricco di sfumature di valore, quasi sempre a negativo) di »radicalismo : il radicalismo, insomma, degli anni '70. E' vero. Il Partito radicale ha aperto e condotto battaglie che si sono anche immerse nel ribollire del radicalismo: ma non si è "mai" identificato con questo. Ha dato anzi, di quel complesso di fenomeni, giudizi profondamente autonomi, a seconda del rapporto complesso, mai univoco, che essi assumevano via via rispetto al suo disegno politico.

Mi pare che questa sia una distinzione importante, che non può essere sottaciuta. Indubbiamente, il Partito radicale è vissuto all'interno dei fenomeni che costituiscono, nel loro insieme, il »radicalismo degli anni '70 . Ma vi è vissuto, e ne ha partecipato l'intera sinistra italiana. "De te fabula narratur", come dice Massimo Cacciari.

L'ipotesi secondo la quale il sociale avrebbe dovuto e potuto giungere ad espressione e dignità politica solo attraverso la mediazione dei partiti (del »politico ), mentre questi sarebbero stati la fedele riproduzione dei dati di quel sociale (il corporativismo, il »pluralismo , insomma) è entrata in crisi, certo, "anche" per l'emergenza, nella società, del »radicalismo degli anni '70 (che così diventa anche esso soggetto, dotato di sua realtà e autonomia). Questo è un problema che coinvolge tutta la sinistra storica e la sua interpretazione dello Stato assistenziale; e non è un caso che acuti studiosi di area marxista, italiana e non - e soprattutto di area marxista - stiano lavorando attorno ad una profonda revisione di giudizi su questo nodo centrale. Ma - attenzione - il problema in parte travolse anche il Partito radicale, pur se in questo si venivano sperimentando schemi di interpretazione politica e culturale particolarmente agili alla comprensione di certi fenomeni. Il Partito radicale non coincise

con il »radicalismo , con il »movimento . E anzi (a correzione di alcuni dei giudizi apparsi sul "Contemporaneo") preoccupazione costante del Partito radicale fu quella di ricondurre a »unità politica il disgregarsi, il parcellizzarsi della società su cui dilagava nel paese il »radicalismo . L'elaborazione, il tentativo, non sempre sono riusciti. Ancora oggi, all'interno del partito, è aperta la ricerca di forme di aggregazione atte a dare espressione politica a certi fenomeni (e quindi a salvarli): persino a livello strutturale, perché è una baggianata quella delle lotte radicali come specificamente sovrastrutturali. Né più né meno di quel che spetta fare a tutta la sinistra.

E' su questo terreno, anche (ma non solo su questo) che si proporrà di nuovo il tema (meglio: i temi) dell'alternanza/alternativa, del modello di sviluppo, dei rapporti tra cittadino e Stato (dico cittadino, non individuo), ecc. Sarebbe però un peccato, ed un errore se, nell'affrontare questi problemi, la sinistra o qualcuno nella sinistra si ponesse nella chiusa e rigida ottica del mero "recupero". Chi puntasse su questa carta sarebbe destinato, non si illuda, al puro e semplice fallimento.

Per tornare agli inizi, penso che il dibattito sul radicalismo, se andrà avanti, dovrà tenere distinti quanto basta i due temi del Partito radicale e del complesso dei fenomeni cui il nome viene attribuito. Non è sulla loro meccanica intersezione, ad esempio, che si può incardinare l'altra importantissima questione, dei rapporti con il Pci. Se a soggetto di questi rapporti si assume il Partito radicale, sarebbe sbagliato continuare ad affermare che la sua polemica con il Pci si è fatta particolarmente aspra e dura in questi ultimi tempi e nel clima elettorale. Lo stesso termine di »polemica è sviante. Con il Pci, il Partito radicale ha avuto sempre - ha voluto e preteso di avere sempre - rapporti da "interlocutore" diretto, quale portatore di uno specifico progetto politico, rigorosamente definito. E' su questo - sulla diversità del "progetto" politico - che si capisce e va valutata la durezza e il significato complessivo del confronto. Fin dai tempi dell'Eni, quando oggetto del dibattere era molto prima de

ll'insorgenza del »radicalismo degli anni '70 , la questione della »centralità dell'industria di Stato moderno: ed era il '63-'64.

In conclusione, un punto fermo, che aiuti tutti a capire un po' meglio il problema. Per il Partito radicale, quello dei rapporti con il Pci è stato da sempre, il problema dei problemi. E si deve riconoscere che, nei momenti il cui confronto è stato anche più duro, mai il partito radicale ha posto la questione nei termini di chi solleva l'enigma del »fattore K a giustificare fallimenti, tradimenti e patteggiamenti.

 
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