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Fabre Jean - 15 settembre 1979
SCELTE DI FONDO PER LA SINISTRA
di Jean Fabre

SOMMARIO: Jean Fabre giudica vergognoso che le forze di sinistra che si candidano al governo possano aver votato in Parlamento (o si siano astenute in modo complice) i piani nucleari allorché molti problemi rimangono irrisolti. Il nucleare non può costituire una risposta adeguata ai nostri problemi energetici (nella migliore delle ipotesi fornirebbe una percentuale minima del fabbisogno nazionale) ma può costituire un ulteriore pericolo per la pace mondiale.

L'autore partendo dalla questione nucleare fa poi notare come paradossalmente la sinistra sia diventata nazionale e nazionalista in tutta Europa mentre il capitalismo diventava sempre più transnazionale. Lancia un appello alle forze politiche e sociali perché mettano in atto la riforma dello Stato come modello per l'Europa, e diano corpo a grandi lotte internazionali contro il nucleare , per il diritto effettivo all'aborto, per l'abolizione dei tribunali militari.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Aprile-Settembre 1979, N. 12-13)

"Quando l'ENEL ci annuncia con 8 mesi di anticipo che durante l'inverno, "verso il 26 dicembre", avremo probabilmente un blackout, non significa che c'è bisogno di ricorrere all'energia nucleare, ma significa senz'altro che, se talepredizione si rivela altro che un ricatto a sostegno di una scelta già fatta per altri motivi, la catastrofe ormai pianificabile è il risultato di una politica disastrosa condotta dall'ENEL stessa e dai governi DC da molti anni. Scoprire nei primi mesi del '79 che ci sarà un black-out per la fine dell'anno vuol dire che non è stata messa in atto una politica energetica che mira a parecchi anni di distanza.

Il nucleare, oltre ai numerosi inconvenienti che presenta, non può comunque costituire una risposta adeguata, giacché nella migliore delle ipotesi fornirebbe una percentuale minima del fabbisogno nazionale (intorno al 7%) e non prima del '90, allorché i bisogni sono quelli dell'85 o addirittura del '79. Bisognerebbe oggi prendere atto degli errori passati per evitarne altri, ben più pericolosi, nel futuro. I black-out odierni hanno origini precise, una delle quali risiede nell'eccessiva centralizzazione della produzione elettrica che fa correre ad intere regioni un rischio non trascurabile.

La produzione di elettricità a partire dall'energia nucleare richiede grosse centrali, e non si presta ad una decentralizzazione e alla moltiplicazione delle unità produttive. Più vulnerabili per le conseguenze dei guasti, lo sono anche per eventuali azioni terroristiche che non si possono ignorare in un paese nel quale è possibile ogni giorno uccidere per ragioni politiche e anche rapire i più protetti tra gli uomini di Stato.

Se sappiamo di non sapere molte cose sul nucleare, ne sappiamo comunque abbastanza per decidere di non imboccare tale strada. I rischi ambientali (e quindi per la nostra vita) sono stati sottolineati da tempo dagli ecologisti ma presi sul serio solo dopo gli incidenti accaduti alla centrale di Harrisburg negli Stati Uniti, seguiti dalla "scoperta" di altri incidenti avvenuti altrove nelle settimane successive. Il silenzio è purtroppo ritornato su questo argomento tabù poiché, dopo che è stato reso di pubblico dominio ciò che non si poteva ignorare, si tratta ormai di far ammettere alle popolazioni di molti paesi "l'ineluttabilità" di una scelta folle, qualunquista, e per molti versi criminale. Non dimentichiamo neanche che gli incidenti di cui sopra sono avvenuti nei circuiti secondari (sistema di raffreddamento) e dovuti a guasti minori. Questo per dire che la fede assurda nella tecnica dalla quale dipende la nostra sicurezza è puro qualunquismo che bisogna togliere subito dai vangeli del "realismo" sociali

sta e comunista e denunciare come truffa che fa parte del gioco sanguinoso delle forze del capitalismo.

Rimane vergognoso il fatto che delle forze di sinistra che si candidano al governo possano aver votato in parlamento (o essersi astenute in modo complice come se la scelta non fosse chiara) i piani nucleari allorché molti problemi rimangono irrisolti e che la scelta si può già apprezzare sul piano economico. La centrale di Caorso entra così in funzionamento mentre nessun paese al mondo in più di 35 anni di

esperienza e ricerca attiva (dalle prime bombe atomiche in poi) è riuscita a trovare una soluzione soddisfacente al problema delle scorie. Per di più, né in Italia, né in Francia, né negli USA i piani di emergenza sono portati a conoscenza delle popolazioni locali che sono direttamente minacciate.

Si sa anche che tale scelta non può che portare ad uno stato verticista, alla necessità di controllare i movimenti attorno alle centrali e dai trasporti di materia fissile, alla protezione poliziesca contro possibili attentati, atti di terrorismo, furti di materia radioattiva (i primi si sono già verificati in Francia, negli USA, e il caso ancora più clamoroso rimane quello di un battello scomparso che sarebbe finito in Israele), e quindi a sistemi accentratori, leggi autoritarie, ed a un'estensione sempre maggiore della schedatura dei cittadini, dei poteri di polizia e del militarismo. Invece di organizzarsi intorno al benessere del cittadino, la società si organizza intorno agli imperativi del nucleare civile e militare.

Oltre a questi problemi c'è la nuova dipendenza che sarebbe creata dalla necessità di approvvigionamento in uranio. Abbiamo vissuto i giochi successivi delle multinazionali del petrolio, che dal '73 in poi hanno creato scarsità di petrolio seguita da periodi di abbondanza, riuscendo a far alzare i prezzi e i propri profitti che hanno trovato punte vertiginose. Così, si conciliava la necessità di incrementare i profitti con quella di creare un clima tale da giustificare la scelta nucleare. Contemporaneamente, si dava pubblicamente tutta la colpa ai paesi dell'OPEC senza differenziare fra le élites locali e le popolazioni, e senza spiegare come d'altro canto sono i paesi ricchi ad imporre il prezzo delle materie prime che importano dal terzo mondo e quello dei prodotti finiti che vi esportano o che fanno produrre per importarli, di nuovo approfittando addirittura del "basso costo della manodopera".

Oggi USA e Francia addestrano i loro eserciti per occupare i pozzi di petrolio. Ed ecco che non solo si tratta di morire per l'ENEL, ma addirittura si mette in gioco la pace mondiale per l'incapacità di affrontare i problemi come si pongono. Con il nucleare, non si fa altro che aggiungere un pericolo per la pace mondiale a quello che già viviamo. Scambiando una dipendenza per l'altra (o meglio detto aggiungendo l'una all'altra) si può intravedere come sarà "necessaria" la "protezione" delle fonti di materie prime radioattive.

Quando si vede quale è da anni l'atteggiamento della Francia nei confronti del Sud-Africa, grosso produttore d'uranio, si sa che non solo si chiuderanno gli occhi su tutti i razzismi del mondo, ma non ci sarà limite ad eventuali interventi militari che si giustificheranno per ragioni di sicurezza nazionale intesa nel senso ampio della parola. Al di là di tali minacce si sovrappone quella legata alla disseminazione delle armi nucleari. La tecnologia della bomba non è difficile da dominare per chi può investire un minimo.

Il possesso delle materie fissili necessarie diventa un gioco utilizzando i sottoprodotti dei reattori nucleari civili. Dopo la Cina, l'India, che non può dare da mangiare a tutti i suoi cittadini, diventa ormai capace di distruggere città intere; si dice che Israele dovrebbe disporre dello stesso ordigno fra poco, e l'Iran di Khomeini potrebbe arricchire con i laser il plutonio delle centrali vendute allo Scià per alimentare bombe destinate a non si sa chi... Quello che si sa però, è il continuo aumento del rischio di guerre nucleari e convenzionali... per una manciata di candele!

Tanti errori commessi richiedono interventi urgenti ed eccezionali. Bisognerà moltiplicare le fonti di energia, rimettere in moto centrali idroelettriche ridiventate competitive dopo l'aumento dei prezzi del petrolio, riutilizzare il carbone, riconcepire unità decentrate, più piccole, e fare dell'ENEL la banca dell'energia e non il monopolio. Bisognerà investire massicciamente nelle fonti ancora troppo sconosciute dal vento al sole, passando per le termopile e numerosi altri sistemi, per i quali investimenti di ricerca e di produzione darebbero risultati molto più elevati per ogni Lira in vestita di quanto lo è con il nucleare. Dare priorità alle fonti rinnovabili, alle energie dolci. Mentre negli USA si decide di investire nelle alternative il 20% dei crediti stanziati al nucleare, non si fa quasi nulla in Italia allorché per la sua posizione, la sua configurazione geografica, il suo clima e le sue capacità tecnologiche ed industriali potrebbe assumere una leader-ship mondiale in questa materia.

Al tempo stesso, bisogna guardare allo spreco come prima fonte di

energia. Bisogna riconcepire la casa, gli elettrodomestici, l'isolamento, tutte cose concepite sulla base del mito dell'abbondanza illimitata comune alla religione comunista e al capitalismo. Bisogna avere il coraggio (e questo investe i sindacati allo stesso tempo che i partiti politici ed altre forze sociali) di ripensare il nostro modello di "sviluppo" mentre oggi si lavora troppo e si lavora male, si produce troppo e si produce male, si consuma troppo e si consuma male. Il modello di sviluppo che è stato il nostro si rivela fallimentare. Prodotto dei miti socialista e capitalista, ci porta ormai sull'orlo della guerra per aver disumanizzato la nostra civiltà. La guerra dell'energia si fa necessaria per mantenere i miti, per far fronte ai bisogni artificiali creati da questo sistema, e perché due mondi si trovano a confronto: quello occidentale e quello sovietico.

Non si tratta più di dare pane, tetto e vestito ad ognuno ma di vendere il superfluo, mandare avanti la fiera degli specchi per le allodole, e dappertutto produrre od acquisire cannoni e bombe, anche là dove si muore di fame, anche sotto i regimi socialisti dove la produzione pianificata di beni di prima necessità non ha raggiunto livelli soddisfacenti. La rivoluzione della questione energetica passa anche attraverso questa riflessione di fondo. Se la questione energetica è uno dei nodi fondamentali da risolvere oggi, è ben chiaro che non può essere fatto con misure prese nel solo quadro nazionale italiano. Le dipendenze internazionali sono troppe. Le scelte di fondo vengono prese a livello europeo o dei paesi industrializzati. L'ultimo "summit" a Tokyo con il verdetto nucleare finale è uno degli aspetti visibili di un meccanismo decisionale che scappa ai singoli stati. L'Italia, la Francia e la Germania investono insieme per la centrale di

Malville in territorio francese. Nello stesso modo, le conseguenze sull'ecologia sono transnazionali. Se un incidente scoppiasse nel Super-Phoenix francese, Torino potrebbe essere inquinata. Si può morire in un paese delle scelte fatte in un altro, come un incidente ad una centrale svedese potrebbe costringere lo stato danese a spendere miliardi per ripararne i danni sulla propria popolazione.

Ben al di là di questi esempi c'è il ruolo delle potenti multinazionali che hanno trasformato la nostra organizzazione sociale con decisioni prese in Olanda, negli Stati Uniti, o in Germania, che rivoluzionano la vita della gente in Italia, in Francia o in Inghilterra. Paradossalmente, la sinistra è diventata nazionale e nazionalista in tutta Europa mentre il capitalismo diventava sempre più transnazionale. Parlare oggi di indipendenza nazionale è dar prova di decenni di arretramento. Organizzare la "difesa nazionale" con gli eserciti è una truffa vera e propria mentre l'invasione è fatta da tempo dalla Lockheed all'ICMESA, dalla Westinghouse alla ESSO, dalla NATO dominata dal Pentagono all'inquinamento portato attraverso tutta Europa dai grandi fiumi o dall'aria che si respira, e così via.

Sembrerà una cosa banale richiamare l'attenzione sull'impatto della TV che ci dà il giorno stesso immagini prese a 20.000 chilometri di distanza, o della radio che trasforma la nostra cultura e uniformizza i modelli di comportamento come i consumi da New-York a Reggio Calabria. Purtroppo questa dimensione rimane assente dal modo di fare politica dei partiti che si sono così ghettizzati fuori dalla storia e quindi la subiscano più che farla. E' anche questa la crisi del PCI che non riesce a porsi come forza creatrice non subalterna, e che si adatta man mano che cambia il mondo solo per schierarsi sulle scelte fatte dalle forze più conservatrici. Quando anche la casa si uniformizza da Los Angeles a Mosca e che ci si preannuncia un ascolto di quasi un miliardo di telespettatori per una trasmissione TV su Pompei o sull'elezione di un nuovo Papa, è ovvio che bisogna sapere che cosa si può cambiare nei limiti dello stato nazionale e cosa richiede un approccio diverso da mettere in atto subito.

Non ci può essere una politica agricola nazionale. Nonostante le direttive comunitarie della CEE, viviamo ancora la distruzione annuale in Europa di tonnellate di pomodori, frutta, burro, latte, mentre si consumano in Italia peperoni cresciuti in Olanda in condizioni del tutto artificiali poiché manca il sole. Per di più, in un mondo nel quale è in corso uno sterminio per fame e malnutrizione, l'Italia importa prodotti alimentari dai cosiddetti paesi sottosviluppati dove pretendiamo di esportare tante rivoluzioni verdi! La guerra dei vini fra produttori italiani e francesi e ormai quella dell'abbigliamento mettono in rilievo l'inadeguatezza pazzesca dell'azione sindacale, prodotto di un corporativismo chiuso che non si può definire socialista e ancora meno di classe.

Quando Piperno è arrestato a Parigi e si annuncia d'altra parte che 6 francesi che rischierebbero la pena di morte in Francia saranno giudicati in Italia, quando i servizi segreti fanno arrestare Freda e Ventura a 8.000 chilometri dall'Italia, non si può ignorare che la riforma della giustizia non è solo nazionale ma ha una componente internazionale che sta per concretizzarsi nel repressivo "spazio giudiziario europeo". A quando l'impegno delle forze di sinistra per la conquista dei diritti civili in tutta Europa?

Non si può ragionare in Europa dopo il trattato di Roma come se fossimo ancora prima, anche se non si è fatto comunque altro che coordinare il mercato, gli scambi e le produzioni industriali ed agricole, tentare di armonizzare gli investimenti e riequilibrare le differenze regionali, cioè rendere un po' meno selvaggio un capitalismo transnazionale che funziona a tale livello già dai tempi del colonialismo e del mercato degli schiavi. Sono in ritardo i partiti politici, i sindacati, i movimenti alternati vi, le forze sociali e i modelli di pensiero. Anche la ricerca scientifica dovrebbe oggi essere concepita sempre di più nel quadro più vasto delle popolazioni che dovrebbero beneficiarne. Quando dobbiamo lottare contro lo spreco, e molte tecnologie richiedono investimenti e conoscenze ad alto livello, diventa globalmente troppo costoso ripartire da capo in ogni paese, lasciare accumulare ritardi tecnici in certe zone del mondo, mentre è ingiusto lasciare parte dell'umanità fuori da certe conoscenze a nome di

una competizione che non ha nulla da vedere con un socialismo libertario e umano.

All'interno degli stati nazionali si possono cambiare i quadri giuridici, si possono operare scelte regionali (che devono andare ben al di là delle briciole di decisioni lasciate oggi alle regioni), mentre i grandi orientamenti in tutte le materie che hanno delle complicazioni comunitarie si prendono nel quadro internazionale. Così, la definizione di una politica agricola, il consumo alimentare, il commercio, la produzione industriale, gli scambi di materie prime e prodotti finiti, la ripartizione delle risorse energetiche non equamente distribuite, molti aspetti della questione sociale della droga, la protezione dell'ecologia, la ricerca medica e l'uso di certi trattamenti medici, il controllo sull'impatto dei modelli culturali, l'azione sui prezzi e l'inflazione, l'occupazione (intesa come ripartizione del lavoro e non come obiettiva in sé come è il caso oggi), la lotta contro la fame e la trasformazione delle attuali politiche militari richiedono tutte misure che non si possono concepire se non a livello

internazionale.

Nell'ambito nazionale si può invece realizzare la riforma universitaria e della pubblica istruzione, la riforma delle pensioni, definire una politica edilizia, attrezzare il paese e le regioni di strutture ospedaliere, organizzare i trasporti pubblici, operare una riforma della giustizia per gli aspetti legati al bilancio, alle strutture, ai mezzi messi a disposizione, alla formazione del personale, alle leggi che definiscono una civiltà giuridica che può essere umanista e libertaria. Si possono fare passi verso la risoluzione dei problemi energetici con il decentramento della produzione, lo sviluppo delle energie dolci, e le misure legate all'uso di nuove tecnologie e alla necessità del risparmio energetico. Si può mettere in atto una politica di disarmo unilaterale, accompagnarla di una politica internazionale di non allineamento e di solidarietà con i popoli più poveri, e liberare così risorse che permettano di affrontare impegni internazionali, dallo Sme all'integrazione europea. Si può fare una riforma

fondamentale dello stato dando alle regioni il massimo di potere decisionale, lasciando allo stato nazionale l'unico compito di definire democraticamente i grandi orientamenti interregionali.

Tale riforma sarebbe peraltro un contributo enorme alla realizzazione di un'Europa federale e federalista come tappa verso la risoluzione dei problemi comuni dell'umanità. Per operare riforme necessarie e non essere riformiste le forze sociali e politiche devono intra prendere trasformazioni interne e condurre battaglie significative, attraverso le quali passa il processo di rinnovamento necessario e lo spolverare delle abitudini mentali senza il quale rimarremo inadeguati.

Il primo compito spetta alle forze sindacali. Oltre ad abbandonare l'unitarismo che immobilizza e porta al conservatorismo, devono avere la capacità di organizzarsi pienamente sul piano trasnazionale radicandosi nella concezione di un socialismo della fine del ventesimo secolo, fuori da tutti gli schemi corporativisti e clientelari. Alle forze politiche e sociali spetta promuovere e mettere in atto la riforma dello Stato come modello per l'Europa, imporre la legge elettorale unica e rispettosa delle minoranze per il parlamento europeo; battersi dappertutto dentro le istituzioni e fuori per la difesa del diritto delle minoranze, e condurre battaglie per imporre i diritti civili non più come diritti all'interno dello stato nazionale, ma diritti che vanno conquistati per tutti e ovunque. Oltre al rinnovamento sindacale, occorre quindi dare corpo a grandi lotte internazionali contro il nucleare e per le energie dolci in tutta Europa, per il diritto effettivo all'aborto senza differenza a tutti i paesi della comu

nità europea, per abolire i tribunali militari e ancora per la libera ed effettiva informazione a cui hanno diritto tutti i cittadini.

Più radicale ancora sarebbe una lotta estesa a tutta Europa per riuscire a salvare dallo sterminio per fame e malnutrizione la maggior parte di coloro che muoiono adesso, portando così lo scontro con il conservatorismo e le forze della morte sulla maggiore contraddizione di classe. Fare l'Europa oggi non può significare farla soltanto per facilitare il funzionamento della società capitalista e liberale, altrimenti saremo al di fuori da qualsiasi prospettiva socialista e libertaria.

Anche la battaglia contro lo sterminio in corso costituisce quindi un punto di passaggio della costruzione di un'Europa che sia un minimo "progressista"".

 
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