Elezioni: con la proposta Cossutta il PCI "apre" ai radicalidi Angiolo Bandinelli
SOMMARIO: Il Pci affronta con grande anticipo la preparazione della campagna per le elezioni amministrative del giugno 1980. L'obiettivo è quello di mantenere le posizioni acquisite nel 1975, ma soprattutto, e in special modo nel caso di alcune grandi città, come Roma e Napoli, si tratta di recuperare voti rispetto al calo subito nelle politiche dl 1979. Il tema prioritario per i comunisti è quello del recupero dei voti comunisti confluiti sulle liste radicali: è una sfida che il Pci non può tollerare. A Roma, il Pci sferra duri attacchi ai consiglieri radicali in Comune e alla Provincia, per non rispondere alla richiesta da questi fatta di denunciare l'intesa istituzionale con la Dc, per avviare un confronto nazionale su temi qualificanti, e adeguare anche le amministrazioni locali ad un disegno generale di mutamento della qualità della vita: a partire dalla questione del risparmio energetico e dell'utilizzo di fonti alternative. In altre città, come Genova ad esempio, i mezzi d'informazione parlano di una
lenta marcia di comunisti e radicali verso l'armistizio, ma si tratta di sorrisi e falsificazioni. Oppure si dà spazio ad episodi marginali, di presenza di "radicali indipendenti" nelle liste Pci in piccolissime realtà. Nei fatti, Cossutta cerca l'intesa con i radicali, con la Nuova Sinistra, col Pdup, per non abbandonare troppi grossi comuni alla Dc, ma nega il contrasto di questa posizione con l'intesa Pci-Dc a livello nazionale: qui "le cose sono diverse". Il ricatto va respinto; occorre suscitare energie locali ancorate a programmi e impostazioni valide ad aprire una linea amministrativa alternativa nei contenuti e non tanto negli schieramenti.
(NOTIZIE RADICALI N. 146, 29 settembre 1979)
Il Partito comunista ha tempestivamente avviato la campagna per le elezioni amministrative della primavera del 1980. La posta è grossissima: si tratta di mantenere, in condizioni diverse e incomparabilmente più difficili, le posizioni di rilievo conquistate con le elezioni del giugno 1975, che videro il grande balzo avanti delle sinistre, anche in nuovi Comuni assai importanti (pensiamo a Roma, a Napoli, ecc.). La battuta di arresto elettorale subita nel 1979, con l'arretramento del PCI e spesso dell'intera sinistra, può compromettere il raggiungimento dell'obiettivo. Il PCI teme in sostanza di perdere le elezioni dell'anno prossimo e di dover quindi riconsegnare alla DC numerose situazioni locali: tra le quali, in primo luogo, Napoli e Roma, appunto. Alle difficoltà elettorali vanno aggiunte anche le frizioni e gli attriti in atto tra il PCI e il PSI in alcune città e regioni (la Lombardia è un esempio importante): si comprende e si giustifica insomma l'interessamento del partito comunista per la ormai pros
sima scadenza elettorale.
Diremmo di più: l'obiettivo del mantenimento delle posizioni acquisite viene a coincidere in molte città e regioni con l'altro, non meno essenziale, del recupero delle posizioni "politiche" perdute il 3 giugno scorso. E' il caso di Roma, dove il PCI manifesta un'estrema preoccupazione per l'appuntamento del prossimo giugno anche in una prospettiva più ampia che non sia quella del mantenimento del potere cittadino. Il PCI sente probabilmente l'urgenza di cancellare il ricordo stesso della bruciante sconfitta di questa estate.
E non vi è dubbio che, in questo quadro, il tema prioritario ed essenziale che i dirigenti comunisti si sono imposti di affrontare è quello del recupero dei voti comunisti confluiti sulla lista radicale. Per la prima volta voti operai, delle fasce proletarie e piccolo borghesi delle periferie si sono staccate dal PCI e si sono riversati su un'altra forza di sinistra. E' il caso di Roma, ma lo stesso può essere detto anche per Genova, Torino, ecc. Si tratta di una sfida che il PCI avverte di non poter tollerare.
A Roma i dirigenti comunisti, immediatamente dopo le elezioni, sferrarono una serie di duri attacchi contro il consigliere comunale (e il consigliere provinciale), anche su fatti pretestuosi. In realtà essi non sapevano come rispondere alla posizione che i radicali del Lazio avevano assunto subito dopo il 3 giugno, e che consisteva nella richiesta fatta al PCI di denunciare l'"intesa istituzionale", che, a somiglianza di quanto accade sul piano nazionale, legava il PCI ad una lunga, inutile e perdente attesa DC e di una sua grande svolta politica. I radicali affermano che, prima di poter pensare ad una qualsiasi apertura di "dialogo" a sinistra, il PCI dovesse, formalmente e esplicitamente, rompere con l'equivoco del passato. "I radicali - dichiarava il consigliere comunale in quella occasione - non sono indipendenti di sinistra. Nessuno si illuda di raccattare accordi locali, individuali, settoriali con questo o quel radicale eletto in una amministrazione locale. Ciò che si deve semmai cercare è un confront
o "nazionale" su alcuni temi qualificanti, attorno ai quali avviare grandi e nuove intese delle sinistre per adeguare anche le amministrazioni locali ad un disegno generale di mutamento della ``qualità della vita''. Un primo tema potrà essere quello dell'energia, del risparmio e della utilizzazione generalizzata delle fonti alternative.
Quanto è accaduto a Roma potrà ripetersi altrove. Due settimane fa "Panorama", in un "servizio" da Genova, affermava che, sul piano delle amministrazioni locali, "comunisti e radicali... marciano lentamente verso l'armistizio". Qui la tecnica è quella del sorriso e della falsificazione dei dati di informazione. Non si vuole che un eventuale confronto sia fatto su temi rigorosi e precisi, attraverso un franco dibattito nazionale e si preferisce la via della "trattativa privata".
Mi pare che sia una strada tutta da scongiurare. Gli interessi in gioco sono molto pesanti: non stupisce che "Repubblica" dia largo spazio ad un episodio molto marginale come quello accaduto a Cassano Ionio, dove alle elezioni comunali di ottobre verrà presentata - pare - una lista comunista in cui saranno inseriti quattro "radicali indipendenti". E' una posizione che i radicali mai hanno accettato e che li assimilerebbe - ripeto - agli indipendenti di sinistra o a un Corvisieri che al Consiglio comunale romano vota ormai da mesi all'unisono con la giunta PCI-PSI-PSDI.
Nei prossimi mesi le pressioni in questo senso saranno molto forti. Forti, ma anche scoperte nella loro strumentalità... L'articolo di "Panorama" già mostra la corda. Esso attribuisce al consigliere radicale di Genova l'osservazione che non si debba permettere che fra un anno al DC riconquisti così importanti posizioni di potere. E', detto con tutta chiarezza, un'osservazione imbecille la cui fonte va cercata altrove, cioè all'interno del PCI.
In una ampia intervista a "Repubblica", pochi giorni da, Cossutta affronta la questione da un angolo più ampio. E' possibile insomma, seconda l'esponente comunista, che il PCI non ce la faccia a mantenere le attuali posizioni. E allora? Niente paura. Il Partito comunista non porrà pregiudiziali: si potranno formare giunte di "grande sinistra" assieme anche a PDUP, NSU e radicali. L'importante è - ancora una volta - non abbandonare alla DC comuni troppo importanti. La responsabilità di questo ritorno, semmai, ricadrà su quelle forze (i radicali, magari...) che dovessero rifiutare l'accordo. Alla domanda del giornalista se questa posizione non sia in contrasto con la ricerca di accordi con la DC a livello nazionale, Cossutta risponde esplicitamente: "Nessuna contraddizione. Sul piano nazionale, le cose sono diverse...".
Mi pare che il discorso che il PCI viene facendo sia, almeno nella versione Cossutta, inaccettabile. Mentre rischi, oneri e responsabilità dovrebbero ricadere su chi recalcitrasse ad accettare il diktat, il PCI si riserva di mantenersi la mani libere, per i suoi disegni politici, su tutti i tavoli, senza dover rendere conto a nessuno...
Non penso che vi sia nessuno disposto a concedere tanto. Il ricatto va respinto. Il problema della flessione del PCI va discusso, con piena assunzione di responsabilità di un partito che per anni ha ignorato avvertimenti, richieste di ogni genere, e ha scelto da solo, pervicacemente, una linea dimostratasi suicida. Una delle maggiori responsabilità del PCI romano è di aver letteralmente liquidato ogni forma di partecipazione, di decentramento, di cooperazione con le grandi forze popolari non legate ai partiti. Il decentramento amministrativo non esiste più; i consigli scolastici sono deserti, dopo elezioni disastrose segnate dall'assenteismo; i comitati di quartiere sono stati depressi o fagocitati: tutto per inseguire il fantasma dell'intesa privilegiata con la DC.
Lo steso, probabilmente, potrà essere verificato altrove. A Trieste, nell'autunno del 1978, il PCI rifiutò l'assenso alla ricerca di una intesa di sinistra, che giungesse fino al "Melone" e strappasse il comune alla DC: "No, senza la DC non si governa Trieste...". Queste cose, queste responsabilità non possono oggi essere messe in un canto, dimenticate.
E' evidente che vi è l'interrogativo delle prossime elezioni regionali e amministrative. Non si deve però dare spago a chi pensa (come "Panorama" attribuisce a questo o quel radicale) che nel partito esistano due anime, della quali una "integralista e barricadiera", che respingerebbe l'idea dell'ingresso di radicali nelle giunte locali. La questione è malposta, con una qualche mala fede. Credo invece che l'esperienza fatta in questi ultimi due anni, proprio con le elezioni a Trieste e nel Friuli-Venezia Giulia, sia probante per avviare un discorso di prospettiva. Il partito radicale deve porsi nella condizione di offrire un ennesimo "servizio" alla sinistra nel suo complesso, e direttamente a quelle forze politiche e civili che la suicida politica del PCI ha finora teso ad emarginare.
Dobbiamo avere la forza di mettere in moto una linea di tendenza che vada in tutt'altra direzione. Occorre suscitare energie locali ancorate a programmi e impostazioni valide ad aprire una linea amministrativa alternativa nei "contenuti", non tanto negli schieramenti. Non si tratta di mantenere per forza un comune a giunte sclerotizzate, paralizzate o inerti di fronte a scelte ormai indilazionabili (quelle energetiche, sul nucleare, sull'assistenza ai giovani, agli handicappati e agli anziani, quelle stesse sull'urbanesimo, ecc.), quanto piuttosto di promuovere, secondare, appoggiare emergenze reali, cui si colleghino battaglie sui temi legati alla "qualità della vita". Vi sono energie di questo tipo? Senza abdicare al diritto di un giudizio, senza affidarsi ad improvvisazioni di sorta, i radicali potranno e dovranno essere accanto a loro. Se non vi sarà nulla di tutto questo, ebbene, vorrà dire allora che sul piano amministrativo le scelte sono per noi ancora premature. L'offerta di cani sciolti, non potrà
comunque essere mai nostra. Questo è - almeno - il mio giudizio, maturato sull'esperienza fatta a Roma. Ma mi auguro possa essere condiviso da tutti i radicali.