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Sullo Pierluigi - 31 ottobre 1979
ROMPICAPO RADICALE
di Pierluigi Sullo

SOMMARIO: Secondo l'autore il Pr si è trovato con poche idee e poche forze ad amministrare il successo elettorale del 3 giugno 1979. Da una parte solo tremila iscritti e il fallimento dell'obiettivo dei diecimila; dall'altra la debolezza delle lotte per i diritti civili che "hanno mostrato la corda". Un gruppo parlamentare con 18 deputati, più dei repubblicani, deve avere una strategia: un partito che vuole rappresentare tutta l'opposizione può - si domanda l'autore - »continuare ad atteggiarsi come un piccolo gruppo che invece rappresenta solo la forza del diritto, con tutta la valenza illuminista che un simile atteggiamento ha?

(IL MANIFESTO, 31 ottobre 1979)

Il congresso radicale che si apre oggi a Genova è il più terribile rompicapo che sia mai capitato a Marco Pannella e agli altri padri fondatori del Pr. La discussione sarà con ogni probabilità molto vivace, per usare un eufemismo, e gli esiti di questo dibattito sono molto oscuri per gli stessi dirigenti radicali, i quali fidano nella buona sorte, nell'informalità di queste occasioni e, forse, nel fascino personale di alcuni di loro.

Sta di fatto che il partito radicale attraversa una crisi a tratti convulsa. I congressi regionali sono stati, praticamente tutti, molto accesi. A Roma, in particolare, ci si è divisi, con tanto di mozioni, contro-mozioni e, sono gli stessi radicali romani a dirlo, "manovre di corridoio", tra sostenitori del partito non-partito da una parte e propugnatori della costruzione effettiva dei partiti regionali, dotati di una loro autonomia dal centro, dall'altra. A Firenze, poi, si sono tenuti, nelle scorse settimane, due successivi convegni di radicali "dissidenti", ferocemente critici verso il gruppo dirigente nazionale. Lotta continua, che i radicali fiancheggia con timidezza, ha pubblicizzato questi convegni. Convocati, a quanto se ne è letto, anche da "ex compagni della nuova sinistra".

Qui sta una delle chiavi per capire le ambasce dei radicali. un partito, così recita la teoria, fondato sulle lotte per i diritti civili perché questi sono ormai "strutturali" in una società penetrata dall'intervento dello stato e dove, di conseguenza, le classi sono frantumate in gruppi di interessi, non può non proporsi, alla lunga, di far entrare nella propria orbita movimenti diversi. Così, la struttura del Pr è quella dei partiti regionali coordinati da un consiglio federativo, e al partito sono poi a loro volta federati movimenti come il Mld o il Fuori (ma questi sodalizi sono sciolti da tempo). E un campo dove esercitare la propria influenza era ed è, di conseguenza, per i radicali, l'area detta di nuova sinistra.

Le elezioni del 3 giugno, con la violenza polemica nei confronti del partito comunista, gli atteggiamenti da Grande Fratello nei confronti di Dp e dei resti di Lotta continua, più, ovviamente, le istanze libertarie, è stato anche questo: il reclutamento, se non formale, certo ideale ed elettorale di settori di nuova sinistra e di alcune frazioni di movimento 77. Certo non sono stati questi settori a determinare la valanga di voti radicali; ma, intanto, queste forze hanno agito da motorino moltiplicatore dell'influenza radicale.

Dopo di che, il partito radicale s'è trovato con poche idee e poche forze per amministrare tutta quella grazia di Dio. Sulle poche forze si può dire in due parole: il Pr ha non più di tremila iscritti; l'assemblea straordinaria di ferragosto, convocata anche per lanciare l'obiettivo dei diecimila iscritti, da questo punto di vista è stata un fallimento.

Sulle poche idee il discorso è invece più lungo, e più complicato. C'è un problema elementare di linea politica, intesa nel senso più brutale. Alla prova dei fatti, le lotte per i diritti civili hanno mostrato la corda. Nè è consentito a un gruppo parlamentare di 18 deputati (più di quanti siano, per esempio, i repubblicani) di continuare a giocare con quello che nel calcio si chiama un atteggiamento "opportunista": girare al largo, non farsi notare dalla difesa avversaria e poi spuntare all'improvviso e ficcare il pallone in rete. E' quel che fanno le squadre deboli contro avversari in teoria più forti. Ma, oggi che il Pr è una squadra, piccola sì, ma solida, bisogna cominciare ad inventare un gioco collettivo, una strategia, ciò che, piaccia o non piaccia, è nella logica di questi partiti e di questi gruppi parlamentari. Oppure rifiutare decisamente le regole di quel gioco.

Così, è buffo vedere due deputati radicali, Teodori e Tessari, non solo dividersi sulla faccenda dei precari dell'università, ma anzi insultarsi, sulle pagine di Lotta continua. Ed è logico che, quando i radicali occupano per protesta la sede Rai per il poco spazio che ha ottenuto dai Tg l'arresto del loro segretario Jean Fabre in Francia, si sentono replicare che nella commissione parlamentare di vigilanza ci sono anche loro e che quella è la sede per protestare.

C'è come un equivoco, un buco nero nella politica radicale, dietro a vicende come queste. Ovvero la domanda: può un gruppo politico (e lasciamo stare se partito o gruppo parlamentare) che voglia rappresentare tutta l'opposizione continuare ad atteggiarsi come un piccolo gruppo che invece rappresenta solo la forza del diritto, con tutta la valenza illuminista che un simile atteggiamento ha? Ad esempio decidere se stare o meno nelle giunte di sinistra significa rispondere proprio a questa domanda. Ed è una risposta che rischia di cancellare una certa fisionomia passata del Pr.

 
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