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Corvisieri Silverio - 6 novembre 1979
La democrazia immaginifica dei radicali
di Silverio Corvisieri

SOMMARIO: Prendendo spunto dalle polemiche esplose nel corso del congresso radicale di Genova del Pr, l'ex leader di Avanguardia Operaia eletto nelle liste del Pci afferma che il modello organizzativo radicale non può rappresentare l'alternativa vincente rispetto al centralismo democratico dei comunisti. Il Pr ripropone invece mali assai antichi legati alle degenerazioni tipiche della società tardocapitalistica (divismo, demagogia elettoralistica, dilettantismo, pressapochismo) in una ricerca esasperata dell'attenzione da parte dei "mass-media". Corvisieri raccoglie poi alcune critiche avanzate nel corso del congresso di Genova affermando che i radicali, nonostante la loro opposizionhe al finanziamento pubblico dei partiti, sono quelli che nella sinistra maggiormente vivono sul denaro dello Stato. Ma anche questa dissidenza interna al Pr non potrà avere successo perché non contesta il retroterra teorico del pannellismo, è »è tutta interna ad una visione della politica e della democrazia che fa giustizia somm

aria della divisione in classi e dei risultati di una lunga storia di lotte sociali .

(LA REPUBBLICA, 6 novembre 1979)

Pannella ha contrapposto l'azione di Parigi alle "chiacchiere" del congresso radicale: ben oltre la piccola manovra per sottrarsi ai cattivi umori e alle critiche di larga parte del partito, il gruppo dirigente "reale" (da non confondere con quello che ricopre ufficialmente i ruoli tradizionali di segretario, presidente e così via) ha voluto testimoniare, ancora una volta, la sua diversa concezione del partito e della democrazia.

A Genova sono così rimasti a discutere "quelli che non contano" per dirla con le parole del "Manifesto": che non contano, ovviamente, perché di loro non si occupano i "mass media", ma che sono stati decisivi nelle raccolte di firme per i referendum e in tutte le altre iniziative che hanno consentito alla sbrigliata fantasia pannelliana di segnare punti a favore di una consistente affermazione elettorale.

C'è da chiedersi se per davvero quella del vertice radicale è la risposta giusta, o comunque nuova, alla ormai famosa crisi della "forma partito". C'è da chiedersi se, all'interno della sinistra, cioè del campo scelto dai radicali con l'ambizione di contrapporre la propria egemonia a quella del Pci, il tipo di democrazia "libertaria" praticato a Genova rappresenti l'alternativa vincente rispetto al centralismo democratico dei comunisti o all'organizzazione in correnti del Psi. La crisi della correntocrazia e quella del centralismo democratico (non nelle sue formule ma nelle sue concrete applicazioni) sono fenomeni così profondi che non sarà certamente il fallimento delle ambizioni radicali a vanificarle.

Resta tuttavia una sensazione di malessere anche in chi, come me, non si è mai lasciato suggestionare da un libertarismo troppo legato a certe degenerazioni tipiche della società tardocapitalistica (divismo, demagogia elettoralistica, dilettantismo, pressapochismo) nel constatare che oggi il partito radicale ripropone mali assai antichi.

A guardare la struttura del fenomeno radicale, in via di prima approssimazione, si osserva che è caratterizzato soprattutto dalla capacità di un ristretto gruppo, più o meno coincidente con quello eletto alla Camera o al Senato, di porsi al centro, o comunque ben in vista, dell'attenzione dei "mass-media". La costante e qualche volta affannosa campagna di agitazione dei radicali contro la Tv e la stampa non deve trarre un inganno: tutte le iniziative di Pannella e dei suoi più stretti collaboratori sono pensate e proposte sempre avendo la mira la loro diffusione attraverso televisione e giornali in una proporzione, rispetto alla quota di lavoro spettante ai militanti, che non ha possibilità di confronto con gli altri partiti di sinistra.

In materia capita al gruppo dirigente radicale di ripetere il paradosso di cui è protagonista per quanto riguarda i problemi finanziari organizzativi: proprio il Pr che (Msi a parte) è stato l'unico a proporre l'eliminazione del finanziamento pubblico, è il partito che più di ogni altro, a sinistra, vive del denaro dello Stato. Non si tratta di supposizioni: la contraddizione è stata rilevata, e con molta energia, dal congresso di Genova.

Accade così che il partito dei "diversi" dei libertari, di quelli della democrazia diretta, si trasforma, al di là di ogni sofisticazione verbale e di ogni articifio retorico, nel vecchio e collaudato modello del partito borghese ottocentesco: da un lato i detentori della delega, politici di professione, spesso abilissimi avvocati e giornalisti; dall'altro lato i soggetti passivi, gli elettori che si sono stancati, che non ne possono più che per protesta, votano radicale augurandosi che "quei quattro matti almeno romperanno le scatole" al regime. In mezzo lo strato esilissimo dei militanti che non vuole limitarsi al ruolo di angeli di ciclostile o di forzati del tavolino-per-le-firme: questi, protagonisti del dissenso di Genova (e da Pannella amabilmente definiti "merde che lanciano merde"), invano cercano di definire le sedi e i processi per la formazione di una volontà collettiva, per una crescita della coscienza politica comune e quindi, per l'individuazione di una linea strategica che dia concretezza all

a propaganda sull'alternativa socialista.

Non credo tuttavia che la dissidenza radicale avrà successo. Potrà anche avere la maggioranza in un congresso così poco vincolante come può essere un'assemblea alla quale tutti possono intervenire e parlare perché tanto nessuno sta ad ascoltarli sul serio. Ma non riuscirà a modificare un fenomeno tutto basato sulle suggestioni dei "divi" e su bisogni reali di novità, dal momento che essa non contesta il retroterra teorico del pannellismo. La dissidenza è tutta interna ad una visione della politica e della democrazia che fa giustizia sommaria della divisione in classi e dei risultati di una lunga storia di lotte sociali. Anche per la dissidenza, in fondo, non c'è che l'individuo, il cittadino, nuovo "buon selvaggio" ingannato e irretito dai partiti e dal Potere.

 
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