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Todisco Alfredo - 23 novembre 1979
Con gli insulti non si fa l'opposizione
di Alfredo Todisco

SOMMARIO: Gianluigi Melega, deputato radicale, ha accusato la DC di essere una "associazione a delinquere", così offendendo in primo luogo il Parlamento. "Nessun cittadino, neanche un rappresentante del popolo, può... sostituirsi al giudice". Tutto l'Occidente soffre oggi "di una crisi assai grave", ma l'Italia conosce forme di "sregolatezza elevata a sistema". In questo "smarrimento di valori", abbiano bisogno di una "profonda ricostituzione etica e politica", senza che il dibattito politico "incanaglisca". Per questo, l'opposizione non può trasformare Montecitorio in una lite da "ringhiera". Per fortuna ci sono politici di opposizione che non praticano l'insulto, la contumelia: ad esempio, Pertini. Infine l'a., che pure è stato candidato con i radicali, prende le distanze dal "tono e dal modo" dell'intervento di Melega.

(»Corriere della Sera 23 novembre 1979 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Negli anni della Reggenza del Quarnaro, un aereo proveniente da Fiume, pilotato dal legionario Guido Keller, lanciò su Montecitorio un pitale pieno di carote. Segno di disprezzo per il Parlamento e, magari, per il parlamentarismo. La storia ci ha poi insegnato come le carote di un poeta spavaldo possano trovare chi le trasforma in un nodoso e »santo bastone.

Martedì scorso la Camera dei Deputati ha subito uno degli sfregi più eclatanti della sua vita repubblicana. Questa volta il pitale non è piovuto fuori; l'hanno lanciato da dentro. A provocare lo spettacolo di un dibattito tra i più squallidi, è stato il radicale Gian Luigi Melega con l'accusa di »associazione a delinquere , rivolta al partito di maggioranza relativa, che ha trascinato molti deputati democristiani presenti in aula in una reazione scomposta.

Chi ha fatto le spese della gazzarra non è stato questo o quel partito: bensì il Parlamento, pilastro, non più saldissimo e accreditatissimo, del nostro ordinamento democratico.

L'opposizione è la quintessenza della democrazia, espressione di una concezione non totalitaria ma pluralista della società e dello stato. Ma non crediamo che essa possa esercitarsi al di fuori di ogni regola di comportamento o, ancor peggio, contro uno dei principi fondamentali della convivenza civile, secondo il quale non è lecito scagliare accuse senza fornire prove specifiche, tanto meno quando si invocano resti di competenza della magistratura. Nessun cittadino, neanche un rappresentante del popolo, può arrogarsi il diritto di sostituirsi al giudice; mentre è suo diritto e suo dovere adoperarsi perché sia fatta giustizia secondo le procedure istituzionali.

Qualcuno ha osservato che ove non fosse stato protetto dall'immunità parlamentare, l'onorevole Melega avrebbe potuto essere perseguito per gli improperi scagliati contro la Democrazia cristiana a man salva. Sarebbe assai triste, se con queste sortite, il mandato parlamentare venisse usato come una licenza di ingiuriare impunemente, e ciò in deroga a quanto è vietato ai comuni mortali.

Il nostro intento, sia chiaro, non è di scagionare illeciti o di coprire colpe di chicchessia. Siamo ansiosi, come la stragrande maggioranza degli italiani, di tempestiva e severa giustizia, ben consapevoli di un malcostume che va permeando le strutture del Paese. Ma riteniamo che non si possa soddisfare a questa esigenza se non nel rispetto delle leggi e delle istituzioni.

Se tutto l'occidente soffre oggi di una crisi assai grave, caratterizzata da un fare e da un operare che hanno perso di vista un fine adeguato all'integrità dell'uomo, l'Italia, all'interno di questo smarrimento di senso, conosce forme sempre più preoccupanti di »anomia : ossia di una sregolatezza elevata a sistema, nella quale, alle norme della civile convivenza, si sostituiscono l'arbitrio soggettivo, l'interesse di parte, la cupidigia del potere che si veste di nobili ideali e di falsi scopi. Viviamo, in maniera inquietante, una grave crisi della responsabilità.

In questo smarrimento di valori, abbiamo bisogno di una profonda ricostituzione etica e politica; una intransigente e severa rinascita morale: per cui occorre impegno adamantino, uno »stile alto , e l'esempio di uomini specchiati che rinunciano perfino alla tentazione più insidiosa del moralismo, che come l'occhio della lince, si compiace di splendere nelle tenebre.

Non crediamo giovi a nessuno in particolare, se non ai Demoni di Dostoevskij, che il dibattito politico incanaglisca, si impasti di vituperio, trascini il Parlamento nel brago. L'opposizione non può trasformare Montecitorio in una lite da »ringhiera senza compromettere le basi non diciamo della democrazia, che in Italia è ancora lontana, ma la speranza di realizzarla. Ci sono nel Paese, per fortuna, fior di galantuomini al di sopra di qualsiasi sospetto che esercitano da anni l'opposizione senza scendere nell'insulto, nella contumelia: sapendo che indebolirebbero la loro autorevolezza. Se c'è un volto che - simboleggiando anche quello di altri italiani - solleva a sperare nella rinascita morale di questo Paese così ammalato, è quello di Pertini in cui le folle fiutano l'essere probo.

Nilde Jotti, commentando l'intervento di Gian Luigi Melega ha parlato di »provocazione . Ma la reazione vociante di molti parlamentari dc - che avrebbero fatto meglio ad ascoltare in silenzio o a uscire dall'aula - dimostra quanto spesso gli uomini che più di altri dovrebbero imporsi l'autodisciplina, siano esposti alle tempeste emotive primarie e incontrollate.

Personalmente, pur essendomi candidato con i radicali nelle ultime elezioni, non posso non prendere le distanze dal tono e dal modo, dell'intervento dell'onorevole Melega, che temo porti in Parlamento gli aspetti peggiori del sensazionalismo giornalistico finalizzato al far rumore, al far parlare a qualsiasi costo. I movimenti che, come i radicali, si fanno un punto di voler portare nell'agone politico un soffio nuovo, cioè un animo nuovo, ricordino che non c'è peggiore e più antico tradimento che si possa fare all'imperativo morale (e vorremmo sapere cosa ne pensa in proposito l'amico Leonardo Sciascia) se non quello di usarlo come mezzo, invece di servirlo, sempre, come fine.

 
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