di Angiolo BandinelliSOMMARIO. L'episodio resistenziale di Via Rasella è un "Archetipo fondante" del terrorismo moderno. L'episodio, che vide la strage di alcuni SS altoatesini uccisi da una bomba in una via centrale di Roma, fu voluto per "aprire" la Resistenza. Non fu episodio "spontaneo", ma venne anzi realizzato seguendo una attenta strategia di guerra, in una logica "che è propria dei modi di costituzione del...Potere contemporaneo", dello "Stato" contemporaneo, La stessa "violenza sacralizzata" la troviamo nei cimiteri di Redipuglia o nella Valle de los Caidos di Franco.
Con l'avvertenza che, "più che di violenza e di terrorismo", occorre parlare di "Discorso" sulla violenza e il terrorismo, con "caratteri totalizzanti": un Discorso, cioè, un parlare atto a "far riprodurre" ancora sia il discorso che il terrorismo in sé. Un Discorso, infine, che della sua monotona ripetitività fa la propria forza e non una debolezza, proprio secondo le intenzioni di una attenta regia.
(QUADERNI RADICALI, gennaio-giugno 1980 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)
Con sgomento, ci rendiamo conto che Via Rasella è un Archetipo fondante del Terrorismo moderno. Nell'episodio - per modalità, tempi, capacità espressive - ritroviamo tutti gli elementi costitutivi degli episodi più recenti e a tutti noti. Via Rasella non fu - come canta l'epopea resistenziale - un episodio spontaneo, "popolare" (popolar/nazionale), ma un fatto-di-guerra attentamente calibrato, studiato ed eseguito - soprattutto voluto - in funzione di una determinata strategia, di un obiettivo da raggiungere, in un contesto storico e cronachistico preciso, sulle cui coordinate e parametri l'episodio venne progettato e realizzato.
Via Rasella fu voluta per aprire, in sostanza, la Resistenza; per motivarla e giustificarla; per fondarla. E qui che scendiamo nel cuore della regione dove abitano le Furie del mondo moderno. Perché quella scelta venne fatta in una logica che è propria dei modi di costituzione del potere; meglio, del Potere contemporaneo. In una inchiesta promossa da Fabbrica Aperta, Baget Bozzo ci avverte che sempre, a fondamento ultimo della sacralità dello Stato, anche se "Stato laico", vi è la "violenza", anzi "la violenza della guerra". Si tratta di una violenza sacralizzata che trova suoi monumenti e chiese in cimiteri quali Redipuglia o la Valle de los Caidos dove Franco ha fatto seppellire le vittime dell'una e dell'altra parte, della guerra civile spagnola. "Come non riconoscere - dice Baget Bozzo - lo stato diffuso, quasi banale, di questa sacralità laicizzata ma permanente della violenza, un nesso tra violenza e mito fondatore della collettivita?" (1) .
E' proprio così. Aggiungendo che, più che di violenza, e di terrorismo, occorre sempre parlare di Discorso sulla violenza, di Discorso sul Terrorismo. Con enorme sorpresa, ci accorgiamo infatti che la violenza e il terrorismo dei nostri giorni, della nostra attualità, sono soprattutto - innanzitutto - un Discorso sulla violenza e il terrorismo, con caratteri terribilmente totalizzanti.
E questo Discorso è perfettamente funzionale, in primo luogo alla riproduzione del terrorismo e quindi di se stesso come Discorso. Quanti, dei morti che abbiamo tutti pagato in quegli anni, sono stati il portato diretto, voluto, della necessità di far riprodurre il Discorso sul terrorismo, affinché esso sviluppasse tutte le sue potenzialità, attraverso capitoli e capitoli del suo proprio narrarsi?
Si dirà: un genere così ripetitivo finirà per stancare. Non è vero. La ripetitività non nuoce al genere narrativo. Come, nella struttura della fiaba, sotto la varietà degli scenari spettacolosi e incantevoli, nella diversità dei personaggi, con il mutare dei casi e delle peripezie, quel che ci viene trasmesso è sempre uno stesso schema nella cui ritualità passa e viene conosciuta la struttura della società - i rapporti, le regole, i meccanismi che la reggono - così nella molteplice fenomenologia del terrorismo le varianti, certo, non mascherano la monotonia del messaggio che si vuole trasmettere: ma se il narrare del terrorismo è monocorde, la ripetizione è il suo punto di forza. Ad ogni episodio che si presenta come nuovo, noi restiamo pur sempre in attesa - confessiamolo - che ritorni invece l'identico, il già saputo. La suspense è possibile se lo spettatore già sa che cosa accadrà. La parte che gli viene lasciata dall'accorta regia è di ritrovare, in un moto complesso di piacere/angoscia, l'identico sott
o il velo del diverso. Di questo piacere/angoscia lo spettatore ringrazia il regista, di cui in quel momento si fa addirittura complice, secondo uno schema ben conosciuto che ci limitiamo a ricordare.
NOTA
1) Gianni Baget-Bozzo: "Abbandonare un modello ideologico che non c'è più", Fabbrica aperta, a. VI, n. 4, novembre-dicembre 1979.