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Coppola Aniello - 27 gennaio 1980
Pannella. E' l'uomo spettacolo della nostra politica. Il suo motto è abolire, non costruire
di Aniello Coppola

SOMMARIO: "E' superfluo, oltre che azzardato, tentarne una descrizione". "A farlo diverso... è il suo modo di atteggiarsi, di orientare la gente". E' "il vero profeta" della "seconda Repubblica". "Della pubblicità politica ha il genio". Sembra il "Franti" di una classe politica di scolaretti, ma "ha innestato alcune intuizioni politiche che ne hanno fatto il vero antagonista del nostro sistema", in una democrazia che è "malata di inefficienza". Pannella "rifiuta in blocco le procedure della democrazia, salvo a servirsene per scopo ostruzionistico". Il suo "microscopico partito", grazie al referendum, "è riuscito a diventare il partito più produttivo di effetti politici visibili" e a dimostrare "che qualcosa di importante può cambiare": una semplificazione "americana" della nostra politica. Ma "il tessuto di una democrazia... gli è estraneo". Eppure, anche lui ha i suoi "problemi di partito": "essere radicalmente contro il sistema... oppure ...conquistare un partito cerniera come il PSI e snaturarlo?" "Presen

tarsi o no alle amministrative?" "Votare o no contro Novelli?", ecc.

(»Paese Sera 27 gennaio 1980 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

E' superfluo, oltre che azzardato, tentarne una descrizione. Creatore di una immagine di sé che anche l'italiano apolitico (ma ce ne sono?) conosce benissimo, Giacinto Pannella, in arte Marco, è uomo-spettacolo per istinto. Per lui fare politica significa fare scena, essere personaggio, rappresentare tutte le possibili parti in commedia. Ma quel che conta, soprattutto, è farlo sapere. Il legame che stabilisce con il proprio pubblico non corre soltanto sul filo delle idee e degli atti politici ma anche su quello dei comportamenti. A farlo davvero diverso da tutto il resto del mondo politico italiano, fascisti compresi, è il suo modo di atteggiarsi, di orientare la gente. Il suo è un antagonismo proprio radicale con i modelli politici, culturali, psicologici prevalenti. Non sarà l'affossatore della seconda repubblica, ma certo ne è il vero profeta, la più autentica anticipazione.

Per lui la pubblicità è l'anima della politica. Della pubblicità politica ha il genio. Nessuno è riuscito ad ottenere risultati tanto grandi con forze tanto esigue. Non gli sono mancati infortuni ed è caduto in innumerevoli contraddizioni, almeno da quando ha deciso di pescare voti a destra e a sinistra. Ma se l'è cavata perché la gente non bada tanto a quel che fa ma al come lo fa. Il pubblico da lui non si aspetta la coerenza ma la sorpresa, il virtuosismo, l'illogicità, il gusto tutto goliardico (a dispetto dei suoi cinquant'anni), per il gesto dissacratore. Se i nostri parlamentari fossero paragonabili agli scolaretti deamicisiani, Pannella sarebbe il Franti, quel concentrato di cattiveria, di irregolarità e di cinismo che faceva soffrire la maestrina dalla penna rossa.

Sulla dote naturale della genialità pubblicitaria, Pannella ha innestato alcune intuizioni politiche che ne hanno fatto il vero antagonista del nostro sistema. Si sa che la democrazia è un meccanismo complesso, lento, anche noioso: presuppone la più larga consapevolezza e partecipazione e, proprio per questo, non ha il fascino ingannatore degli autoritarismi perentori. La nostra democrazia, per di più, è malata di inefficienza, è diventata scarsamente produttiva, almeno di beni coerenti con i principi cui si ispira. I nostri meccanismi istituzionali sono inceppati dalle cristallizzazioni corporative, dalla farragine delle leggi e dei regolamenti, dalla sclerosi dei partiti. Anche le decisioni apparentemente più semplici comportano negoziati defatiganti, compromessi con le lobbies politiche, contrattazioni con i rappresentanti degli interessi costituiti. Pannella rifiuta in blocco le procedure della democrazia, salvo a servirsene a scopo ostruzionistico. La sua arma preferita è il referendum che spazza ogni i

potesi di mediazione, riduce ogni problema, anche il più complesso, alla scelta tra un sì e un no. Per abolire quel che c'è, s'intende, non per costruire. Ma poiché di vecchiume da eliminare ce n'è ancora parecchio, non gli è difficile ottenere consensi in quest'opera di demolizione. Edificare il nuovo non è affare suo.

Il microscopico partito pannelliano, grazie all'uso di quest'arma che riduce la lotta politica a un duello di massa, è riuscito a diventare il partito più produttivo di effetti politici visibili per tutti, a dimostrare che qualcosa di importante può cambiare, e rapidamente, a dispetto dei rinvii, dei compromessi, delle mediazioni. Per effetto del carisma che è riuscito ad acquisire, il leader radicale è il simbolo di questa semplificazione »americana della nostra politica, la più complessa, sofisticata e lenta che esista al mondo.

Come avviene quasi sempre per gli uomini che si contrappongono radicalmente a un sistema. Pannella riassume in sé e sublima i difetti contro i quali chiama i suoi a combattere. E' per la democrazia atomizzata, contro la delega ai professionisti della politica. Ma è e si comporta come un capo carismatico. Tratta i propri seguaci come se fossero i tifosi di un divo del football. Accusa i comunisti di autoritarismo, ma il suo rapporto con il partito radicale ricorda quello dei monarchi assoluti: snobba o costringe ad attese snervanti un congresso che pure lo accoglierebbe trionfalmente; né si degna di spiegare perché, dopo avere combattuto contro il finanziamento pubblico dei partiti, fa di questi soldi un uso incontrollato. Tuona contro gli intrighi e le manovre parlamentari, ma è maestro di politicantismo dagli anni in cui nei parlamentini universitari egli stesso introdusse questo vizio che si sarebbe trasmesso a tutta una parte del personale politico della sua generazione.

Il tessuto di una democrazia (partiti, sindacati, organizzazioni di massa, istituzioni rappresentative, associazionismo spontaneo ai più diversi livelli) gli è estraneo e Pannella non nasconde il suo fastidio per questi tramiti. E' un capo, un grande capo che preferisce il contatto diretto con la folla, eccitata o affascinata da iniziative spettacolari, invenzioni, trovate tutte capaci di richiamare pubblico e di far parlare di sé. E prescindendo dalla coerenza di un obiettivo con l'altro, ma badando al valore emblematico dell'obiettivo in sé e per sé, scelto con il fiuto di chi sa annusare il cambiamento del vento e gli umori che il nuovo clima determina nella gente.

Ma anche lui ha i suoi problemi di partito, a dispetto dell'anti-partito che ha messo in piedi con straordinaria abilità. Si vedono poco, ma non sono da poco. Esempi. L'avvenire del pannellismo sta nell'essere radicalmente contro il sistema e nell'accelerarne lo sfascio oppure, come propongono i suoi avversari interni, nel conquistare un partito cerniera come il PSI e snaturarlo? E ancora. Il PR deve presentarsi o no alle elezioni amministrative? Pannella è contrario, e non perché si sia di colpo convertito all'astensionismo, ma perché il giorno in cui i radicali fossero presenti e determinanti, chessò, a Torino dovrebbero scegliere: votare pro o contro Novelli? Se sì, come conciliare questo atteggiamento con il loro anticomunismo? Se no, come spiegare che un partitino »più a sinistra del PCI contribuirebbe a riconsegnare il comune alla DC? E poi, se per Pannella è già difficile comandare a bacchetta una ventina di parlamentari, gli sarebbe impossibile radiocomandare (e sterilizzare in una tattica ostruzion

istica) un più folto numero di consiglieri comunali, provinciali e regionali. Perché a lui, più che comandare, piace essere ubbidito.

 
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