La querelle Sciascia-BerlinguerColloquio con Leonardo Sciascia di Rita Cirio
Lo scrittore sicialiano dà un resoconto dettagliato del suo incontro con il segretario del Pci e della conversazione sui rapporti tra servizi segreti cecoslovacchi e terrorismo. Ha scritto inoltre una lettera a Guttuso di cui pubblichiamo i passi fondamentali
SOMMARIO: Si riportano ampi stralci di una lettera indirizzata da Sciascia all'amico Guttuso "due giorni dopo la seduta della Commissione Moro" ma mai in realtà spedita, in cui lo scrittore ripercorre la vicenda che ha dato origine alla querela di Berlinguer nei suoi confronti. Sciascia intende "ribadire" "la verità" di quello che ha detto e richiama un episodio intercorso tra Bernanos e Malraux (Malraux era all'epoca, come Guttuso, comunista: "Io sono comunista e non scriverò mai nulla che possa anche minimamente nuocere al partito..."). Quindi lo scrittore racconta ancora una volta alla giornalista come andarono le cose e cerca di dare spiegazioni del comportamento di Berlinguer e dello stesso Guttuso. Per quanto riguarda Cossiga, pensa che questi, con la sua "accondiscendenza",solleciti una possibile contropartita. Giudica "ancora abbastanza forte" il terrorismo e delinea qualche ipotesi circa il suo obiettivo. E' abbastanza soddisfatto della propria esperienza come deputato.
(L'ESPRESSO, 13 maggio 1980)
Palermo. »Ho preferito scriverti invece che parlarti per più nettamente spiegarti di quella faticosa giornata in cui per amore di verità sono stato costretto a fare il tuo nome . Comincia così una lunga lettera che Leonardo Sciascia ha scritto all'amico Renato Guttuso domenica 25 maggio, due giorni dopo la seduta della Commissione Moro. La lettera non verrà mai spedita. Sui temi di interesse pubblico di tutta la vicenda si intreccia, ma non è secondario, il tema privato di una lunga amicizia. Il codice dell'amicizia è inviolabile per lo scrittore siciliano, ma ancor più inviolabile è per lui quello della verità. Non a caso nella lettera all'amico è la parola che ricorre di più: »A me importa ribadire, di fronte a te, la verità di quello che ho detto e che sono disposto a ripetere, dovunque si voglia e quale ne sia il rischio: una volta sciolto dal segreto che la legge m'impone in quanto membro di una commissione d'inchiesta .
Mentre cerca di spiegare all'amico il suo comportamento, Sciascia cerca anche di spiegarsi quello di Guttuso. "Te lo dico sinceramente senza ironia che mi aspettavo da te, come da Berlinguer, la "secca smentita". Ricordo quel passo in cui Bernanos, nel 1937, dialoga con il comunista Malraux: "Malraux si congratulò con me per la mia inflessibile sincerità. Ma scusate, Malraux - gli dissi - voi non avreste fatto come me? - Non è la stessa cosa - mi rispose - voi siete cristiano, voi agite da cristiano. Io invece sono comunista e non scriverò mai nulla che possa anche minimamente nuocere al partito -. - Va bene - gli risposi - ciò riguarda voi. Ma allora che conto debbo fare dei vostri elogi? Per voi non posso essere che un imbecille o un pazzo -". E Sciascia continua a spiegare all'amico: »Ho voluto trascriverti il passo a dimostrarti la mia comprensione: tu sei comunista e non farai mai nulla che possa nuocere al partito. Nel momento stesso in cui - in commissione - mi passavano il comunicato Ansa con la
smentita di Berlinguer, io ero certo che sarebbe venuta la tua. A differenza di Malraux, tu non elogerai certamente la mia "inflessibile sincerità" (quella di Bernanos era allora utile al partito), e quindi non mi considererai nè un imbecille nè un pazzo. Forse un nemico. Ma lo sono davvero? . E lo scrittore continua ricordando nei dettagli a Guttuso come si svolsero veramente i fatti, e accenna anche al suo stupore per non aver trovato traccia, nei quotidiani dei giorni successivi al loro incontro con Berlinguer, dell'espulsione dei due diplomantici cecoslovacchi preannunciata dal segretario del Pci.
All'"Espresso" Sciascia ha rilasciato le seguenti dichiarazioni.
L'ESPRESSO. Quando avvenne l'incontro tra lei, Guttuso e Berlinguer? Dove vi incontraste? Di che cosa avete parlato? Se ne ricorda a memoria o ha conservato qualche appunto su un diario?
SCIASCIA. L'incontro avvenne in maggio, con tutta probabilità il 6. Ma esiste anche la possibilità che sia avvenuto dopo il secondo incontro tra Zaccagnini e Berlinguer. Ma fu comunque nel mese di maggio. Ci siamo incontrati alle Botteghe Oscure. Il colloquio era stato richiesto da me, tramite Guttuso. Abbiamo parlato soprattutto di cose che riguardavano l'industria estrattiva siciliana, sulla base di un memoriale che aveva scritto un mio amico e che io consegnai a Berlinguer. Non ho preso nessun appunto, non ne prendo mai. Ho finora avuto buona memoria. Esaurita la conversazione sul memoriale siamo passati a parlare del terrorismo. Ma ho già riferito in quali termini e non ho nulla da aggiungere o da modificare.
E.: Lei all'epoca era ancora un simpatizzante del Pci?
S.: All'epoca non ero simpatizzante del Pci. Avevo già abbastanza polemizzato dopo le mie dimissioni dal consiglio comunale di Palermo. Anche per questo ho apprezzato molto che Berlinguer parlasse davanti a me con tanta libertà del terrorismo e dei suoi possibili collegamenti con un paese dell'Est.
E.: Perchè non ha parlato di queste rivelazioni di Berlinguer durante il caso Moro?
S.: Ho raccontato a molti amici di questo incontro con Berlinguer e di quello che mi aveva detto. Non l'ho scritto perchè ho sempre un certo ritegno a riferire in pubblico conversazioni private. Ne ho parlato nella commissione Moro perchè mi sembrava un ambiente, almeno per il momento, privato e in cui la ricerca della verità pensavo fosse superiore a ogni regola di discrezione.
E.: Perchè, a suo giudizio, oltre ad averla smentita, Berlinguer l'ha addirittura querelata? Se lo aspettava?
S.: Sono possibili tante ipotesi: per raggiungere effetti elettorali, per mettersi in regola con i paesi dell'Est, per pura e semplice ingenuità. Si capisce che il termine ingenuità è in questo caso un eufemismo. Insomma, non me lo aspettavo e non riesco a spiegarmelo a lume di intelligenza.
E.: Ma non potrebbe essere anche per un'altra ragione, per esempio di evitare di essere interrogato in commissione?
S.: E' pure possibile. Anzi, è un'ipotesi che è stata fatta. De Cataldo, che è il mio avvocato, a Radio Radicale ha parlato anche di tentativo di intimidazione.
E.: Lei è molto amico di Guttuso. Come ne spiega il comportamento in questa circostanza?
S.: Il comportamento di Guttuso lo giudicherò da quello che dirà ai giudici. Oggi come oggi mi rifiuto di credere che mi abbia decisamente smentito.
E.: Ha parlato in questi giorni con Guttuso?
S.: Ci siamo sentiti il 28 maggio nel pomeriggio. Si può dire che abbiamo parlato d'altro.
E.: Oltre che da Berlinguer, ha sentito mai in questi anni allusioni ai collegamenti fra terroristi italiani e servizi segreti dell'Est e da chi?
S.: Le ho sentite da Andreotti, appunto nel maggio del '77. Le ho sentite da Casardi, capo del Sid in quel periodo stesso. Le ho sentite da Craxi e soprattutto le ho sentite dal buon senso della gente. Tra l'altro un curioso personaggio, Andreola, alias Sanchez, implicato nel tentativo di sequestro di Graziano Verzotto, ha fatto delle interessanti dichiarazioni riguardo a un paese dell'Est, precisamente la Cecoslovacchia.
E.: Lei è membro della commissione parlamentare che indaga sul caso Moro. In quale direzione bisogna approfondire le indagini?
S.: Bisogna approfondire in questa direzione e in tante altre direzioni, perchè questa commissione sopravviva e vada avanti. Per il riserbo cui sono tenuto, non posso scendere in particolari.
E.: A suo parere, Berlinguer deve essere ascoltato in commissione?
S.: Certo, io ritengo che, se la commissione ha dei dubbi sulla verità di quello che ho detto, Berlinguer, Guttuso e tutti i testi di cui io dispongo debbono essere sentiti.
E.: Come spiega l'atteggiamento di Cossiga, così accondiscendente verso Berlinguer?
S.: Per dire una battuta, l'ho spiegato come una faccenda di famiglia. Ma siccome siamo sul un terreno in cui io do una cosa a te se tu dai una cosa a me, è possibile che Cossiga si aspetti una contropartita.
E.: Andreotti ha dichiarato che nessun cecoslovacco è stato espulso per terrorismo. Come lo spiega?
S.: Ecco, questo è il punto: quei due diplomatici cecoslovacchi, cui aveva accennato Berlinguer, erano sospettati ingiustamente? Oppure si è fatto tutto in silenzio, come di solito si usa in campo diplomatico? Se poi si è lasciato correre, la faccenda è gravissima.
E.: Come interpreta l'ultima improvvisa recrudescenza del terrorismo? Sono truppe sbandate di un esercito in rotta?
S.: Non sono dell'idea che questi siano colpi di coda. Certo, le bande eversive hanno ricevuto duri colpi. Ma la loro capacità di proliferazione è ancora abbastanza forte. Il problema è questo: che la politica italiana allontani il risultato a cui tendono e che si arrivi a quella che, per la mafia, è chiamata la testa del serpente.
E.: A quale risultato tendono?
S.: Il risultato che il buon senso della gente intravvede. Basta un viaggio in treno o in autobus per conoscere le declinazioni del buon senso. Del resto è sintomatico che si colpiscano persone come Galli, come Alessandrini, come Tobagi.
E.: A questo punto della sua esperienza di deputato, come si sente. Stanco o stimolato?
S.: A questo punto mi sento meno stanco. Se in questo momento non stessi male per una piccola lesione a una vertebra (cosa che non imputo a una mano celeste in favore del compromesso storico) direi che sono addirittura divertito. Fino a questo momento mi ero visto piuttosto inutile come deputato. Ora comincio a credere che a qualcosa servo.