di Giancarlo ArnaoSOMMARIO: Arnao riporta qui le risposte che i periti del tribunale hanno dato in occasione del processo Bandinelli-Fabre. Riguardo agli effetti della cannabis si parla di una "sindrome di astinenza di tipo psichico" e si accenna che "sintomi fisici di astinenza sono stati riprodotti solo nella scimmia, concludendo che non si conoscono casi umani o di dipendenza fisica.
(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Febbraio-Maggio 1980, N. 15)
Il processo Bandinelli-Fabre si è concluso con una condanna che è quasi un'assoluzione: 5 mesi di reclusione contro i 5 anni previsti come penalità minima per gli articoli deliberatamente violati dagli esponenti radicali. La sentenza è stata accompagnata da una consistente perizia, che è un documento di notevole importanza: essa rappresenta infatti una delle prime aperture dell'universo giuridico alle acquisizioni scientifiche nel campo della droga, a livello nazionale ed internazionale.
La perizia del processo Bandinelli-Fabre risponde ad una serie di domande poste dai periti della difesa, che il tribunale ha formulato in tale modo: »Dicano i periti in base alle acquisizioni scientifiche fin qui note quali siano gli effetti dei derivati dalla cannabis indica (...) sull'organismo umano con particolare riferimento ai fenomeni eventuali della tolleranza o assuefazione e della dipendenza. Dicano, in particolare, se possa parlarsi della sostanza stupefacente predetta come di »droga di passaggio verso droghe pesanti. Dicano, inoltre, se e in quale misura, l'uso di essa produca la cosiddetta »sindrome amotivazionale e riferiscano infine su eventuali effetti tossicocronici dovuti all'uso prolungato dalla sostanza stessa .
Queste domande mettono evidentemente in discussione i fondamenti scientifici del proibizionismo della cannabis, ed è significativo che il tribunale le abbia accettate. I periti del tribunale (fra cui il farmacologo Paroli, ben noto per le sue prese di posizione contro ogni forma di liberalizzazione della cannabis) rispondono nel modo seguente. Per quanto riguarda la "dipendenza" la perizia afferma: »E' accertato che la interruzione dall'uso continuativo di prodotti della cannabis determini una sindrome di astinenza di tipo »psichico . Sintomi »fisici di astinenza sono per ora stati riprodotti sperimentalmente nella scimmia. Le segnalazioni secondo cui la dipendenza fisica è possibile in consumatori inveterati di grandi quantità di cannabis e dei suoi principi attivi non sono controllabili .
In sostanza, la perizia non risponde direttamente alla domanda se la cannabis dia o no una dipendenza fisica. Ci parla di una »sindrome di astinenza di tipo psichico , una formulazione altisonante per dire semplicemente che chi ha gustato il »fumo vorrebbe riprovarlo. Ci accenna che »sintomi fisici di astinenza sono stati riprodotti »per ora solo nella scimmia. E conclude in maniera abbastanza contorta che non si conoscono casi umani di dipendenza fisica.
E' certo degno di menzione, e in certo modo anche grottesco, un particolare citato dai periti a proposito delle ricerche sulla cannabis. Per riuscire a dimostrare che la marijuana dà dipendenza fisica, la perizia ha citato una ricerca in cui è stato introdotto THC in soluzione nel sangue di una scimmia "per via fleboclisi per un mese intero". Vale a dire che il sangue del malcapitato animale è stato sottoposto ad una concentrazione costante di THC senza interruzioni per un mese: per avvicinarsi a queste condizioni, un individuo dovrebbe fumare "ininterrottamente" per trenta giorni e trenta notti. A che serve una ricerca di questo tipo, se non a dare in astratto un'immagine terrorizzante della »droga proibita?
Per quanto riguarda la "tolleranza" si afferma che: »(...) è stato osservato che spinelli di 400-600 mg contenenti 1%-2% di marijuana (evidentemente si intende qui parlare di marijuana con un contenuto di THC dell'1-2%, altrimenti l'espressione non avrebbe senso NdR) consumati singolarmente, ogni giorno, non mostrano di indurre assuefazione. Per contro, con sigarette di 900 mg al 2,2% si sviluppa tolleranza (...) che è più evidente per "8 sigarette" al giorno, meno per "2 sigarette" al giorno, consumate per 2-4 settimane continuativamente . Vale a dire che per avere sicuramente una necessità di aumentare le dosi (tolleranza), occorre che una persona fumi da sola otto voluminosi spinelli (quelli chiamati comunemente »cannoni , che vengono di solito divisi fra più persone) contenenti ciascuno un grammo di marijuana eccezionalmente forte (il contenuto medio di THC è intorno all'1%), ogni giorno per almeno due settimane. Chi ha una minima dimestichezza con il fenomeno sa quanto questo sia lontano dalla realtà. A
ppare quindi sorprendente la sicurezza con cui alle »Conclusioni farmacologiche (pag. 75) la perizia affermi che »E' ben provato che la marijuana, l'hashish e il THC inducono assuefazione (o tolleranza) .
Va comunque notato che, anche nei casi estremi ipotizzati dalla perizia, la tolleranza non significa necessariamente una progressione indefinita verso dosi sempre più alte. Sappiamo infatti che la tolleranza si abbassa ogni volta che la somministrazione subisce una interruzione di qualche giorno; essa assume quindi un aspetto di particolare gravità soltanto quando sia impossibile sospendere l'assunzione, come avviene nel caso di sostanze come l'eroina in cui vi è una dipendenza fisica.
Ma la disposizione dei periti all'inserire nelle »conclusioni dati contrastanti con il testo della perizia stessa assume un'evidenza esemplare laddove, nelle »conclusioni farmacologiche , si afferma che »tra i consumatori inveterati di hashish e marijuana (...) si registrano (...) una certa incidenza di ricoveri psichiatrici di urgenza , mentre dal testo della perizia farmacologica risulta che »i ricoveri psichiatrici di urgenza comprendono un certo numero di "intossicazioni associate" di hashish, LSD ed amfetamine (ed è ben noto come l'abuso di LSD ed amfetamine provochi episodi psicotici).
Assolutamente chiara è invece la risposta sulla »droga di passaggio . La perizia afferma infatti che: »Non vi sono prove che l'uso della cannabis porti all'uso di eroina ma solo che gli eroinomani hanno usato ed usano prodotti di cannabis . Altrettanto chiara è quella che riguarda la »sindrome amotivazionale e la tossicità per uso prolungato. Si afferma infatti nelle conclusioni: »Per quanto attiene alla cosiddetta »sindrome amotivazionale (...) va detto che la stessa è entità clinicamente insussistente (...) non identificabile né in uno stato di infermità né in una condizione avente »valore di malattia. Effetti tossici cronici a carico del versante somatico sono a tutt'oggi ipotesi opinabili non suffragate da dati di fatto incontrovertibili. D'altro canto, nemmeno risultano descritti quadri psicopatologici identificabili (...) in ciò che potrebbe definirsi alla stregua di "organica alterazione della personalità" (...), quadri che - come è noto - la psichiatria considera tipici di esiti in cronicizzazione
tanto dei processi psicotossici acuti quanto delle intossicazioni psicotossiche protratte .
Il che, tradotto in »basic Italian significa che l'uso prolungato di cannabis non cambia il carattere né provoca danni permanenti al fisico ed alla psiche dei consumatori.