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Onida Valerio - 20 giugno 1980
UN CONCORDATO PER SUPERARE IL CONCORDATO
di Valerio Onida

SOMMARIO: La questione del Concordato emerge a intermittenza nel dibattito politico, per poi dinuovo essere coperta dal silenzio. Sarebbe auspicabile che una questione avente una così alta rilevanza di principio fosse affrontata senza concessioni a propensioni compromissorie.

E' necessario da un lato il pieno rispetto della laicità dello Stato e dell'uguaglianza tra i cittadini senza distinzione di religione e dall'altro la piena attuazione dei principi costituzionali di rispetto dei diritti di libertà. L'autore esamina poi le revisioni proposte e le questioni "concrete" come alle norme sugli enti, sull'insegnamento religioso nella scuola, sull'assistenza spirituale e sui finanziamenti statali.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Febbraio-Maggio 1980, N. 15)

La questione del Concordato emerge a intermittenza nel dibattito politico, per poi di nuovo essere coperta dal silenzio, presto sepolta dalla prepotente e angosciante presenza in prima pagina delle »solite questioni: emergenza, governi e maggioranza in crisi, economia, terrorismo. Eppure è un problema »storico , civile e religioso, che meriterebbe ben più degli sprazzi di attenzione ad esso dedicati dal governo, dal parlamento e dai partiti, e ben più della preoccupazione di pochi specialisti. Sarà infatti vero che, alla più gran parte dei cittadini, del concordato non importa più che tanto (ma credo anche che moltissimi siano i cittadini, credenti e non credenti, per i quali il regime concordatario e i contenuti del concordato vigente, come di quello progettato, appaiono residui anacronistici del passato). E tuttavia sarebbe auspicabile che una questione avente una così alta rilevanza di principio fosse affrontata, senza concessioni a propensioni compromissorie, ispirandosi ad atteggiamenti di assoluta coe

renza con le premesse che dovrebbero governare, in regime democratico, i rapporti fra Stato e confessioni religiose.

Queste premesse, a mio avviso, sono due: da un lato il pieno rispetto della laicità dello Stato e dell'eguaglianza fra i cittadini senza distinzione di religione e senza distinzione fra credenti e non credenti; dall'altro lato, la piena attuazione dei principi costituzionali di rispetto dei diritti di libertà, anche in campo religioso, di dovere dello Stato di renderne concretamente possibile l'esercizio, di rispetto dell'autonomia e della possibilità di presenza individuale e organizzata dei credenti nella vita della società. Non si tratta di due principi contrapposti. In realtà, la vera laicità dello Stato richiede il pieno rispetto della libertà religiosa in ogni sua forma di espressione individuale e associata e l'apprestamento delle condizioni per rendere effettivo l'esercizio di tale libertà. Per converso, quanto più si realizza un ordinamento che nei diversi settori (come la creazione di enti, la scuola, l'organizzazione delle convivenze) attui i principi costituzionali di libertà e pluralismo, tanto

meno appariranno giustificate discipline speciali di privilegio per una confessione religiosa, sia pure quella di maggioranza. Se il regime concordatario ha una giustificazione storica, al di là di una rivendicazione confessionistica in contrasto con il principio di laicità dello Stato, tale giustificazione sta nell'esigenza della Chiesa di assicurarsi spazi di autonomia e di presenza nella società civile nel quadro di organizzazioni giuridiche statali che, per i principi cui si ispirano e per la disciplina e la prassi che fanno proprie, non offrono garanzie sufficienti per il libero esercizio da parte della Chiesa stessa dei suoi compiti. Per questo il regime concordatario appare un tipico strumento per regolamentare i rapporti della Chiesa con regimi non democratici e illiberali, cercando nella specialità della posizione pattuita quelle garanzie e quelle libertà che il diritto comune non le offre. Ma uno Stato democratico che acceda ad una cosiffatta disciplina concordataria del fenomeno ecclesiastico, per

un verso cede sul terreno dei principi di laicità che dovrebbero ispirarlo, per un altro verso »confessa di non essere in grado o di non volere attuare un ordinamento nel cui ambito i diritti, le garanzie, gli spazi di autonomia e di presenza sociale nelle istituzioni siano sufficienti a soddisfare le legittime esigenze della Chiesa.

Una corretta separazione tra Chiesa e Stato

Se queste sono le dimensioni del problema dal punto di vista dei principi, sul terreno storico-politico l'interrogativo è uno solo: nell'Italia degli anni '80, è davvero improponibile una linea che tenda, al di fuori di contrapposizioni traumatiche ma con una lungimirante politica di concordia, a realizzare un regime di corretta separazione fra Chiesa e Stato (come ritengono anche alcuni che pur reputano in astratto superiore tale regime di separazione) oppure questa linea, per quanto difficile, può e deve essere perseguita? Lasciamo stare le considerazioni che si possono fare dal punto di vista della Chiesa, in cui la dimensione utopica o profetica non dovrebbe tanto leggermente essere lasciata cadere. Ma dal punto di vista dello Stato, è davvero impraticabile quella linea? O, almeno, non si troveranno forze e gruppi che, non per preconcetta ostilità alla religione e alla Chiesa, ma per attaccamento ai principi di cui si diceva, possano sostenerla e testimoniarla, in Parlamento e nel paese, fosse pure da un

a posizione di minoranza? Oppure dovremo assistere al triste spettacolo di un Parlamento che alla quasi unanimità riaffermi solennemente, a trent'anni dalla Costituzione, a quindici anni dal concilio Vaticano II, una linea di confessionalismo sia pure attenuato e di trattamento privilegiato de la Chiesa? Nel 1947, quando la Costituente votando l'art. 7 avallò la permanenza dei patti lateranensi, vi era almeno la giustificazione (tutta di Realpolitik, ma forse non infondata) addotta da De Gasperi quando faceva rilevare come fosse essenziale assicurare alla giovane e fragile Repubblica l'appoggio della Chiesa, la cui autorità sociale era ben più estesa di oggi e al cui interno le posizioni favorevoli ai principi democratici non erano definitivamente e unanimemente acquisite. Eppure il voto negativo dei socialisti (oltre all'isolata testimonianza del cristiano sociale Gerardo Bruni) marcò la presenza non irrilevante di una diversa posizione nello schieramento politico. E oggi? Se si dovesse, malauguratamente, g

iungere ad un voto definitivo del Parlamento a favore di una revisione concordataria di contenuto conforme alle varie »bozze finora conosciute, v'è da sperare, quanto meno, che non si realizzi quella maggioranza quasi unanimistica che ha caratterizzato i voti interlocutori delle Camere nel 1976 e nel 1978. Se da un punto di vista giuridico, infatti, una maggioranza più o meno ampia non cambia nulla, dal punto di vista storico-politico non sarebbe invece indifferente il manifestarsi di posizioni di dissenso, atte ad esprimere la coscienza di una parte del paese, e suscettibili nel futuro di costituire le basi per il maturare di una situazione diversa.

Le revisioni proposte

Quanto ho fin qui scritto presuppone evidentemente un giudizio del tutto negativo sui testi di revisione concordataria finora conosciuti. E ciò, nonostante l'indubbio »aggiornamento. che essi rappresentano rispetto al contenuto dei patti del 1929, e il progresso che essi prospettano con la caduta di alcune norme più apertamente espressione di confessionalismo e di giurisdizionalismo.

Il punto su cui interrogarsi è se, per sancire affermazioni ormai più di principio che fornite di valore pratico (come il formale abbandono della religione di Stato) o per ottenere la caduta di norme già largamente disapplicate o svuotate di significato concreto come il famoso art. 5 del concordato, il cui superamento si è già realizzato nei fatti e potrebbe anche formalmente essere sancito dalla Corte costituzionale, senza bisogno della revisione; o come la norma sul »carattere sacro di Roma): se, dunque, per conseguire obiettivi di questo genere valga la pena di pagare il prezzo di una nuova legittimazione del regime concordatario e di una conferma di alcuni dei suoi contenuti tuttora attuali ma non per questo accettabili.

Il testo della revisione, nelle ultime versioni finora conosciute (terza e quarta bozza), conterrebbe sostanzialmente, accanto a norme di minor rilievo, tre gruppi di disposizioni. Il primo comprende una serie di dichiarazioni circa le libertà della Chiesa e dei cattolici (libertà per la Chiesa, di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, della giurisdizione in materia ecclesiastica, di comunicazione e di corrispondenza, di pubblicazione e diffusione degli atti e documenti relativi alla missione della Chiesa; libertà di riunione, di parola, di stampa e di utilizzazione di ogni altro mezzo di diffusione per i cittadini cattolici e le organizzazioni cattoliche; e ancora, divieto di speciali limitazioni legislative o di speciali gravami fiscali per la costituzione, la capacità giuridica e l'attività delle associazioni o istituzioni con fine di religione o di culto; diritto per la Chiesa di istituire e gestire liberamente scuole, diritto all'eguaglia

nza di trattamento, a parità di condizioni, delle scuole gestite da enti ecclesiastici e dei loro alunni rispetto alle altre scuole non gestite da enti pubblici).

Il secondo gruppo di norme riguarda la disciplina degli enti ecclesiastici, degli impegni finanziari dello Stato e degli interventi dello Stato nei confronti della gestione patrimoniale dei benefici ecclesiastici, per cui la soluzione affacciata consiste in un più o meno largo rinvio a nuove norme da concordare mediante una commissione mista. Il terzo gruppo di norme contiene la disciplina di alcune altre tradizionali materie concordatarie (matrimonio, insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, assistenza spirituale ai militari, ai carcerati e ai ricoverati negli ospedali e istituti di assistenza pubblici).

La »garanzia concordataria

Di questi gruppi di norme, il primo ha una rilevanza soprattutto di principio. Si tratta infatti di dichiarazioni che, se non dovessero essere interpretate nel senso di garantire alla Chiesa spazi di libertà maggiori di quelli spettanti ai cittadini e ai gruppi sociali in generale, altro non conterrebbero se non l'espresso riconoscimento pattizio di libertà e di diritti che già discendono dalla Costituzione. Questa sorta di »statuto speciale (solo perché pattiziamente stabilito) delle libertà per la Chiesa cattolica è il nuovo volto concordatario del superato principio della religione di Stato: e indubbiamente si tratta di un volto qualitativamente diverso, per cui la Chiesa chiede e ottiene garanzie non in quanto portatrice di una verità religiosa imposta a tutta la comunità civile, ma in quanto soggetto al pari di altri del pluralismo sociale. Ma quale può essere il significato sostanziale di questa disciplina pattizia? Non si tratta di una garanzia supplementare che »rafforzi davvero le libertà, sia pur

e solo nei confronti della Chiesa cattolica, come avviene con la adesione dello Stato a convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo. In che cosa infatti la »garanzia concordataria potrebbe differenziarsi praticamente dalla comune garanzia costituzionale, con il relativo apparato di tutela (giurisdizione, sindacato di costituzionalità delle leggi)? Poiché, permanendo l'attuale contesto costituzionale è inimmaginabile, oggi e in futuro, la permanenza di queste libertà solo per la Chiesa e per i cattolici, o anche solo una misura diversa nel godimento e nell'esercizio dei diritti costituzionali da parte della Chiesa e dei cattolici rispetto agli altri cittadini e gruppi, queste norme concordatarie potrebbero avere solo il significato di dichiarare che per la Chiesa (o per la S. Sede) la fonte di quelle libertà non è la Costituzione, ma sono i patti. La S. Sede, cioè, vorrebbe fondare la garanzia delle libertà della Chiesa al di là e indipendentemente dalle basi costituzionali che tali libertà oggi sancisc

ono. Ciò potrebbe sembrare ragionevole, nella prospettiva di una Chiesa che guardi al di là dei regimi politici vigenti e tenda a cautelarsi anche di fronte a futuri possibili cambiamenti di questi. Ma, anche trascurando il significato politico che potrebbe avere questa specie di »presa di distanza della Chiesa rispetto al quadro costituzionale, e l'accento lugubre che avrebbe per lo Stato l'accedere a patti che muovano dal sottinteso presupposto di un possibile mutamento del quadro costituzionale statale con una riduzione delle libertà, v'è da riflettere che sarebbe ben fragile la garanzia cercata in patti la cui legittimazione costituzionale sta proprio in quella carta fondamentale da cui discendono oggi le libertà che si vorrebbero »rafforzare .

Le questioni »concrete

E tuttavia non sono queste le norme più rilevanti né le più gravi del nuovo concordato proposto. Dove dalle questioni di principio si passa alle questioni concrete, ci troviamo di fronte a norme la cui ispirazione non è quella di una corretta laicità dello Stato, ma ancora quella antica per cui la soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini non è il risultato della fruizione di libertà individuali e collettive (intese non in un contenuto meramente negativo ma anche come diritto di fruirne effettivamente), ma è una funzione che lo Stato concorre direttamente ad esercitare con i mezzi a sua disposizione.

Non penso alle norme sul matrimonio, pur tanto dibattute, ma che a me pare non pongano ormai gravi problemi: ma alle norme sugli enti, sull'insegnamento religioso nella scuola, sull'assistenza spirituale.

Sugli enti, come si è detto, le nuove norme proposte contengono un rinvio quasi integrale a ulteriori intese. A prescindere dalla singolarità di un »nuovo concordato che sancirebbe il non raggiunto accordo o la mancata definizione della nuova disciplina di questa materia, sta di fatto che il rinvio, accompagnato dalla conferma delle norme vigenti, fino all'entrata in vigore delle nuove future intese, significherebbe la conferma o almeno la possibilità di conferma del principio che regge l'attuale disciplina: quello cioè di un intervento finanziario diretto dallo Stato a favore degli enti ecclesiastici in vista della loro attività di culto (i supplementi di congrua), e di un connesso intervento dello Stato nell'amministrazione dei benefici ecclesiastici. Si tratta, è vero, di somme esigue, a fronte del gran mare della finanza pubblica. Ma ciò non toglie l'importanza, non solo in via di principio, ma anche pratica, del permanere o meno di tale assetto. Ora, rinviandosi ad una commissione paritetica il compito

di formulare le norme (da sottoporre all'approvazione delle due parti stipulanti) per l'applicazione della disciplina prevista in tema di riconoscimento civile degli enti ecclesiastici e per la »revisione della disciplina degli impegni finanziari dello Stato e degli interventi dello Stato stesso nella gestione patrimoniale dei benefici ecclesiastici , non si afferma alcun principio nuovo, né si pongono le premesse per il superamento, in questa materia tutta profana, dell'attuale regime di commistione fra il civile e il religioso, che neppure una istituzione ecclesiastica molto attenta ai suoi interessi terreni potrebbe giudicare ottimale.

L'insegnamento religioso nella scuola pubblica

La materia dell'insegnamento religioso nella scuola pubblica è quella dove più stridente appare il contrasto fra la disciplina concordataria progettata e i principi di laicità dello Stato e di non ingerenza dello Stato nelle cose religiose. Qui gli estensori del testo di revisione hanno sentito il bisogno di prendere le mosse da una motivazione. La dove nell'art. 36 del concordato del 1929 la premessa dell'insegnamento religioso era il riconoscimento da parte dello Stato della »dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica come »fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica , nel testo della revisione (art. 9) ci si è riferiti dapprima al riconoscimento del »valore della cultura religiosa e alla considerazione dell'»appartenenza della grande maggioranza della popolazione italiana alla Chiesa cattolica (prima bozza); poi la motivazione è divenuta »riconoscendo il valore della cultura religiosa nella formazione della personalità dei giovani e tenendo conto che i principi della

religione cattolica fanno parte del patrimonio spirituale e, della tradizione storica del popolo italiano (seconda bozza); infine ancora si è modificata la premessa in un »riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano (terza e quarta bozza).

Da queste premesse, in ogni caso, si fa discendere la conseguenza che la Repubblica italiana »assicura l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, da ultimo precisandosi (terza e quarta bozza) che essa costituisce »materia ordinaria di insegnamento in tutti gli ordini di scuola. Nella sostanza, dunque, poco cambia rispetto alla situazione attuale.

La stessa ricerca faticosa di sempre nuove formulazioni della premessa tradisce la difficoltà di motivare in maniera congrua un istituto (l'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, »assicurato dallo Stato con propri insegnanti, soggetti però al controllo dell'autorità ecclesiastica) che è e resta un fuor d'opera in uno Stato laico e correttamente rispettoso della distinzione fra sfera religiosa e sfera civile.

Né si può dire che i mutamenti di formula abbiano condotto a risultati più coerenti. Se, infatti, la motivazione sta nel valore della cultura religiosa e nel fatto oggettivo della appartenenza del cattolicesimo al patrimonio storico del popolo italiano - cioè sta in dati di tipo schiettamente culturale - è difficile poi giustificare, su questa base, un insegnamento non genericamente »culturale ma confessionale, o propriamente religioso, affidato non già ad insegnanti dello Stato che operino in regime di libertà di insegnamento nell'ambito dei programmi statali, ma ad insegnanti forniti di »mandato dell'autorità ecclesiastica. E se l'insegnamento della religione ha un valore e una giustificazione culturali, è in tutta evidenza una stridente contraddizione garantire poi a tutti gli alunni, in nome della libertà di coscienza, il diritto di non avvalersi di tale insegnamento. E' come se, in nome della stessa libertà, si volesse riconoscere il diritto a non avvalersi dell'insegnamento concernente determinate co

rrenti di pensiero filosofico o politico, che pur potrebbero far parte del patrimonio storico del popolo italiano. La verità è che la libertà di coscienza ha ragione di essere invocata non già di fronte ad un insegnamento »culturale , ma di fronte ad un insegnamento catechistico o ad un annuncio schiettamente religioso: ma allora cade la motivazione »culturale di un siffatto insegnamento nella scuola pubblica. Una volta che si riconosca che, se imposto a tutti, tale insegnamento violerebbe la libertà di coscienza, e si riconosca quindi il diritto di non avvalersene (diritto che - si badi - coerentemente non era contemplato dal concordato del 1929, anche se riconosciuto dalla legislazione di applicazione), quale può essere la motivazione per fare della religione una »materia ordinaria di insegnamento, assicurato dallo Stato con insegnanti dallo Stato nominati e pagati? Può essere solo una motivazione di tipo professionale: offrire ed una azione tipicamente religiosa della Chiesa (la catechesi e l'annuncio)

il supporto del »braccio secolare costituito dall'inserimento nei programmi scolastici »ordinari e dal riconoscimento agli insegnanti (nell'esercizio di una missione religiosa!) dello status di dipendenti statali, come tali retribuiti.

La contraddizione è ancor più evidente dove si regolamenta l'insegnamento nella scuola elementare, in conformità a ciò che già oggi avviene: un insegnamento che, in presenza di un insegnante riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica e che non rifiuti di impartirlo, è considerato parte del normale piano di lavoro dell'insegnante di classe, unitariamente considerato specie nei primi anni e senza bisogno dell'apporto di specialisti, diventa invece opera di uno specialista, che per un certo lasso di tempo si sostituisce all'insegnante di classe, là dove questi non voglia impartirlo o non sia riconosciuto idoneo.

E' evidente come, a volere essere coerenti, due sole sarebbero le strade da battere non alternative ma intersecantisi fra loro: da un lato muovendo dal valore culturale del fatto religioso, assicurarne la presenza nell'insegnamento, senza assurde esenzioni per nessuno, ad opera di insegnanti specialisti o meno dipendenti esclusivamente dallo Stato; d'altro lato aprire non già nei programmi ordinari, bensì nella scuola come struttura sociale, spazi per un libero annuncio religioso, aperto a chi desideri accostarlo, e assicurato in piena indipendenza e senza sostegni economici statali da chi la Chiesa intenda incaricare di questo compito. La prima strada sarebbe estranea alla materia concordataria (la Chiesa non ha titolo per ingerirsi in ciò che viene incluso nei programmi scolastici perché appartenente al patrimonio storico e culturale del paese); la seconda strada, in ipotesi, potrebbe dar luogo ad una pattuizione concordataria, per regolamentarne le modalità di fruizione da parte della Chiesa degli spazi a

perti nella vita della comunità scolastica, ma dovrebbe sboccare in un esito ben diverso dall'attuale disciplina e da quella proposta in sede di revisione.

Assistenza spirituale e finanziamenti statali

Una contraddizione si riscontra sul tema dell'assistenza spirituale nelle caserme, nelle carceri e negli ospedali. Pur essendo tale assistenza chiaramente e pacificamente relativa alla sfera dei bisogni schiettamente religiosi e all'esercizio della libertà religiosa, si legge nel testo della revisione che proprio tale »assistenza spirituale è »assicurata ai militari-cattolici, ad essa si »provvede nei confronti dei ricoverati cattolici, essa è »garantita ai detenuti cattolici, "da parte dello Stato". L'espressione tradisce qui clamorosamente la sostanza: lo Stato si fa »assistente spirituale dei cittadini cattolici che vivono in istituzioni collettive! Naturalmente, è assicurato il controllo delle autorità ecclesiastiche su coloro che esercitano tale assistenza; ma nominarli, e pagarli, spetta allo Stato.

Forse non si riflette abbastanza su quale prezzo la stessa Chiesa e la libertà del suo annuncio possano essere costrette a pagare in cambio del finanziamento statale di queste funzioni religiose, come dell'insegnamento confessionale nella scuola. Lo Stato, facendo di questi ministri del culto o dell'annuncio religioso dei propri dipendenti, si assicura su di essi un controllo. E se è vero che la Chiesa si assicura che persone ad essa non gradite non vengano nominate a tali funzioni, è altrettanto vero che l'autorità statale deve dare il suo assenso sugli organici. Tal che, per esempio, se lo Stato ritenesse in un ipotetico futuro di ridurre gli organici dei cappellani militari o carcerari od ospedalieri, al di sotto delle esigenze effettive di assistenza religiosa degli interessati, la Chiesa non potrebbe lamentare alcuna violazione dei patti, né il diritto di essere presente nelle istituzioni collettive con altri ministri e in altre forme. Ciò rientrerebbe nella logica di norme come queste, che considerano

la soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini come un compito dello Stato.

Ma in questo campo non solo non si è mosso un passo dalla logica e dalla disciplina del concordato mussoliniano: ma si è anzi proceduto ulteriormente sulla stessa strada. Infatti il concordato del 1929 si limita a disciplinare l'assistenza spirituale ai militari. I testi di revisione invece estendono tale disciplina anche all'assistenza negli ospedali e nelle carceri, trasferendo nel concordato materie già oggetto di legislazione unilaterale dello Stato. Ancor di più, la estendono non solo ai ricoverati negli istituti ospedalieri e nelle case di cura dipendenti da enti pubblici, ma anche ai ricoverati nelle »case... di assistenza dipendenti da enti pubblici. Vuol dire che, nel futuro sistema dell'assistenza pubblica, oltre agli ospedali, anche gli istituti, ad esempio, per anziani non malati dovranno avere il cappellano stipendiato dalla Stato o dall'ente pubblico gestore? Sembra di sì.

Questa proliferazione di cappellanie pubbliche pone anche un problema costituzionale. Fino a che punto la Costituzione avallerebbe con la copertura dell'art. 7, e con la conseguente resistenza all'abrogazione o alla modifica da parte di leggi ordinarie non precedute da accordo, norme come queste, relative a materie non contemplate dal concordato del 1929? Probabilmente è corretto ritenere che anche le nuove norme godrebbero della »copertura costituzionale dell'art. 7, se non altro perché in caso contrario si dovrebbe attribuire alle intese fra Stato e Chiesa cattolica una forza vincolante, nei confronti della legislazione statale, minore di quella che in base all'art. 8 della Costituzione deve riconoscersi alle intese con i culti diversi da quello cattolico. Ma ciò non fa che rendere ancor più contestabile una nuova disciplina concordataria, come quella prospettata, che estenderebbe il campo di una normativa ispirata a principi confessionistici vincolando per di più in tal senso il futuro legislatore ordina

rio dello Stato.

Punti fermi per nuovi rapporti tra Stato e Chiesa

Quale potrebbe essere allora la proposta in positivo di chi condivida un'analisi negativa del contenuto delle bozze di revisione concordataria? Una posizione puramente o semplicemente abrogazionista (per la denuncia unilaterale del concordato, attraverso una abrogazione dell'art. 7 secondo comma della Costituzione, mediante legge costituzionale) non è a mio avviso soddisfacente: non tanto perché minoritaria, laddove la modifica della Costituzione richiede una larga maggioranza; quanto perché non indica una prospettiva di positiva evoluzione dei rapporti Stato-Chiesa. Essa postula infatti una rottura e una brusca caduta in tutta una disciplina senza sostituzione e senza gradualità: infatti una semplice denuncia del concordato, che lasciasse però in piedi la legislazione vigente in materia di insegnamento religioso, di enti ecclesiastici, di cappellani militari, non avrebbe di per sé molto significato, o potrebbe essere solo la premessa per una successiva revisione di quella legislazione. Né è pensabile, al di

fuori di un contesto »rivoluzionario , la caduta da un giorno all'altro di tutta quella legislazione, senza sostituzione.

Occorre allora indicare una prospettiva storicamente plausibile, praticabile in linea di principio anche dalla Chiesa, per la costruzione di un nuovo sistema di rapporti fra Chiesa e Stato e di una nuova disciplina del fatto religioso nei vari campi della convivenza civile. Una prospettiva di questo genere, per »utopistica che possa essere ritenuta, può essere però formulata, e può essere riassunta nelle seguenti poche proposizioni, alternative alle formule del nuovo progettato concordato, e suscettibili, se le due parti lo volessero, di indicare il contenuto di quel »concordato per superare il concordato che rimane a mio avviso la prospettiva più valida.

a) "Affermazioni di principio in tema di libertà religiosa": se si volessero pattuire dichiarazioni di principio, esse dovrebbero muoversi non nel senso dell'affermazione di »libertà rinforzate per i cattolici, ma nel senso della solenne convergenza delle due parti sui grandi principi di libertà della persona e dei gruppi, che esse si impegnerebbero a promuovere ciascuna con i propri mezzi. La commissione Gonella, che nel 1969 aveva redatto una ipotesi di revisione del concordato (peraltro largamente inaccettabile nei suoi contenuti), aveva proposto di inserire nel nuovo testo un articolo finale così concepito: »Le parti contraenti, nel procedere alla revisione del concordato, riaffermano il diritto alla libertà religiosa spettante alla persona umana, come è positivamente riconosciuto nella Costituzione della Repubblica italiana e nelle Costituzioni e Documenti del concilio ecumenico Vaticano II. Alla Chiesa cattolica, come alle confessioni religiose ed ai singoli individui, restano garantiti i diritti di l

ibertà riconosciuti dalla Costituzione italiana. Gli accordi fra la Santa Sede e lo Stato italiano non pregiudicano in alcun modo le intese dello Stato con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, secondo quanto prevede l'art. 8 della Costituzione Italiana . La norma non compare invece nelle varie bozze di revisione, che pure alla proposta della commissione Gonella si sono in parte ispirate. Invece la formulazione pattizia di una norma del genere servirebbe a marcare l'accordo su qualcosa di più e di diverso che un »"do ut des" , ad affermare qualcosa che, prima di essere interesse dell'una o dell'altra istituzione (statale ed ecclesiastica) è d'interesse dei soggetti (le persone umane) a cui entrambe in definitiva servono; e varrebbe ribadire che il fondamento ed il quadro delle libertà della Chiesa non sono altro che le norme costituzionali.

b) "Enti ecclesiastici". In questa materia un obiettivo da perseguire dovrebbe essere quello che la repubblica si dia un nuovo diritto delle associazioni prive di fine di lucro e delle fondazioni, ispirato a criteri meno autoritari e discrezionali di quelli che regolano oggi l'acquisto della personalità giuridica e la vita degli enti; e una nuova disciplina degli enti con finalità religiose o di culto (facenti capo alla Chiesa cattolica o ad altre confessioni religiose), che, nel rispetto dei principi costituzionali, detti le regole comuni eventualmente necessarie, tra cui potrebbe senz'altro rientrare la regola dell'equiparazione del fine di religione o di culto ai fini di beneficienza e di istruzione. agli effetti del regime tributario.

Occorrerebbe poi smantellare il sistema dei contributi finanziari statali diretti agli enti ecclesiastici, il connesso sistema di controlli statali sulla loro amministrazione, nonché i residui organizzativi e finanziari di passate situazioni e politiche ecclesiastiche, come l'amministrazione del fondo per il culto presso il Ministero degli interni. Ciò potrebbe richiedere un certo tempo, necessario anche per consentire alla Chiesa italiana di riorganizzare la propria amministrazione patrimoniale e le proprie finanze rinunciando definitivamente al residuo giurisdizionalistico dei supplementi di congrua. Non sarebbe certo un obiettivo irraggiungibile, nemmeno per la Chiesa del nostro paese, come non lo è stato per la Chiesa di altri paesi. Una pattuizione che miri in questa direzione potrebbe stabilire un termine (diciamo dieci anni) allo spirare del quale verrebbero meno gli attuali impegni finanziari statali. Entro lo stesso termine od uno più breve potrebbe essere prevista la definizione del nuovo regime ci

vile degli enti con fini di religione e di culto.

Si potrebbe valutare l'opportunità di dar vita, su richiesta della Chiesa, ad un sistema di esazione da parte dello Stato per conto della Chiesa stessa (come avviene in Germania), di contributi finanziari volontari dei fedeli, riscossi insieme ai tributi statali. In questo modo si avrebbe ancora la transitoria conservazione in vigore dell'attuale disciplina della materia, ma non il rinvio puro e semplice a nuove intese di contenuto indeterminato, bensì un passaggio preciso, anche se differito, ad un sistema di indipendenza finanziaria della Chiesa dallo Stato. Naturalmente questo regime non escluderebbe affatto la conservazione o l'introduzione di agevolazioni tributarie o di altro genere per le attività a fini di culto e per i beni ad esse destinati, fermo restando che altre eventuali attività connesse dovrebbero restare soggette (come del resto anche nella bozza di revisione si prevede) al regime tributario rispettivamente stabilito dalle leggi dello Stato.

c) "Insegnamento della religione". Anche in questo campo non è pensabile il venir meno da un giorno all'altro dell'attuale sistema, dati fra l'altro i problemi di tipo sindacale che lo status degli attuali insegnanti, dipendenti dello Stato, non potrebbe non porre. D'altro lato il legislatore dovrebbe ripensare, svincolato dalla commistione concordataria, sia il tema della presenza del fatto religioso nel quadro dei programmi scolastici (nell'ambito di uno specifico insegnamento o nell'ambito di altre materie), sia la struttura dell'attività scolastica in generale, per fare spazio ad iniziative liberamente organizzate e liberamente accolte dalla comunità scolastica, al di fuori dei programmi ordinari, iniziative fra le quali potrebbero ben rientrare anche attività di tipo schiettamente religioso. Gli insegnanti di religione attuali, che volessero restare insegnanti statali, dovrebbero poter essere impiegati con il loro accordo in compiti di insegnamento confacenti alla loro qualificazione, e svincolati da og

ni dipendenza o condizionamento delle autorità ecclesiastiche; mentre le attività »libere potrebbero essere assicurate sia, volontariamente, dagli stessi insegnanti, sia da altre persone di ciò incaricate dalla Chiesa ma prive di ogni rapporto di dipendenza dallo Stato e naturalmente di ogni retribuzione statale. In un quadro del genere sono persuaso che occorrerebbe impostare diversamente il problema nella scuola materna ed elementare ed in quella media e superiore. A livello dei primi gradi dell'istruzione non sembra aver senso un insegnamento specifico di religione, mentre il fatto religioso dovrà piuttosto trovar posto nel quadro globale dell'insegnamento, come un fenomeno che fa parte integrante dell'universo concreto di vita degli alunni, e in armonia con le concrete esigenze di questi, delle loro famiglie, della comunità scolastica. Nei gradi ulteriori dell'istruzione evidentemente il problema della presenza del fenomeno religioso nell'orizzonte della vita della scuola richiede soluzioni e strumenti

diversi e più articolari. Ancora una volta, un processo di innovazione come quello delineato richiederebbe del tempo: ma il punto è di porre le premesse, a partire dalle quali il legislatore e l'amministrazione dovrebbero percorrere le diverse tappe nella direzione indicata.

d) "Assistenza spirituale". In questo campo l'abolizione di tutte le figure di cappellani dipendenti dallo Stato dovrebbe andare di pari passo con la concreta realizzazione del principio per cui in tutte le istituzioni della vita collettiva deve essere garantita l'effettiva libertà dei soggetti che vi sono coinvolti di praticare il proprio culto e di ricevere l'assistenza dei ministri del proprio culto. All'Assemblea Costituente Giuseppe Dossetti aveva proposto di formulare un articolo della Costituzione così inteso: »I rapporti di lavoro, l'appartenenza alle forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dar luogo a nessun impedimento di diritto o a nessun ostacolo di fatto in ordine all'adempimento dei doveri religiosi fondamentali e all'assistenza da parte dei ministri del culto seguito . La proposta non venne accolta, forse per una certa miopia: ma questa dovrebbe essere la direttiva, in questo campo, per una disciplina postconcordataria. E non sarebbe

eccessivamente difficile trarre da una affermazione di principio come quella ricordata le conseguenze concrete: organizzazione della vita militare in modo da consentire la partecipazione alle pratiche di culto e la soddisfazione dei bisogni religiosi; libero accesso dei ministri dei culti, con la opportuna regolamentazione, negli stabilimenti ospedalieri, negli istituti di ricovero, nelle carceri; diritto dei ricoverati e dei detenuti a veder comunicate ai ministri di culto le loro richieste di assistenza.

Un nuovo concordato che si muovesse lungo queste linee sarebbe davvero qualcosa di qualitativamente diverso dalle ipotesi di revisione finora formulate; allo stesso tempo offrirebbe alla Chiesa ogni garanzia di effettivo esercizio delle sue libertà. La Chiesa italiana ne uscirebbe più povera sola del denaro che oggi lo Stato eroga per supplementi di congrue, stipendi di insegnanti di religione, di cappellani militari, ospedalieri e carcerari, ma resa più libera e più credibile dalla cessazione di ogni commistione col potere civile. Lo Stato, a sua volta, impronterebbe il suo ordinamento non già all'ignoranza o peggio all'ostilità per la religione, ma a criteri di autentica laicità e di rispetto effettivo dei diritti della persona.

 
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