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Camera dei deputati - 26 giugno 1980
LIBERALIZZAZIONE ABORTO: Referendum per l'abrogazione di alcune disposizioni della Legge 22 maggio 1978, n. 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza - Richiesta radicale

SOMMARIO: Scheda sul referendum per la liberalizzazione dell'aborto, promosso dal Partito radicale. Ordinanze della Corte di cassazione e sentenza della Corte costituzionale.

(IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA - CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI, Roma 1981)

"26 giugno 1980": presentazione della richiesta

"2 dicembre 1980": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che fissò il termine di sette giorni per la eventuale presentazione di deduzioni scritte dai presentatori in relazione alla prospettabilità di una eventuale questione di legittimità costituzionale dell'art. 32 della legge sui "referendum"

"15 dicembre 1980": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara legittima la richiesta

"10 febbraio 1981": sentenza n. 26 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta

"24 marzo 1981": D.P.R. di indizione del "referendum"

"17-18 maggio 19812: svolgimento del "referendum"

voti attribuiti alla risposta affermativa (sì): 3.588.995

voti attribuiti alla risposta negativa (no): 27 .395.909

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 2 dicembre 1980

Il Presidente dell'Ufficio apre la discussione sul punto delle concentrabilità o meno dei tre "referendum" riguardanti la legge n. 194 del 1978, sulla base della relazione svolta dal Cons. Lipari nella seduta del 29 novembre u.s.

Dopo ampia discussione l'Ufficio Centrale per il "referendum"

Visto l'articolo 32 della legge 25 maggio 1970 n. 352;

Ritenuto che sono stati presentati 3 "referendum" per l'abrogazione parziale della legge 22 maggio 1978 n. 194, ciascuno dei quali investe una pluralità di disposizioni, in parte anche identiche, dell'atto normativo;

che tutte e tre le proposte referendarie hanno superato la soglia delle cinquecentomila sottoscrizioni regolari;

che il termine del 31 ottobre, di cui al comma 3 del citato articolo 32, non si è potuto rispettare per la contemporanea presentazione di altre nove richieste referendarie che si sono dovute esaminare in unico contesto temporale;

che non vi sono irregolarità nelle richieste riguardanti i "referendum" di abrogazione parziale della citata legge n. 194 del 1978, rispetto alle quali si renda necessario disporre l'eventuale sanatoria poiché le sottoscrizioni regolari sono comunque in numero sufficiente per attivare il meccanismo referendario;

che ai sensi del comma 4 del cit. articolo 32 l'Ufficio deve indicare ai presentatori delle singole richieste il proprio orientamento (»l'Ufficio propone ) circa la concentrazione di quelle che rivelano »uniformità o analogia di materia ai fini dell'instaurazione del contraddittorio;

che l'ipotesi della concentrazione potrebbe profilarsi rispetto alle richieste riguardanti l'abrogazione parziale della legge n. 194 del 1978;

che il Comitato promotore del primo "referendum" del Movimento per la Vita (»massimale ) ha presentato in prevenzione memoria, richiedendo che sia omessa ogni concentrazione;

Considerato che l'Ufficio è legittimato a sollevare, anche di propria iniziativa, questione di legittimità costituzionale delle norme della legge n. 352 del 1970, che è chiamato ad applicare nell'espletamento delle operazioni referendarie ad esso affidate;

che, in relazione alla ipotesi in esame di più "referendum" di abrogazione parziale di una medesima legge ad oggetto definito, o contrapposti fra loro, o non coincidenti nell'estensione, sia la soluzione della concentrazione, sia quella della distinzione, con contemporanea sottoposizione al voto degli elettori, potrebbero dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale;

che, infatti, non si rinvengono nella legge n. 352 del 1970, - che investe l'Ufficio del relativo potere di concentrare ovvero di lasciare distinte le proposte-disposizioni suscettibili di essere interpretate in modo da consentire che la contemporanea votazione su quesiti concentrati, o quesiti alternativi concorrenti, si svolga rispettando il principio costituzionale della sovranità popolare e del correlativo prevalere della effettiva maggioranza, e di una maggioranza formata senza distorsioni;

che, in relazione alla prospettabilità di una eventuale questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 pregiudiziale all'applicazione della norma sulla concentrazione, va dato termine ai promotori perché presentino per iscritto le loro deduzioni;

Per questi motivi

Fissa il termine di sette giorni, dalla notificazione della presente ordinanza, ai presentatori dei tre "referendum" riguardanti la legge n. 194 del 1978 per la eventuale presentazione per iscritto delle loro deduzioni.

Manda alla Cancelleria per le notifiche da effettuarsi come per legge.

A questo punto si è passato, su relazione del Cons. Vincenzo d'Orsi, a discutere il testo delle ordinanze relative alle richieste di "referendum" abrogativi nn. 1 (Legge Cossiga); 2 (Reati di opinione); 3 (Ergastolo); 4 (Caccia); 5 (Porto d'armi); 6 (Tribunali Militari); 7 (Hashish e Marijuana); 9 (Centrali Nucleari); 10 (Guardia di Finanza).

Tali ordinanze vengono approvate nei rispettivi testi che saranno allegati al presente verbale a sottoscrizione avvenuta, sottoscrizione che, conformemente ad apposita deliberazione dell'Ufficio, sarà apposta dal solo Presidente con controfirma certificativa del Segretario dell'Ufficio.

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 15 dicembre 1980

Sulla richiesta di "referendum" abrogativo degli articoli della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante »Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza , come appresso specificati.

"Ritenuto in fatto e in diritto"

- che il giorno 7 febbraio 1980 nella Cancelleria di questa Suprema i dodici cittadini italiani Faccio Adele, Aglietta Maria Adelaide, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Borger Franca, Capuzzo Francesca Romana, Smocovich Marcella Maria, Rippa Giuseppe, Pergameno Silvio, Sappia Marco, Fazzari Maria, Foschi Angelo; (meglio specificati in verbale), dopo aver documentato la loro qualità di elettori, dichiararono di voler promuovere, in base all'articolo 75 della Costituzione e agli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352 e successive modificazioni, la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori per la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 4, 5, 6 lettera b) limitatamente alle parole: »tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro ; 7, 8, 9 comma primo limitatamente alle parole: »alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed e comma quarto limitatamente alle parole: »l'espletamento delle procedure previste d

all'articolo 7 e , nonché alle parole: »secondo le modalità dagli articoli 5, 7 e 8 ; 10 comma primo limitatamente alle parole: »nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6 , nonché alle parole: »di cui all'articolo 8 , e comma terzo limitatamente alle parole: »secondo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 5 e dal primo comma dell'articolo 7 ; 11 comma primo. L'ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l'intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione della identità della donna); 12, 13, 14, 19 comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni), comma secondo (La donna è punita con la multa fino a lire centomila), comma te

rzo limitatamente alle parole: »o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7 , comma quinto (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.) e comma settimo (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma); 22 comma terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.) della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante »Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione v

olontaria della gravidanza .

- che l'annuncio di tale iniziativa fu pubblicato nella "Gazzetta Ufficiale" n. 38 dell'8 febbraio 1980;

- che successivamente il 26 giugno 1980 i promotori Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Berger Franca, riferendosi alle dichiarazioni di cui al verbale del 7 febbraio 1980 presentarono formale richiesta del "referendum" sopraindicato, depositando ai sensi dell'articolo 28 della legge 25 maggio 1970 n. 352 e successive modificazioni n. 580 scatole nelle quali dichiararono racchiusi fogli contenenti oltre 600.000 firme di cittadini italiani elettori per la Camera dei Deputati, nonché 37 scatole contenenti certificazioni di iscrizioni nelle liste elettorali; che, con analoghe modalità, il successivo giorno 27 giugno 1980, i promotori Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia e Pergameno Silvio depositarono altre due scatole, nelle quali dichiararono essere inclusi fogli contenenti n. 2.000 firme di elettori; nonché una scatola contenente certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali;

- che il 25 settembre 1980 gli stessi promotori depositarono altre 4 scatole nelle quali dichiararono essere contenuti fogli con n. 2.500 firme di elettori, nonché 4 scatole di certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali;

- che nel frattempo questo Ufficio Centrale, in vista della complessità delle operazioni, per ottenere la maggior precisione possibile del controllo e dei calcoli da farsi aveva, con verbale del 4 luglio 1980, richiesto al Signor Primo Presidente di essere autorizzato ad avvalersi della collaborazione del Centro elettronico di documentazione esistente presso l'Ufficio del Massimario e del ruolo di questa Corte Suprema di Cassazione, oltre che dei Magistrati appartenenti all'Ufficio suddetto, nonché di un consistente ufficio di segreteria e personale ausiliario;

- che l'autorizzazione era stata concessa con decreto 5 luglio 1980 del Primo Presidente, il quale, con altro decreto, aveva messo a disposizione dell'Ufficio Centrale i Magistrati, i Funzionari e l'altro personale richiesto;

- che dal 7 al 9 luglio l'Ufficio Centrale procedette all'apertura dei plichi ed all'identificazione dei fogli mediante timbratura e numerazione progressiva, fogli che furono poi ricollocati in altrettanti pacchi, debitamente numerati e sigillati;

- che per le operazioni di verifica relativa alle dodici proposte referendarie, tra cui la presente, complessivamente depositate entro il 30 settembre 1980 si sono svolte ed esaurite nel periodo dal 22 settembre al 29 novembre 1980;

- che il "referendum" in esame, conformemente ai dati ricavati dall'elaborato elettronico, ha raggiunto e superato il numero di 500.000 sottoscrizioni richieste dalla legge;

- che inoltre, può darsi atto:

a) che la richiesta è stata preceduta dalla attività di promozione conforme ai requisiti di legge;

b) che essa è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati;

c) che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di timbratura dei fogli regolari;

d) che la richiesta di abrogazione degli articoli della legge 22 maggio 1978 n. 194 come sopra specificati è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio;

e) che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla legge;

considerato che il compito dell'Ufficio Centrale consiste nella verifica della legittimità formale della proposta di "referendum", implicante il riscontro del rispetto dei limiti modali e temporali di questa;

rilevato che il "referendum" in esame concorre con altre due proposte referendarie, che del pari hanno superato la soglia delle 500.000 sottoscrizioni regolari;

che, ai sensi dell'articolo 32 comma sesto della legge n. 352 del 1970, questo Ufficio, prima di decidere con ordinanza definitiva sulla legittimità delle richieste depositate, deve provvedere »alla concentrazione di quelle tra esse che rivelano uniformità o analogia di materia, mantenendo distinte le altre, che non presentano tali caratteri ;

che l'ipotesi di più richieste depositate riguardanti l'abrogazione del medesimo atto normativo investe questo Ufficio del problema interpretativo posto dal citato articolo 32 comma sesto della legge n. 352 del 1970, trattandosi di pronunciare in ordine alla alternativa »concentrazione-distinzione delle richieste medesime;

che a tal fine questo Ufficio è tenuto ad indicare ai presentatori delle richieste, astrattamente suscettibili di concentrazione, il proprio orientamento (»proposte , (comma quarto art. 32 cit.), fissando loro un termine per la presentazione di deduzioni scritte (comma quinto del medesimo articolo), restando conseguentemente esclusa la possibilità di un contraddittorio orale;

che, nella prospettiva di questo adempimento, si sono poste all'attenzione dell'Ufficio - alla luce pure del materiale di studio raccolto ed elaborato da magistrati addetti all'Ufficio Archivio Costituzionale istituito presso la Corte Suprema di Cassazione - complesse e delicate questioni anche di legittimità costituzionale;

che, per questa ragione, l'Ufficio ha emesso l'ordinanza in data 3 dicembre 1980, nella quale (al fine di dare ai Comitati Promotori interessati - pure in costanza del proprio potere dovere di sollevare incidente di costituzionalità quando ritenuto necessario - la possibilità di interloquire sull'argomento) è stato espresso l'avviso che nell'ipotesi, come quella di specie, di più richieste di abrogazione parziale di una medesima legge ad oggetto definito contrapposte fra loro, o quanto meno non coincidenti nell'ampiezza degli effetti abrogativi perseguiti, sia che si mantengano distinte le richieste medesime, da sottoporre contemporaneamente al voto degli elettori, sia che se ne operi la concentrazione, l'applicazione dell'articolo 32 comma sesto cit. potrebbe dar luogo a questioni di costituzionalità;

che il Comitato promotore del primo "referendum" del Movimento per la vita (massimale) ha presentato in prevenzione memoria, chiedendo che sia omessa ogni concentrazione ed ha, con successivo scritto difensivo, contestato la rilevanza e la non manifesta infondatezza della prospettabile questione di costituzionalità;

che anche il Comitato promotore del "referendum" del Partito Radicale ha presentato una memoria nella quale si nega la concentrabilità delle tre proposte e la rilevanza e la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità profilabile rispetto all'articolo 32 della legge n. 352 del 1970;

che, infine, il Comitato promotore del secondo "referendum" (minimale) del Movimento per la vita ha presentato, a sua volta, memoria chiedendo a questo Ufficio di dichiarare la regolarità della propria richiesta, omettendo ogni concentrazione ed escludendo la esistenza di problemi di costituzionalità;

Considerato che questo Ufficio - attesa la sua natura giurisdizionale - è legittimato a sollevare, anche di propria iniziativa, questioni di costituzionalità delle norme della legge n. 352 del 1970 da applicare nell'espletamento delle operazioni referendarie ad esso affidate; a tal legittimazione è stata ripetutamente riconosciuta in precedenti occasioni, ed anche nel corso di questa medesima fase referendaria, essendo stati già dichiarati manifestamente infondati profili di incostituzionalità prospettati da soggetti diversi dai promotori;

considerato che l'accesso alla Corte Costituzionale comporta il previo accertamento della rilevanza della questione che si intende sollevare;

che le richieste in esame, pur riguardando la medesima legge, si distinguono nettamente da un lato nell'intento e dall'altro nella estensione degli effetti abrogativi perseguiti; ed invero: mentre il "referendum" di fonte radicale mira a liberalizzare il regime condizionatamente permissivo dell'interruzione della gravidanza introdotto dalla legge n. 194 del 1978, i due "referendum" di fonte cattolica si propongono all'opposto di restringere la liceità dell'interruzione stessa, consentendola solo quando sussista un pericolo per la vita, o per la salute, della madre (proposta »minimale ), ovvero eliminando ogni disposizione permissiva (proposta »massimale );

che la norma dell'articolo 32 comma 6 della legge n. 352 contempla l'eventualità che fra le molteplici richieste presentate ve ne siano talune che presentano uniformità o analogia di materia ed in tal caso impone a questo Ufficio di operarne la »concentrazione , la quale si presenta perciò non come facoltà discrezionale, ma come obbligo inderogabile;

che si tratta, quindi, di valutare la sussistenza dei presupposti della concentrazione (vale a dire della unificazione delle richieste in un solo quesito), e non di scegliere, in base a criteri di opportunità, se operarla o meno;

che secondo una prima possibile lettura della norma, i termini di tale unitaria formulazione sono rappresentati dalla uniformità o analogia della normativa investita e non delle disposizioni sottoposte a "referendum", venendo in considerazione l'unità sostanziale di tale normativa anziché l'imputazione formale ad una data fonte delle norme di cui si chiede l'abrogazione, dovendosi in tal caso intendere per »materia la disciplina giuridica del settore dell'ordinamento, investita dalla richiesta abrogatrice;

che ove si dovesse far leva su tale nozione di »materia la disciplina giuridica del settore dell'ordinamento, investita dalla richiesta abrogatrice;

che ove si dovesse far leva su tale nozione di »materia con riguardo a ripartizioni autonome dell'ordinamento, o quanto meno a specifici istituti giuridici; e ove si dovesse, perciò, escludere la possibilità di identificare la materia (uniforme o analoga) con i puntuali contenuti delle singole richieste (nel quale caso rimarrebbe limitate la sfera di incidenza della norma sulla concentrazione secondo il diverso significato di »materia che sarà più oltre precisato) l'accertamento che le proposte riguardano un medesimo atto normativo, caratterizzato dall'unicità dell'oggetto della disciplina (nella specie la legge n. 194 del 1978, che regola il regime dell'interruzione volontaria della gravidanza), comporterebbe per questo Ufficio il dovere della concentrazione, ancorché il quesito unificato venisse a conglobare richieste non omogenee divergenti e nelle finalità perseguite e nella estensione della abrogazione auspicata; e l'incostituzionalità dei commi quarto e sesto dell'articolo 32 della legge n. 352 del 1

970 cit. emergerebbe con evidenza, perché l'elettore non sarebbe posto in grado di esprimere il proprio convincimento in modo adeguatamente differenziato, essendo state accomunate in un solo quesito richieste divergenti;

che l'unificazione nel quesito di richieste eterogenee, imposta, secondo l'ipotesi interpretativa considerata, dall'articolo 32 commi quarto e sesto della legge n. 352 del 1970 cit., il quale non ha contemplato la situazione di specie della convergenza su un atto normativo di richieste referendarie mosse da contrapposti intenti, o quanto meno non coincidenti nella estensione dell'abrogazione parziale auspicata, si risolverebbe, dunque, nel dovere di applicare una norma la cui legittimità costituzionale darebbe luogo a dubbi; né questo Ufficio, dopo essersi dato carico della impossibilità di intendere la disposizione traendone una norma armonizzabile con i precetti costituzionali, potrebbe disapplicarla ovvero sarebbe tenuto ad applicarla come è profilandosi l'obbligo di sollevare al riguardo questione di costituzionalità, la cui rilevanza discenderebbe dalla indeclinabilità del passaggio applicativo attraverso l'alternativa »concentrazione-distinzione delle richieste, dipendente dalla sussistenza o meno del

la uniformità o analogia della materia e cioè della normativa investita;

considerato che il comitato promotore del "referendum" dei radicali ammette la astratta configurabilità, sotto il profilo della rilevanza, di una questione di costituzionalità riguardante la concentrazione in positivo (da dichiarare, peraltro manifestamente infondata, data la possibilità di una interpretazione adeguatrice), ma la nega - invece - per la contrapposta ipotesi della »mantenuta distinzione , che a suo avviso non postula una »decisione dell'Ufficio quale proiezione di un potere "ad hoc", attribuitogli dalla legge, e non appare comunque suscettibile di essere ricondotta negli schemi della pregiudizialità;

che, all'opposto, deve ritenersi la stretta concatenazione normativa, letterale e logica, in una stessa disposizione degli alternativi sbocchi decisori della »concentrazione e della »distinzione ; e ciò implica che il giudizio demandato a questo Ufficio, ogni qualvolta si ponga un problema di convergenza di richieste su »materia uniforme o analoga viene a riguardare entrambe le soluzioni che rappresentano, in positivo ed in negativo, una stessa vicenda normativa, e rispetto alle quali l'»applicazione di norma di sospetta incostituzionalità da parte di autorità giurisdizionale comporta la puntuale ricorrenza della incidentalità della questione da sollevare, condizionante lo svolgimento ulteriore dei compiti di questo Ufficio, il quale, prima di concludere definitivamente sulla regolarità delle richieste, emanando il previsto provvedimento, è tenuto, appunto, a pronunziarsi sul problema della concentrazione o distinzione;

che nemmeno giova obiettare che quest'Ufficio proporrebbe la incostituzionalità non di una norma, ma della mancanza di una norma, poiché se è esatto che la questione investe la disposizione in quanto non contempla una certa situazione (la legge, infatti, nulla prevede allo scopo di prevenire o dirimere la situazione di convergenza conflittuale fra più "referendum" riguardanti una stessa normativa), deve ritenersi, come emerge dall'esperienza giurisdizionale della Corte Costituzionale, che sia consentito sollevare questioni di costituzionalità che investono la incompletezza della disposizione, potendo intervenire al riguardo sia pronunce che travolgono la disposizione in quanto carente, sia pronunce addittive che la integrano nelle denunciate carenze (ed in proposito è appena il caso di ricordare, proprio in materia referendaria, la sentenza n. 68 del 1978, intervenuta a proposito dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970);

che, potendo la questione di costituzionalità essere sollevata d'ufficio, non sono profilabili al riguardo violazioni del principio del contraddittorio; né i promotori potrebbero pretendere una previa articolazione, adeguatamente motivata, della questione, non valendo all'uopo fare richiamo alla »proposta di cui è cenno nel comma 4 dell'articolo 32 della legge n. 352 del 1970;

considerato che, nel sollevare la questione sul presupposto della incongruenza ed eterogeneità del quesito concentrato, questo Ufficio non verrebbe ad invadere il campo dell'ammissibilità costituzionale del "referendum" riservato alla Corte Costituzionale, perché il criterio della omogeneità non sarebbe invocato per trarne conseguenze in termini di ammissibilità del concreto quesito in sé e per sé considerato, ma come indice dell'inaccettabile risultato cui si perverrebbe applicando la norma nel senso di unificare richieste del tipo di quelle qui considerate: se attraverso la ipotizzata concentrazione il quesito diventa eterogeneo, perché si sottopone all'elettore globalmente un ventaglio di proposte abrogative inconciliabili fra loro, è evidente che l'eterogeneità dipende dalla norma di dubbia costituzionalità che questo Ufficio dovrebbe porre a fondamento della decisione da emettere;

che per vincere il dubbio di costituzionalità non sarebbe possibile aderire alla soluzione prospettata nel senso di operare la concentrazione, anziché mediante fusione delle richieste, trascrivendole separatamente nella scheda l'una dopo l'altra in quesiti distinti, attribuendo all'elettore il potere di esprimere un voto negativo globale, ovvero un voto positivo specifico sulla sola proposta che intende approvare; una modalità di votazione siffatta non si concilia con l'articolo 35 della cit. legge n. 352 del 1970, il quale prevede per ogni votazione referendaria la predisposizione di un unico quesito cui rispondere alternativamente Sì o No, tracciando il segno in una delle due caselle all'uopo predisposte nel modello legale di scheda (che in adesione alla tesi in esame dovrebbe essere innovato, introducendo una molteplicità di riquadri per l'espressione del voto corrispondente alla scelta effettuata fra una pluralità di alternative) e stabilisce la differenziazione nel colore delle schede nel caso di contem

poranea votazione per facilitare l'orientamento dell'elettore, creando una correlazione fra detto colore e contenuto del quesito (mentre con l'espediente qui considerato la votazione dovrebbe avvenire previo non agevole confronto di proposizioni scritte);

che, d'altra parte, la esposta tesi, anche se fosse sostenibile sul piano interpretativo, darebbe egualmente luogo a sospetti di incostituzionalità, non rispettando il principio fondamentale della bipolarità del quesito referendario, che in tanto può correttamente prospettarsi all'elettore in quanto gli si consente una scelta fra due (e non più di due) alternative;

che il "referendum" abrogativo, essendo stato voluto dalla Costituzione come strumento di genuina manifestazione della volontà popolare, implica l'appello al popolo secondo un quesito dai contorni netti, che presenti un suo nucleo essenziale verso il quale il consenso o dissenso degli elettori possa manifestarsi integralmente, esprimendo una scelta fra due soli termini, rispetto a ciascuno dei quali il momento unificante è rappresentato da una matrice unitaria (donde l'inammissibilità del "referendum" concernente una eterogenea pluralità di disposizioni legislative: cfr. la sent. della Corte Costituzionale n. 16 del 1978);

che, di conseguenza, il quesito referendario deve essere formulato, sempre e necessariamente, in termini di bipolarità, come dilemma, come alternativa fra due (e soltanto due) soluzioni, restando esclusa la possibilità di proporre una molteplicità di quesiti concorrenti;

che la necessaria dilemmaticità del quesito discende dalla natura dell'istituto referendario, quale mezzo particolare di attuazione della sovranità popolare che si manifesta nell'ordinamento attraverso la prevalenza della volontà maggioritaria, la quale si deve formare su un quesito a due soli sbocchi;

considerato che va accantonata la chiave di lettura dell'articolo 32 commi quarto e sesto prima utilizzata, in quanto dà luogo a dubbi non manifestamente infondati circa la legittimità costituzionale di tale norma e che occorre ricercare un'altra interpretazione non contrastante con i dettati costituzionali;

che, a tal fine, sulla scorta del criterio interpretativo fornito dal segnalato aspetto essenziale del "referendum", occorre chiedersi se l'alternativa »concentrazione-distinzione possa e debba essere risolta mediante la riconduzione, sotto il primo dei due schemi, dei soli quesiti referendari che ammettono la identica formulazione dilemmatica, con esclusione di quelli che importano una molteplicità di possibili risposte: sotto questo profilo, evidentemente riduttivo del raggio di applicabilità dell'articolo 32, comma quarto più volte citato, uniformità di materia indica l'identità della richiesta, nei suoi precisi contenuti obiettivi, mentre il riferimento alla analogia (assunta in un significato diverso da quello che il termine ha nella teoria dell'interpretazione) può includere l'ipotesi di proposizioni legislative coincidenti benché inserite in corpi normativi distinti;

considerato tuttavia che anche accogliendo questa soluzione in ordine all'interpretazione dell'articolo 32, commi 4 e 6, nel caso (come quello in esame) di contemporanea votazione su più "referendum" attinenti a proposte abrogative di una medesima legge, la rilevazione della volontà popolare, attraverso la giustapposizione delle singole votazioni, può presentarsi in termini equivoci e incoerenti e, perciò, risultare di incerta decifrazione e, persino contraddittoria nel caso estremo, ma non impossibile, di approvazione, da parte dell'elettorato, di proposte di segno contrario o comunque non coincidenti; che non è neppure esclusa l'incongruenza dei risultati in ordine alla normativa residuale, siccome amputata da opposte direzioni; che il principio maggioritario (quale estrinsecazione del precetto costituzionale della sovranità popolare subirebbe una indubbia compressione, allorché, nella concorrenza di richieste di abrogazione che abbraccino contenuti normativi più o meno ampi, tutte fossero approvate, ma la

richiesta più limitatamente abrogatrice risultasse votata da un più alto numero di elettori, giacché l'effetto abrogativo si produrrebbe comunque nella misura indicata dalla proposta a più largo spettro, posto che in base al categorico precetto dell'articolo 75 comma 4 della Costituzione la proposta è approvata (e si verifica, pertanto, l'effetto abrogativo) quando - avendo partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto - viene raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi; che non possono non rilevarsi le possibili distorsioni o alterazioni della volontà popolare con riguardo al diverso significato che le astensioni dal voto assumono in presenza di una molteplicità di proposte referendarie relative alla medesima legge; considerato ancora che se la proposizione di "referendum" non blocca il potere legislativo (cfr la cit. sentenza n. 16 del 1978 della Corte Costituzionale), ma all'opposto ne sollecita lo svolgimento nella stessa direzione verso cui si muove la proposta abrogatrice,

l'eventualità del contemporaneo svolgimento di più "referendum" abrogativi riguardanti la medesima legge impedisce al legislatore di rispondere adesivamente alla proposta e di evitare la consultazione popolare, poiché sarebbe impossibile armonizzare il diritto vigente con tutte le divergenti, o comunque non coincidenti, proposte abrogatrici;

considerato che a questi ed altri inconvenienti di grave portata apre immediatamente l'adito la determinazione di tener distinte le tre richieste riguardanti la medesima legge, qui adottata ed è questa l'elementare ragione (ingiustificatamente misconosciuta o fraintesa) in forza della quale questo Ufficio ha ritenuto, in via meramente delibativa, di richiamare l'attenzione dei proponenti sui problemi di legittimità costituzionale riconducibili, come loro matrice diretta o mediata, all'alternativa »concentrazione-distinzione ;

considerato, infine, che ove si accolga, come l'Ufficio ritiene che debba essere accolta, l'opinione che il limite della concentrabilità di più proposte è data dalla possibilità che esse siano formulate in termini dilemmatici, secondo la "ratio" che impronta l'istituto del "referendum" e che ogni altra interpretazione dell'articolo 32, comma 4 e 6, pur astrattamente sostenibile, deve cedere, siccome inconciliabile con quel principio, essenziale e ineliminabile rispetto all'istituto del "referendum"; che, insomma, non può farsi luogo a concentrazione laddove non abbia spazio operativo la formulazione dilemmatica del quesito;

considerato peraltro che le incoerenze sistematiche e le incongruenze di risultati cui mette capo la vigente disciplina (talune delle quali sono rilevanti anche sul piano della legittimità costituzionale) incidono su fasi distinte ed ulteriori del procedimento referendario, il cui controllo non ricade entro la sfera delle attribuzioni nel presente momento esercitate dall'Ufficio Centrale per il "referendum";

considerato che resta, comunque, salva la potestà di altri organi competenti di rilevare - ove del caso, anche di ufficio - eventuali sospetti di incostituzionalità nella prospettiva di vizi o di carenza di norme diverse dall'articolo 32 della legge n. 352 del 1970 in rapporto alla situazione o fattispecie emergente dalla convergenza di una stessa serie o ciclo referendario di proposte di segno opposto o divergenti;

considerato che, così risolta in senso negativo la questione della eventuale concentrazione con gli altri due "referendum" sopra ricordati, compete a questo Ufficio unicamente constatare se l'atto considerato è una legge o un atto normativo avente forza di legge e se al riguardo è intervenuta abrogazione legislativa o sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale;

che nella specie è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum";

che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità costituzionale.

Per questi motivi letti gli articoli 75 della Costituzione, 8, 9, 27 e 32 della legge 25 maggio 1970 n. 352 e successive modificazioni;

l'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione degli articoli 7, 4, 5, 6 lettera b) limitatamente alle parole: ``tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro'', 7; 8; 9 comma primo limitatamente alle parole: ``alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed'', e comma quarto limitatamente alle parole: ``l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e'', nonché alle parole: ``secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8''; 10 comma primo limitatamente alle parole: ``nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6'', nonché alle parole: ``di cui all'articolo 8'', e comma terzo limitatamente alle parole: ``secondo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 5 e dal primo comma dell'articolo 7''; 11 comma primo (L'ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l'intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per

territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione dell'identità della donna); 12; 13; 14; 19 comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni.), comma secondo (La donna è punita con la multa fino a lire centomila.), comma terzo limitatamente alle parole: ``o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7,'', comma quinto (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.) e comma settimo (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o l

a lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma.); 22 comma terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6.) della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante ``Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza''? .

Dichiara cessate le operazioni di sua competenza relative a questa fase del "referendum".

Corte costituzionale

Sentenza 10 febbraio 1981, n. 26

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza nei giudizi riuniti sull'ammissibilità, ai sensi dell'articolo 75, comma secondo, della Costituzione delle richieste di "referendum" popolare per l'abrogazione:

1) degli articoli: 1; 4; 5; 6, lettera b), limitatamente alle parole: »tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro 7; 8; 9 comma primo limitatamente alle parole: »alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed , e comma quarto limitatamente alle parole: »l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e , nonché alle parole: »secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8 ; 10, comma primo, limitatamente alle parole: »nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6 , nonché alle parole: »di cui all'articolo 8 , e comma terzo, limitatamente alle parole: »secondo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 5 e dal primo comma dell'articolo 2 ; 11, comma primo (L'ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l'intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della qual

e è avvenuto, senza fare menzione dell'identità della donna); 12; 13; 14; 19, comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni), comma secondo (La donna è punita con la multa sino a lire centomila), comma terzo limitatamente alle parole: »o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7 , comma quinto (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.) e comma settimo (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma); 22, comma terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,

non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6), della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: »Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza (n. 22 reg. ref.);

2) degli articoli: 4; 5; 6; 7; 8; 9; 10; 11; 12; 13; 14; 15; 19, primo comma, limitatamente alle parole: »senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8 , terzo comma (Se l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni), quarto comma (La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi), quinto comma (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.), settimo comma (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma) e

degli articoli 20 e 21 della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: »Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza (n. 23 reg. ref.);

3) degli articoli: 4; 5; 6, limitatamente alle parole »dopo i primi novanta giorni , »tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie e malformazioni del nascituro »e psichica ; 8; 12; 13; 14; 15; 19, primo comma, limitatamente alle parole »negli articoli 5 o 8 , terzo comma (Se l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni), quarto comma (La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi), quinto comma (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore, degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.), settimo comma (Le pene stabilite dal comma precedente sono aum

entate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma), della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: »Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza (n. 24 reg. ref.).

Viste le ordinanze in data 15 dicembre 1980 con le quali l'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittime le suddette richieste;

udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi gli avvocati Mauro Mellini, Marcello Gallo e Francesco Migliori per i comitati promotori e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

"Ritenuto in fatto":

1. - Con tre ordinanze, emesse il 15 dicembre e comunicate a questa Corte il 19 dicembre 1980, l'Ufficio centrale per il "referendum" istituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittime altrettante richieste di "referendum" popolare, per la parziale abrogazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante »Norme per la tutela sociale e sulla interruzione volontaria della gravidanza .

Precisamente, la prima di tali richieste (reg. ref. n. 22) - presentata il 26 giugno 1980 dai promotori Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Berger Franca - concerne un "referendum" da indire sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione degli articoli 1; 4; 5; 6 lettera b) limitatamente alle parole: »tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro ; 7; 8; 9 comma primo, limitatamente alle parole: »alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e , e comma quarto limitatamente alle parole: »l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e , nonché alle parole: »secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8 ; 10 comma primo limitatamente alle parole: »nelle circostanze previste dagli articoli 4 e 6 , nonché alle parole: di »cui all'articolo 8 , e comma terzo limitatamente alle parole: »secondo quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 5 e dal primo comma dell'articolo 7 ; 11 comma primo (L'ente ospedaliero, la casa di cura o il

poliambulatorio nei quali l'intervento è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell'intervento stesso e dalla documentazione sulla base della quale è avvenuto senza fare menzione dell'identità della donna); 12; 13; 14; 19 comma primo (Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni), comma secondo (La donna è punita con la multa fino a lire centomila), comma terzo limitatamente alle parole: »o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7 , comma quinto (Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dai casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà.

La donna non è punibile.) e comma settimo (Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma), 22 comma terzo (Salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non è punibile per il reato di aborto di donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima dell'entrata in vigore della presente legge, se il giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli articoli 4 e 6) della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: »Norma per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza .

La seconda richiesta (reg. ref. n. 23) - presentata il 29 settembre 1980 dai promotori Cerletti Giovanni Battista, Achille Antonio, De Marinis Pierluigi, Montaldo Corrado - mira invece all'abrogazione degli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 19, primo comma, limitatamente alle parole: »senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8 ; terzo comma »Se l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione sino a sei mesi ; quinto comma: »Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. ; settimo comma: »Le pene stabi

lite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma ; articoli 20, 21.

Infine, la terza richiesta (reg. ref. n. 24) - anch'essa presentata il 29 settembre 1980 dai promotori Verduchi Paolo Maria, Scognamiglio Simona, Cecina Angelo, Monacchi Riccardo - ha per oggetto gli articoli 4, 5, 6, limitatamente alle parole »dopo i primi novanta giorni , »tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro , »o psichica ; 8, 12, 13, 14, 15, 19, primo comma, limitatamente alle parole »negli articoli 5 o 8 ; terzo comma: »Se l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni ; quarto comma: »La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi , quinto comma: »Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi

la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile ; settimo comma: »Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma .

2. - In tutti e tre i casi, l'Ufficio centrale per il "referendum" ha verificato in primo luogo che era stato raggiunto e superato il numero di 500.000 sottoscrizioni, indicato dalla legge 28 maggio 1970, n. 352 (conformemente all'art. 75 Cost.). Circa la seconda e la terza richiesta, l'Ufficio ha anzi sospeso, »in quanto superflue , le ulteriori operazioni di verifica delle firme raccolte.

L'Ufficio stesso, per stabilire a questo punto se occorresse concentrare o mantenere distinte le tre richieste, ha quindi affrontato una serie di questioni riguardanti l'interpretazione e la legittimità costituzionale dell'articolo 32, sesto comma, della legge n. 352 del 1970; ai sensi del quale si deve provvedere alla concentrazione, allorché le richieste in esame »rivelano uniformità o analogia di materia .

Quanto all'interpretazione, l'Ufficio ha ipotizzato - in base ad »una prima possibile lettura della norma - che per materia debba intendersi in tal senso »la disciplina giuridica del settore dell'ordinamento, investita dalla richiesta abrogatrice . Senonché la constatazione che, a questa stregua, dovrebbero venire »accomunate in un solo quesito richieste divergenti , il che concreterebbe un risultato »inaccettabile e verosimile incostituzionale, ha indotto l'Ufficio ad accantonare la predetta ipotesi interpretativa, concludendo piuttosto che »uniformità di materia significa sostanziale »identità della richiesta : con la conseguenza che in casi come quello in esame, nell'impossibilità di esprimere un unico quesito referendario secondo il criterio della »bipolarità o della »formulazione dilemmatica non sarebbe dato procedere alla concentrazione.

Quanto alla legittimità costituzionale dell'articolo 32 sesto comma - premesso che anche in un giudizio sulla legittimità delle richieste referendarie potrebbero venire sollevate »questioni di costituzionalità delle norme della legge n. 352 del 1970 da applicare nei giudizi stessi - l'Ufficio ha rilevato che essa determina una serie di dubbi, pur quando le varie richieste (concernenti una medesima disciplina normativa) siano mantenute distinte. Infatti, »la giustapposizione delle singole votazioni sarebbe suscettibile di produrre esiti »equivoci e incoerenti , risultando »di incerta decifrazione e persino contraddittoria nel caso estremo, ma non impossibile, di approvazione di proposte di segno contrario o comunque non coincidenti ; né si potrebbero ignorare »le possibili distorsioni o alterazioni della volontà popolare con riguardo al diverso significato che le astensioni dal voto assumono in presenza di una molteplicità di proposte referendarie relative alla medesima legge ; ed anzi andrebbe osservato, p

rima ancora, che »l'eventualità del contemporaneo svolgimento di più "referendum" abrogativi »impedirebbe al legislatore di rispondere adesivamente alla proposta e di evitare la consultazione popolare, poiché sarebbe impossibile armonizzare il diritto vigente con tutte le divergenti, o comunque non coincidenti, proposte abrogatrici .

Tuttavia, le tre ordinanze hanno dato atto - aderendo agli scritti difensivi presentati in tal senso da tutti i comitati promotori interessati - »che le incoerenze sistematiche e le incongruenze di risultati cui mette capo la vigente disciplina , pur assumendo rilievo sullo stesso piano della legittimità costituzionale, »incidono su fasi distinte ed ulteriori del procedimento referendario, il cui controllo non ricade entro la sfera delle attribuzioni nel presente momento esercitate dall'Ufficio centrale per il "referendum" (salva ovviamente restando »la potestà di altri organi competenti di rilevare - ove del caso, anche di ufficio - eventuali sospetti di incostituzionalità dei disposti della legge n. 352 del 1970, »in rapporto alla situazione o fattispecie emergente dalla convergenza di una stessa serie o ciclo referendario di proposte di segno opposto o divergenti ). Con questo fondamento - una volta accertato »il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a "referendum" e visto che al riguardo

non erano »intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità costituzionale - è stata perciò dichiarata la legittimità delle tre richieste referendarie distintamente prese in considerazione.

3. - Ricevuta comunicazione delle ordinanze, il Presidente di questa Corte ha fissato per le conseguenti deliberazioni il giorno 14 gennaio 1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori delle richieste ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970. Si sono avvalsi della facoltà di depositare memorie - prevista dall'articolo 33, terzo comma - tanto i comitati promotori dei tre "referendum" quanto l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.

a) La memoria relativa alla richiesta del 26 giugno 1980 premette che la depenalizzazione dell'aborto, nei termini sanciti dalla legge n. 194 del 1978, non violerebbe alcuna disposizione costituzionale. Con la sentenza 18 febbraio 1975, n. 27, la Corte avrebbe in effetti risolto la sola questione dei limiti di punibilità dell'aborto su donna consenziente (non già dei limiti eventualmente frapposti alla depenalizzazione dell'aborto stesso); ed anche la motivazione della predetta pronuncia andrebbe riguardata in vista dello specifico problema che la Corte era allora chiamata ad affrontare, per cui non si potrebbe comunque desumerne la necessità di una qualche previsione punitiva. In linea generale, del resto, la tutela del nascituro si presterebbe a venire assicurata senza far ricorso a misure repressive dell'aborto, che oltre tutto sarebbero solo simboliche (come già risulterebbe dalla »sistematica disapplicazione dell'art. 546 C.P. ). Né sarebbe indispensabile che tutti i beni costituzionalmente garantiti di

vengano oggetto di apposite sanzioni penali: - specialmente qualora si tratti - come nel caso in esame - di »incidere sempre più evidentemente in una sfera intima della vita della donna .

In ogni caso, secondo la legge n. 194, l'aborto non potrebbe dirsi »libero , in quanto non sarebbe stato concepito come un »diritto soggettivo bensì come un mero »interesse legittimo , »solo casualmente ed eventualmente protetto , allorché ricorranno tutti i presupposti indicati dalla legge stessa. Proprio in tal senso, però, una violazione delle norme costituzionali concernenti i diritti della donna potrebbe se mai prospettarsi nella parte in cui la legge n. 194 priverebbe le interessate di ogni »utile e tempestiva forma di tutela giurisdizionale , mettendo in dubbio finanche l'interesse legittimo ad abortire e pregiudicando in vario senso »la praticabilità dell'aborto : il quale verrebbe, pertanto, rigettato nella clandestinità. Di conseguenza - si afferma il "referendum" promosso dal partito radicale rappresenterebbe »addirittura uno strumento per l'eliminazione di norme incostituzionali .

Al di là dei problemi specifici, la memoria in questione sottolinea comunque la »tassatività delle materie escluse dal "referendum" ai sensi dell'articolo 75 Cost.; e critica perciò l'integrazione delle ipotesi costituzionalmente previste, che questa Corte avrebbe operato con la sentenza n. 16 del 1978. La Corte, in effetti, non potrebbe arrogarsi interventi che non fossero di pura e semplice »verifica sul piano giuridico, bensì di »accettazione delle iniziative referendarie; così procedendo, ne discenderebbe l'autoattribuzione di poteri non previsti da alcuna norma, né costituzionale né legislativa ordinaria, con il rischio di trasformare il sindacato sull'ammissibilità delle richieste di "referendum" in un sindacato preventivo sulla legittimità delle abrogazioni cui potrebbero dar adito le richieste medesime. D'altronde, proprio in tema di aborto, la sentenza n. 251 del 1975 avrebbe già escluso che, nell'accertare l'ammissibilità del "referendum", la Corte possa valutare la stessa legittimità delle modi

fiche normative suscettibili di derivarne.

Dopo aver accennato alle ragioni della richiesta in esame, con particolare riguardo agli articoli 1 e 12 della legge n. 194, la memoria conclude insistendo nelle considerazioni - già in occasione del previo giudizio di legittimità, spettante all'Ufficio centrale per il "referendum" - per cui nulla escluderebbe l'ammissibilità di molteplici e contemporanee richieste referendarie, sebbene concernenti una medesima legge.

b) Premesso che l'effettuazione di varie consultazioni referendarie aventi per oggetto la legge n. 194 del 1978 non colliderebbe affatto con il principio della sovranità popolare (e sarebbe in ogni caso imposta dall'esigenza di non alterare le regole del procedimento già in corso), il comitato promotore del "referendum" c.d. massimale del »movimento per la vita , prospetta tuttavia, »per tuziorismo , una serie di eccezioni riguardanti quello che viene definito il »"referendum" radicale sull'aborto . In quanto ispirato ad una »totale indifferenza ... rispetto all'aborto nei primi tre mesi , tale "referendum" lederebbe il »fondamento costituzionale della tutela del concepito, già riconosciuto dalla sentenza n. 27 del 1975, con cui la Corte avrebbe stabilito la necessità di un serio accertamento delle condizioni atte a giustificare l'interruzione della gravidanza. D'altra parte - si aggiunge - non si potrebbe richiamare, a favore dell'ammissibilità di consultazioni del genere, la sentenza n. 251 del 1975, che

dichiarò ammissibile il "referendum" per l'abrogazione degli articoli 546-555 cod. pen.: in quel caso, difatti, il "referendum" tendeva alla riforma del codice penale, mentre nel caso in esame lo scopo consisterebbe nella »pura e semplice abrogazione delle norme vigenti.

Dopo aver insistito sull'indispensabile tutela del nascituro sin dall'atto del concepimento, la memoria in esame sottolinea però che la legge n. 194 non risponderebbe, nel complesso delle sue disposizioni, ai precetti della Costituzione; ma ritiene pur sempre inammissibile il "referendum" »radicale - comunque la Corte risolva le questioni di legittimità costituzionale della legge medesima, attualmente sottoposte al suo giudizio - perché esso intenderebbe abrogare le stesse disposizioni più fondamentali, a cominciare dall'articolo 1 della legge, che invece »sviluppano principi costituzionali . Del resto, dovrebbe pur sempre concludersi che il principio ispiratore di tale "referendum" »conflitta con la costituzione più intensamente della legge n. 194.

Per contro, la memoria afferma l'ammissibilità del "referendum" »massimale : sia perché la Corte dovrebbe cogliere l'occasione per rimeditare gli assunti della sentenza n. 27 del 1975, riconoscendo che la vita del concepito non può »valere meno della salute della madre ; sia perché, in ogni caso, la legge n. 194, pur modificata nel senso voluto dai promotori del "referendum" in questione, infliggerebbe »pene estremamente miti, praticamente simboliche , e dunque ben diverse da quelle già previste nel codice penale, in considerazione delle quali la Corte avrebbe allora adottato quella decisione di parziale accoglimento.

c) La memoria concernente il "referendum" c.d. minimale, proposto dal »movimento per la vita , esordisce anch'essa valutando se i tre "referendum" in esame siano ammissibili, nella ipotesi di una loro »contemporanea esecuzione . Nella memoria si riafferma, da un lato, l'inammissibilità del "referendum" »radicale e, d'altro lato, l'ammissibilità del "referendum" c.d. massimale. Tuttavia, si contesta che la Corte possa, in sede di giudizio sull'ammissibilità - e dunque in applicazione dell'articolo 33 della legge n. 352 del 1970 - ritenere rilevanti questioni di legittimità costituzionale »attinenti alla organizzazione della fase successiva del procedimento referendario (e, meno ancora, questioni relative alla fase precedente, vale a dire all'articolo 32 l. cit., già applicato dalla Corte di cassazione). D'altronde, tali questioni potrebbero venire sollevate a suo tempo quando i loro presupposti »si fossero verificati , in conseguenza dell'effettuazione dei tre "referendum".

La memoria in esame esclude, comunque, che la legge n. 352 del 1970 abbia mancato di prevedere »la possibilità di più "referendum" concorrenti ; il contrario sarebbe dimostrato dagli articoli 30, secondo comma (quanto alle richieste parallelamente avanzate da vari Consigli regionali), e 32 della legge medesima (quanto all'eventuale concentrazione dei quesiti). Del resto, l'articolo 34 della legge non vieterebbe »un voto plurimo di più domeniche successive , malgrado l'opportunità di svolgere le varie operazioni in un medesimo giorno, anche per non introdurre nelle consultazioni »un elemento di casualità e per non determinare alcun »effetto preclusivo . Né avrebbero peso gli inconvenienti prospettati dall'Ufficio centrale per il "referendum", altro essendo le »difficoltà politiche inerenti alla contemporanea effettuazione di più consultazioni, altro gli ostacoli di ordine giuridico. Le ordinanze dell'Ufficio centrale trascurerebbero, poi, »che il sistema democratico si fonda sulla fiducia nelle capacità int

ellettive del popolo , la cui sovranità verrebbe anzi esaltata da una pluralità di quesiti (e non terrebbero conto dell'ovvio »elemento di distinzione , costituito dal diverso colore delle schede). Concretamente, l'ipotesi di una »contemporanea vittoria di più "referendum" contrapposti sarebbe dunque »di pura fantasia ; e la correzione di »eventuali anomalie resterebbe pur sempre affidata al Parlamento. Ciò sarebbe tanto più vero per i due "referendum" proposti dal »movimento per la vita , in quanto il loro sarebbe un rapporto di »coerenza logica , tale da escludere a priori un »risultato indecifrabile del voto.

Con riferimento specifico al "referendum" »minimale , la memoria ne sostiene l'ammissibilità, in quanto esso non chiederebbe »l'abrogazione delle norme che danno rilievo alla salute della madre . Né si opporrebbe la considerazione che il "referendum" minimale indice sulla tutela della »salute psichica , perché la legge n. 194 avrebbe operato - in questa parte - uno »snaturamento del concetto di salute , in vista di una »qualsiasi gravidanza non desiderata . Non a caso, il dispositivo della sentenza n. 27 del 1975 tratterebbe di »salute in generale e la salute »fisica comprenderebbe pur sempre le »affezioni attinenti alia sfera cerebrale .

Conclusivamente, la memoria dà atto che il "referendum" minimale si riflette sulle stesse circostanze giustificative dell'aborto agli effetti penali. Ma, anche in tal senso, essa afferma che »il potere abrogativo del popolo non può ritenersi meno esteso del potere abrogativo del Parlamento .

d) Quanto infine alla memoria depositata dall'Avvocatura dello Stato, nella parte concernente le tre richieste in esame, essa rileva - per un primo verso - che le ordinanze dell'Ufficio centrale per il "referendum" farebbero chiaro riferimento a questa Corte, là dove si ipotizza che venga sollevata questione di legittimità costituzionale relativa alle carenze della legge n. 352 del 1970. Per un altro verso, le memorie aggiunge che, nel valutare l'ammissibilità delle singole richieste, dovrebbero farsi valere i principi già affermati dalla Corte nella sentenza n. 27 del 1975, circa la necessaria tutela sia del concepito sia della salute della madre e circa i »serii accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire nella gestazione .

4. - Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'articolo 33, terzo comma, della legge n. 352 del 1970 - nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati uditi l'avv. Mauro Mellini, per il comitato promotore del "referendum" c.d. radicale, avv. Francesco Migliori e Marcello Gallo per i comitati promotori dei "referendum" c.d. massimale e c.d. minimale promossi dal »movimento per la vita , nonché il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio ministri.

"Considerato in diritto":

1. - I giudizi sull'ammissibilità delle tre richieste referendarie (»radicale , »massimale e »minimale descritte in narrativa nonché nel seguito della presente sentenza) vanno riuniti e congiuntamente decisi, malgrado l'Ufficio centrale per il "referendum" abbia dovuto mantenere distinte le richieste stesse, anziché concentrarle. Oltre ad avere per oggetto l'abrogazione parziale di una medesima fonte legislativa, coinvolgendo in più punti le medesime disposizioni (come quelle contenute negli articoli 4, 5, 8, 12, 13, 14 della legge 22 maggio 1978, n. 194), le tre richieste suscitano infatti una serie di problemi comuni o almeno interferenti: sia relativi al procedimento referendario, in vista di un contemporaneo svolgimento di vari "referendum", miranti a realizzare - ma con finalità diverse o addirittura opposte - effetti abrogativi suscettibili di sovrapporsi o sommarsi: sia concernenti i peculiari limiti di ammissibilità, che "referendum" del genere potrebbero in ipotesi incontrare.

2. - Nel dichiarare legittime le richieste in esame, le rispettive ordinanze dell'Ufficio centrale per il "referendum" hanno tutte insistito sugli inconvenienti e sui dubbi di legittimità costituzionale, cui darebbe luogo la legge 25 maggio 1970, n. 352, non avendo previsto l'ipotesi concretata dai tre "referendum" per la parziale abrogazione della legge n. 194: là dove l'antitesi o il divario comunque riscontrabili fra più richieste così concorrenti non consentissero di provvedere alla concentrazione (in base all'articolo 32, quarto e sesto comma, della legge n. 352 del 1970), rimarrebbe cioè insoddisfatta l'esigenza di evitare che le consultazioni referendarie determinino esiti incerti o contraddittori o perfino indecifrabili, compromettendo - prima ancora - la stessa libertà di voto dei singoli elettori. Ora, la parte finale delle tre ordinanze, riconosce l'irrilevanza di simili questioni ai fini dei giudizi spettanti all'Ufficio centrale, ma lascia espressamente salva l'eventualità »che norme diverse dal

l'articolo 32 della legge n. 352 del 1970 vengano invece impugnate e sindacate - a questi effetti - da parte di »altri organi competenti : con un riferimento che la memoria dell'Avvocatura dello Stato, pur non sollevando alcuna formale eccezione di legittimità, considera chiaramente rivolto a questa Corte.

Nell'ambito degli attuali giudizi, tuttavia, la Corte è chiamata a valutare la sola ammissibilità delle singole richieste referendarie, come dichiarate legittime da parte dell'Ufficio centrale, in applicazione del solo articolo 33, quarto comma, della legge n. 352 del 1970: verificando, cioè, se ognuna di tali richieste non contrasti con le indicazioni dell'articolo 75, secondo comma, Cost. o con altri limiti impliciti del "referendum" abrogativo, già evidenziati dalla sentenza n. 16 del 1978. Non soltanto dalla lettera dell'articolo 33, quarto comma (»la Corte costituzionale ... decide con sentenza ... quali tra le richieste siano ammesse e quali respinte ... ), ma anche e soprattutto dalla stessa natura dei giudizi di ammissibilità si desume con chiarezza che non sarebbe possibile applicare in blocco, costringendo in un'artificiosa unità quesiti referendari autonomi ed inconfondibili, nessuno dei vari criteri di valutazione. In particolar modo, le esigenze di omogeneità, di chiarezza, di non contraddittori

età dei quesiti non avrebbero senso (o assumerebbero significati completamente diversi da quelli che la Corte ha finora tenuto presenti), qualora le richieste non fossero più sindacate una per una, ma venissero prese in esame tutte assieme, in vista della coerenza di questo o di quel risultato complessivo della consultazione. In altre parole, richieste ritenute ammissibili di per se stesse non potrebbero essere respinte dalla Corte per il solo fatto di concorrere tra loro, proponendosi in vario senso od in varie misure l'abrogazione parziale di una medesima legge. Conseguenze del genere sarebbero comunque inaccettabili sul piano costituzionale sia che si decidesse di respingere tutte le richieste concorrenti, producendo in tal modo un effetto di preclusione reciproca; sia che, viceversa, venissero precluse le sole richieste presentate successivamente alla prima, che diverrebbero dunque inammissibili a causa dell'ammissibilità della richiesta precedente.

Certo, la coesistenza di più "referendum" aventi per oggetto la medesima legge rischia di determinare inconvenienti, che sono attenuati ma non eliminati dal loro necessario svolgimento nello stesso giorno (da fissare in base all'articolo 34, primo comma, della legge n. 352 del 1970). Ma i rimedi si affidano, da un lato, alla maturità degli elettori e, d'altro lato, ai futuri interventi del legislatore. Quanto invece alla Corte, ad essa non compete di incidere sulla vigente disciplina del procedimento referendario, là dove si tratti - come nel caso in questione - di optare fra una serie di riforme astrattamente ipotizzabili, nessuna delle quali si dimostri costituzionalmente obbligata.

3. - Secondo l'ordine di presentazione, va presa anzitutto in esame la richiesta »radicale (reg. ref. n. 22).

Per questa come anche per le altre richieste concorrenti, il quesito risulterebbe oscuro ed anzi incomprensibile, se l'elettore dovesse apprezzarlo in vista della sola formula dichiarata legittima dall'Ufficio centrale. Ma tali difficoltà di lettura non sono imputabili ai promotori del "referendum", bensì discendono dallo articolo 27 della legge n. 352 del 1970, quale esso è stato costantemente inteso ed applicato: per cui si è ritenuto che i »termini del quesito si riducano - nel caso di »abrogazione parziale - alla sola indicazione numerica degli articoli sottoposti al voto popolare, mentre l'integrale trascrizione del »testo letterale concerne unicamente le più specifiche »disposizioni di legge da abrogare, comunque contenute in singoli commi degli articoli stessi. E la Corte deve esprimere, anche a questo proposito, il rammarico che non sia stato dato alcun seguito alle sollecitazioni fatte dalla sentenza n. 16 del 1978, circa »l'introduzione delle necessarie garanzie di semplicità, di univocità, di

completezza dei quesiti, presentemente trascurate od ignorate dal legislatore .

Sostanzialmente e complessivamente, tuttavia, la richiesta in questione corrisponde al requisito dell'omogeneità, ponendo agli elettori - secondo la predetta sentenza - »un quesito comune e razionalmente unitario . Le argomentazioni svolte nella memoria del comitato promotore - per cui si tratterebbe di »depenalizzare l'aborto e, principalmente, di far cadere quello che viene definito il »regime amministrativo-monopolistico caratterizzante la legge n. 194 del 1978 - trovano riscontro nella serie degli effetti abrogativi che obiettivamente la richiesta mira a conseguire. Si chiede, infatti, che il corpo elettorale abroghi le dichiarazioni di principio enunciate dall'articolo 1 e coerentemente renda inefficaci l'indicazione delle »circostanze in presenza delle quali l'articolo 4 consente l'interruzione volontaria della gravidanza nei primi novanta giorni, le corrispondenti »procedure di cui all'articolo 5 e le »modalità di cui all'articolo 8; quanto invece al successivo periodo di gravidanza, la richiesta

non incide sulle »circostanze indicate dall'articolo 6 (salvo lo specifico riferimento ai processi patologici »relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro ), ma investe anche in tal fase le »procedure di cui all'articolo 7, nonché i richiami agli articoli dei quali si prospetta l'abrogazione, contenuti negli articoli 9 e 10; del pari, vengono coinvolti nel quesito i referti medici imposti dal primo comma dell'articolo 11, le »modalità che gli articoli 12 e 13 prevedono per le minori di diciotto anni e per le donne inferme di mente, le informazioni che il medico è tenuto a fornire alla donna in virtù dell'articolo 14, le corrispondenti sanzioni penali disposte dall'articolo 19, nonché dal terzo comma dell'articolo 22. In definitiva, dunque, attraverso questa somma di effetti abrogativi il "referendum" »radicale si propone di sopprimere tutti i procedimenti, gli adempimenti e i controlli di tipo amministrativo (od anche giurisdizionale), che attualmente si riferiscono all'interruzione volo

ntaria della gravidanza, come pure tutte le sanzioni per l'inosservanza delle »modalità configurate dalla legge n. 194 .

Precisamente in tal senso, però, l'ammissibilità del "referendum" »radicale è stata variamente messa in dubbio, poiché l'abrogazione così progettata risulterebbe costituzionalmente illegittima. Vero è che la legge n. 194 del 1978 rientra fra le leggi ordinarie, non già fra le leggi costituzionali o comunque rinforzate. Per altro, la memoria dell'Avvocatura dello Stato osserva che la Corte dovrebbe verificare la conformità degli effetti abrogativi, derivanti - in ipotesi - dall'approvazione della richiesta in esame, con i principi affermati dalla Corte stessa, nella sentenza n. 27 del 1975: vale a dire, con il »fondamento costituzionale spettante alla »tutela del concepito e con il conseguente obbligo che il legislatore predisponga »le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza serii accertamenti sulla realtà e la gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire nella gestazione . Sul medesimo piano, ma più recisamente, nel giudizio relativo alla richiest

a »minimale quel comitato promotore nega - per il fine tuzioristico ricordato in narrativa - che da un "referendum" abrogativo possa validamente derivare la »totale irrilevanza giuridica dell'aborto nei primi tre mesi di gravidanza, ossia l'affermazione completa... della libertà di aborto, con una totale contestazione del diritto alla vita del concepito ; mentre il comitato promotore della richiesta »massimale insiste a sua volta nell'assunto che la proposta »radicale produrrebbe, qualora approvata dal corpo elettorale, un »insanabile contrasto con svariate norme costituzionali (dagli articoli 2 e 32, secondo comma, fino agli articoli 3, secondo comma, 30, primo e secondo comma, 32, primo comma, e 37, primo comma).

Ma una tale impostazione del problema non appare corretta ed è in ogni caso difforme dai criteri che la Corte ha finora seguito nel valutare l'ammissibilità dei "referendum" abrogativi. Per negare che determinate richieste referendarie siano ammissibili, non rileva che l'approvazione di esse darebbe luogo ad effetti incostituzionali sia nel senso di determinare vuoti, suscettibili di ripercuotersi sull'operatività di qualche parte della Costituzione; sia nel senso di privare della necessaria garanzia situazioni costituzionalmente protette. Ciò è tanto meno vero in quanto il legislatore ordinario potrebbe intervenire, dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, anche prima del prodursi dell'effetto abrogativo (nell'ipotesi che si ritardasse »l'entrata in vigore della abrogazione , per il tempo fissato dall'articolo 37, terzo comma, della legge n. 352 del 1970).

In realtà, perché sotto questo profilo sia dato impedire lo svolgimento di un "referendum", occorre che il voto popolare coinvolga la Costituzione stessa (ovvero fonti normative equiparate, ai sensi dell'articolo 75 Cost.), anziché incidere sulle sole disposizioni legislative ordinarie formalmente indicate nel quesito. Più di preciso, occorre che la legge ordinaria da abrogare incorpori determinati principi o disposti costituzionali, riproducendone i contenuti o concretandoli nel solo modo costituzionalmente consentito (anche nel senso di apprestare quel minimo di tutela che determinate situazioni esigano secondo Costituzione); sicché di "referendum", attraverso la proposta mirante a privare di efficacia quella legge, tenda in effetti ad investire la corrispondente parte della Costituzione stessa. Appunto in questi limitati termini la Corte ha sostenuto - nella sentenza n. 16 del 1978 - l'inammissibilità dei »"referendum" aventi per oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vi

ncolato : senza dunque confondere l'ambito dei giudizi sull'ammissibilità delle richieste referendarie con quello dei giudizi sulla legittimità costituzionale delle leggi (come già precisato dalla sentenza n. 251 del 1975 e come riaffermato dalla sentenza n. 24 di quest'anno).

Ora, tutto ciò non si verifica per quelle disposizioni della legge n. 194 del 1978, sulle quali verte la richiesta »radicale . Nel loro complesso, tali disposizioni sono il frutto di scelte discrezionali del legislatore ordinario: così poco imposte o necessitate dal punto di vista costituzionale, che tanto da parte »radicale quanto dal movimento per la vita ne viene messa in dubbio la legittimità. Né giova replicare che alcuni fra i disposti stessi darebbero puntuale attuazione al principio del bilanciamento degli interessi costituzionalmente garantiti in tema d'interruzione volontaria della gravidanza (quali dovrebbero desumersi dagli articoli 2, 31 e 32 Cost.), su cui la Corte ha fondato la sentenza n. 27 del 1975: come nel caso dell'articolo 1 della legge n. 194, là dove si afferma che »lo Stato... riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio ; o come anche nel caso dell'articolo 4, là dove l'aborto è consentito, ma in vista di un »serio pericolo per la ... salute fi

sica o psichica della gestante. Sarebbe infatti arbitrario isolare simili disposti dal contesto normativo in cui si collocano, per trarne un qualche contenuto costituzionalmente vincolato. Quanto all'articolo 1, pur senza ridurlo ad un mero »cappello declamatorio (come vorrebbe la memoria relativa alla richiesta »radicale ), è chiaro che le sue proclamazioni non possono venir considerate per sé sole, senza ricollegarle alle opzioni effettuate dal legislatore nel configurare l'intero complesso delle norme - discrezionalmente stabilite - sull'interruzione volontaria della gravidanza; e lo stesso vale per l'articolo 4, che va comunque letto per intero, senza ignorare il rilievo attribuito alla volontà della gestante, nell'ambito delle »procedure previste dall'articolo 5.

Conclusivamente, la richiesta »radicale non ha per oggetto che una serie di disposizioni contenute in una legge ordinaria, l'eventuale abrogazione delle quali non si ripercuote sul principio costituzionale del bilancio degli interessi concorrenti in materia e nemmeno sugli obblighi che ne possano discendere per il legislatore. Su questa base, la Corte deve dunque dichiarare ammissibile la richiesta stessa.

4. - La richiesta »massimale (reg. ord. n. 23) prospetta a sua volta l'abrogazione della legge n. 194 del 1978, nell'intera parte in cui si disciplina e si consente - a certe condizioni - l'interruzione volontaria della gravidanza.

La proposta abrogativa coinvolge, cioè, le »circostanze previste dagli articoli 4 e 6, tanto per il primo quanto per il secondo periodo di gravidanza; e parallelamente investe le »procedure e le »modalità di cui agli articoli 5, 7 ed 8, l'»obiezione di coscienza del personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, come regolata dall'articolo 9, i relativi compiti che l'articolo 10 assegna alle Regioni ed alle istituzioni sanitarie, i referti medici imposti dall'articolo 11, le speciali »modalità configurate dagli articoli 12 e 13, circa le minori di diciotto anni e circa le donne interdette per infermità di mente, »le informazioni e le indicazioni di cui all'articolo 14, l'aggiornamento dei sanitari e degli ausiliari interessati, nei termini previsti dall'articolo 15. In contrapposto alla richiesta »radicale , si tende però ad allargare la sfera dell'illecito, sino a farla coincidere - in sostanza - con quella già determinata dal codice penale del 1930 (anche se viene promossa la soppressione d

elle particolari ipotesi criminose di cui al terzo, quarto, quinto e settimo comma dell'articolo 19, nonché agli interi disposti degli articoli 20 e 21). Mediante l'abrogazione dell'inciso che nel primo comma dell'articolo 19 riguarda »l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8 , si mira infatti ad una integrale ridefinizione di quella figura di reato: la cui fattispecie non sarebbe più rappresentata - una volta intervenuto l'effetto abrogativo - dall'aver omesso di seguire le »modalità prescritte, bensì dall'avere comunque cagionato l'interruzione volontaria della gravidanza (al pari di ciò che disponeva - pur grave sanzione comminata - il primo comma dell'articolo 546 cod. pen.). Così ricostruita, tuttavia, la richiesta corrispondente al requisito dell'omogeneità, in quanto sorretta da un criterio ispiratore fondamentalmente comune (malgrado la prevista abrogazione dell'intero articolo 15, sia nella parte concernente le »tecniche ... per l'interruzione della gravidanza , sia nella parte che

attiene ad altre forme di aggiornamento professionale).

La principale questione di ammissibilità, suscitata dalla richiesta »massimale , riguarda invece la completa abrogazione dell'articolo 6: vale a dire la proposta che sia resa inefficace la stessa previsione dell'aborto terapeutico, da praticarsi »quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita , oppure »quando siano accertati processi patologici ..., che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna . L'articolo 6 della legge n. 194 del 1978 - considerato non già nei suoi dettagli, bensì nel suo contenuto normativo essenziale - ha dato infatti attuazione al primo comma dell'articolo 32 Cost. (per cui »la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività ), in tema d'interruzione volontaria della gravidanza: dettando una disciplina che fondamentalmente si adegua, per ciò che riguarda la tutela del diritto alla salute della gestante, a quella risultante dal dispositivo della sentenza n. 27 del 1975 (dove si »

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre ). Per contro, la richiesta »massimale tende non solo a sopprimere l'articolo 6, ma anche a restaurare - come già si è notato, trattando dell'articolo 19, primo comma - una disciplina penale il cui precetto appare identico a quello annullato dalla predetta decisione della Corte.

Nelle deduzioni svolte per il comitato promotore della richiesta in esame, si risponde che gli assunti della sentenza n. 27 del 1975 dovrebbero essere rimediati dalla Corte; e che, in ogni caso, l'abrogazione dell'articolo 6 della legge n. 194 del 1978 potrebbe trovare rimedio attraverso una larga applicazione della scriminante dello stato di necessità, prevista dall'articolo 54 cod. pen. Senonché il richiamo dell'articolo 54 non è risolutivo. L'argomento è stato infatti esaminato e respinto dalla sentenza n. 27 del 1975, là dove la Corte ha chiarito che »la condizione della donna gestante è del tutto particolare e non trova adeguata tutela in una norma di carattere generale come l'articolo 54 c.p. che esige non soltanto la gravità e l'assoluta inevitabilità del danno o del pericolo, ma anche la sua attualità, mentre il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre immediato ; ed ha aggiunto che »la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventar

e non può farsi prevalere né sul diritto alla vita né sul diritto alla salute »proprio di chi è già persona, come la madre . Con questo fondamento, s'è allora affermata la necessità di introdurre una scriminante specifica, e si è ritenuto che dall'articolo 32 della Costituzione derivasse in tal senso un obbligo così stringente, da rendere indispensabile una decisione di accoglimento che ha modificato il precetto di una norma penale. Ora, la Corte è dell'avviso che quella necessità sussista, anche agli effetti del presente giudizio: con la conseguenza che l'articolo 6 della legge n. 194, in quanto tutela non soltanto la vita ma anche la salute, non può esser ricondotto ad una scelta discrezionale del legislatore ordinario, ma rappresenta nel suo contenuto essenziale una norma costituzionalmente imposta dall'articolo 32.

Di qui si ricava che l'intera richiesta »massimale va dichiarata inammissibile; mentre rimane assorbita l'ulteriore questione di ammissibilità, che potrebbe porsi in relazione all'articolo 19, primo comma, per l'effetto creativo di una fattispecie penale affatto nuova che la richiesta tenderebbe in sostanza a produrre, sotto specie di abrogazione parziale di una vigente figura di reato.

5. - Quanto alla richiesta »minimale (reg. ref. n. 24), il quesito che essa prospetta agli elettori può essere così sintetizzato: volete che sia abrogata ogni circostanza giustificativa ed ogni modalità dell'interruzione volontaria della gravidanza, quali sono previste dalla legge n. 194 del 1978, fatta eccezione per l'aborto terapeutico?

Al pari della richiesta »massimale , qui pure si propone di abrogare le »circostanze configurate dall'articolo 4 e le »procedure prescritte dall'articolo 5, relativamente ai primi novanta giorni di gravidanza (nonché l'intero testo degli articoli 8, 12, 13, 14 e 15). Viceversa, non vengono investite le disposizioni dell'articolo 6 (né le connesse »procedure o »modalità prescritte dall'articolo 7), salvo l'inciso riguardante le »rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro , nonché il riferimento alla salute »psichica della gestante; ed anzi si prevede che tali disposizioni riguardino l'intero periodo di gravidanza, per effetto dell'abrogazione delle parole »dopo i primi novanta giorni . Il conseguente problema delle relative sanzioni penali, oggi risolto per mezzo di statuizioni diverse, in vista del primo o del secondo periodo di gestazione, viene infine, affrontato attraverso una parziale abrogazione dell'articolo 19, primo comma (cui si aggiunge l'abrogazione totale del terzo, quarto, quinto e se

ttimo comma); senza però configurare un nuovo tipo di reato, ma sostanzialmente mantenendo la fattispecie incriminatrice del terzo e quarto comma, attraverso la soppressione del richiamo degli articoli 5 ed 8, operato nel primo comma. In questi termini, dunque, anche la richiesta »minimale si rivolse in un quesito sufficientemente omogeneo.

D'altra parte non regge la tesi che il "referendum" in esame tenda ad abrogare disposizioni legislative ordinarie aventi un contenuto costituzionalmente vincolato (alla stregua della sentenza n. 27 del 1975). In particolar modo, tale non è il caso di quel passo dell'articolo 6, lettera b), in cui si tutelano distintamente salute »fisica e salute »psichica della gestione. Non rileva in contrario che la sentenza n. 27, del 1975 abbia ritenuto fondata una questione di legittimità costituzionale, posta da un'ordinanza che impugnava l'articolo 546 cod. pen., in quanto rivolto a punire l'aborto di donna consenziente anche quando venisse »accertata la pericolosità della gravidanza : con distinto riferimento al »benessere fisico ed all'»equilibrio psichico della donna stessa. Già in quella sede, a proposito dei »serii accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo , il fattore dell'»equilibrio psichico non è stato preso in specifica e separata considerazione della Corte; tanto è vero che il dispositiv

o della ricordata decisione fa perno sulla »salute della madre , complessivamente intesa.

Da questo stesso angolo visuale va considerata la richiesta »minimale : che appare pertanto ammissibile, anche nella parte in cui propone che si abroghino le parole »o psichica , contenute nella lettera b) dell'articolo 6. Sul piano costituzionale rimane fermo, però, che la salute della gestante dev'essere compiutamente garantita dai gravi pericoli che ogni effettiva malattia, di qualsiasi natura, possa produrre nel corso dell'ulteriore gestazione.

Per questi motivi la Corte costituzionale

1) dichiara ammissibili:

a) la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale della legge 22 maggio 1978, n. 194, iscritta al n. 22 reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 15 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione;

b) la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale della legge 22 maggio 1978, n. 194, iscritta al n. 24 reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 15 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione;

2) dichiara inammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale della legge 22 maggio 1978, n. 194, iscritta al n. 23 reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 15 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione.

 
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