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Vecellio Valter - 28 giugno 1980
Se la stampa tace la penna non firma
Una battaglia parallela a quella referendaria è stata, anche questa volta, la battaglia per l'informazione. E' chiaro: il cittadino firma se è informato.

di Valter Vecellio

SOMMARIO: Preso alla lettera il suggerimento di Marshall Mac Luhan per combattere il terrorismo: ignorare, tacere, non riferire fatti e notizie, black-out assoluto. Ma questa volta il principio non è stato applicato ai terroristi, bensì ai radicali e alle loro proposte di referendum, e a chiunque vi aderisse; e nessuno, tra i giornalisti, gli "opinion maker", o nei comitati di redazione ha trovato niente da ridire. E' completamente venuto meno il principio einaudiano "conoscere per deliberare". Ancora una volta i giornalisti sono venuti meno alla lora funzione di informatori di quello che accade, comportandosi piuttosto come valletti di un potere che ordina loro quel che è opportuno riferire e quel che risulta sgradito. La campagna referendaria non avrebbe conseguito, probabilmente successo alcuno senza l'apporto decisivo delle "Radio radicali": attraverso i fili diretti, non solo ha sopperito alla mancanza d'informazione, ma ha garantito il coordinamento dei militanti impegnati nella raccolta delle firme. M

a a parte questo, ci si avvicina rapidamente al monda da incubo del "Grande Fratello" descritto da George Orwell nel suo "Looking back at Spanish civil war". Ed è amaro constatare che tanti lucidi amici e compagni non trovino altro da rilevare se non che i radicali sono eccessivi. Questa ignavia dovrebbe essere fonte della maggiore inquitudine.

(NOTIZIE RADICALI N. 32, 28 giungo 1980)

Hanno preso alla lettera il suggerimento di Marshall Mac Luhan, per combattere il terrorismo: ignorare, tacere, non riferire fatti e notizie, black-out assoluto. Solo che quando si è ipotizzato di usare questo sistema per combattere il terrorismo, tutti, giornalisti, "opinion-maker", comitati di redazione e mezzevirgole, esperti del tutto sapendo di nulla e depositari del Sapere, scandalizzati, hanno inveito contro chi, nella sostanza, proponeva la censura, o, nel migliore dei casi, un ritorno all'agenzia Stefani. Nessuno, invece, dei sullodati ha trovato da ridire, sul fatto che la proposta di Mac Luhan veniva applicata nei confronti dei radicali e di quanti con loro, sventurati, avevano aderito al progetto dei referendum.

Allora una prima risposta ai tanti signori professori, anche a noi vicini, che ci rimproverano di aver male o poco compreso il mutamento dei tempi e di aver condotto questa campagna come cosa di "cosa nostra", una prima risposta, dicevo, è qui: è venuta meno, completamente, la pregiudiziale einaudiana del conoscere per deliberare, o, se si vuole, sartoriana, del sapere per agire. E' stato tutto perfettamente comprensibile e logico: non si sapeva, non si agiva. Non sapendo si cosa firmare, non sapendo neppure che si poteva firmare e dove, e quando, oltre perché, la gente non ha risposto. Mentre invece le firme sono arrivate laddove la cortina di censura e disinformazione veniva spezzata e la pratica di dolosa omertà sconfitta.

A dimostrazione che non si tratta di affermazioni destituite di fondamento, c'è il fatto, tangibile, che a sfogliare i moduli di raccolta firme giunti dai comuni e dagli altri luoghi istituzionali ci si rende conto di come questi, per lo più, siano stati aperti verso la metà di maggio. Vale a dire immediatamente dopo un intervento di Marco Pannella in televisione, nell'ambito di una tribuna elettorale. E' bastato in quell'occasione che Pannella, informasse come e dove firmare perché nei giorni successivi, molte centinaia di cittadini, per la prima volta venutene a conoscenza, si recassero a sottoscrivere le richieste di referendum.

Molto vi sarebbe da dire sul comportamento censorio osservato dai mezzi di comunicazione di massa (Rai TV in testa, e via via tutti gli altri, con pochissime, significative eccezioni: il "Messaggero", che ha aderito al referendum, contro le norme fasciste che puniscono l'opinione; "Lotta Continua", che pura discutibilmente, ha pur sempre fornito un minimo l'informazione negataci da tutti gli altri; l'"Avanti", che la pari di "Lotta Continua" ha dedicato uno spazio quotidiano al comitato per i referendum, autogestito). Molto vi sarebbe da dire, ma tutto può esser sintetizzato nell'affermazione che i giornali e i giornalisti sono venuti meno, ancora una volta, alla loro funzione di informatori di quel che accade, comportandosi piuttosto come valletti di un potere che ordina loro quel che è opportuno riferire e quel che invece risulta sgradito.

Così i radicali si sono visti costretti, più d'una volta a ricorrere al comportamento clamoroso, scandaloso. Da più parti, da tempo, si dice che i radicali siano un'immagine, un gesto "esemplare", si riduce il partito ad una sorta di pubblicità. E' anche, probabilmente in parte vero. Guitti istrioni buffoni. Ma a parte che in questo siamo confortati da pareri autorevoli (è o no Pasolini a esortarci nel suo testamento, a "continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari a pretendere, a volere identificarvi col diverso: a scandalizzare; a bestemmiare"?), lo signori, professorini dell'"Unità" e del "Paese Sera", del "Manifesto" e dintorni, sanno, loro, indicarci qualche altra via, elegante e dignitosa, senza dover sporcarci la fronte o senza conferenze stampa a mezzanotte, per dare voce, corpo e sostanza a idee, marginali forse e criticabilissime, ma che in fatto di dignità e legittimità non si capisce perché debbano contare meno dello starnuto dell'onorevole Longo o della strizzata d'occhio dell'onorev

ole Spadolini?

Irritati, narcisisti, mentecatti, commedianti e buffoni, potremmo, forse anche cercare di non esserlo più; assumere i toni austeri e severi dei comunisti, o la spigliata e disinvolta non-chalance, di chi frequenta terrazze romane, d'un Lucio Magri. Ma si è mai vista un'informazione sui radicali che fosse disgiunta dal gesto "clamoroso"?

Capita che muore un papa, ogni volta che su un giornale accade di leggere un'opinione ricevuta e volentieri pubblicata. Non parliamo poi delle interviste o dei servizi informativi: sono tanti Shylock della carta stampata, prodighi solo d'insulti, anatemi, previsioni di nostra futura morte e dissoluzione.

E' stato documentato che la RAI si è comportata in maniera ignobile, da televisione sovietica, sui referendum. E a dirlo, questa volta, non solo gli estremisti incontentabili radicali: ci sono anche Bettino Craxi e Giorgio Benvenuto, vittime loro pure, con il PSI e la UIL, quando hanno deciso di dar corpo e voce al tanto o poco di radicale che era in loro.

Per il 3/4 della campagna di raccolta firme la RAI ha infatti sistematicamente ignorato informazioni, comunicati, notizie, relative ai referendum. Solamente nelle ultime settimane la censura è venuta meno, e i comunisti non hanno perso occasione a dire che la TV era troppo radicale, che Pannella veniva lasciato parlare troppo, e soprattutto si parlava troppo di referendum. La preoccupazione del PCI era pienamente giustificata: non appena ha cominciato a circolare al "voce" che firmare era possibile, la media quotidiana è salita, raddoppiata, e in un terzo del tempo disponibile sono state raccolte la metà delle firme necessarie. E' un dato preoccupante e che in ogni caso ci deve far riflettere: viviamo in un'era in cui la vita e la morte (politica e forse non solo), di un'organizzazione è determinata da quanto e da come la televisione si occupa della stessa.

Così ha torto Checco Zotti nell'irridere come ha fatto su "Lotta Continua" la conferenza stampa che Rippa e Pannella hanno indetto a mezzanotte, sul colle del Quirinale. Ha torto, a scherzarci sopra, anche se chi scrive è convinto che ridere sia qualcosa di liberatorio e dissacrante come ben poco altro. Ha torto perché quella conferenza stampa è stata una cosa tremendamente seria, non tanto e non solo per quel che è stato e non solo per quel che è stato detto e denunciato, quanto, soprattutto, per l'ora e il luogo. E infatti, senza scomodare Umberto Eco, il messaggio lanciato con quella conferenza stampa è perfino banale, tanto è decifrabile.

Sul colle del Quirinale perché, nonostante le sue ricorrenti e spesso gravi gaffes, Pertini è pur sempre l'uomo che incarna l'istituzione che deve custodire la Costituzione, ergersi a sua tutela e difesa. E andare in quel colle, significava rivolgere un appello, un invito al rappresentante del popolo italiano: la Costituzione, i diritti di tutti, vengono, forse irreparabilmente, minacciati, calpestati, vilipesi.

L'aver voluto indire a mezzanotte, la conferenza stampa non è un'altra trovata propagandistica, ma un messaggio anche questo, che non è stato colto nella sua più vasta e autentica portata: significava denunciare che quella notte era l'annuncio di altre, più fosche e lunghe probabili notti, simili a quelle che a fatica ci si è scrollati di dosso, e neppure completamente, a giudicare come vanno le cose. E sbaglia allora Checco Zotti, che ha voluto fare lo spiritoso, su "Lotta Continua", la sua ironia era fuori luogo, inopportuna. Non tanto perché ci ha svillaneggiato (e, riconosciamolo, con una certa "classe"), quanto per aver mostrato di non aver compreso. Discettare se è lui e "LC" a non aver capito o noi radicali ad esserci male spiegati, potrà risultare interessante. Ciò che conta, tuttavia, è quello che emerge: che nonostante tutto, è largo e profondo il fossato che ci separa, che sarà lungo il lavoro per cercare di colmarlo, semmai se ne avrà il tempo (e anche la voglia).

Ecco: un discorso sull'informazione, con tutto quello che ad esso di collega, rischia di esser lungo, e questa non è neppure la sede per farlo: un discorso che ci porta lontano, a cercare di comprendere se siano spuntati o meno i sistemi fino ad ora seguiti nel cercare di giungere al paese con messaggi e analisi politiche nuovi, se la pratica fin qui seguita di trasmettere i nostri messaggi non in alternativa ai mass-media, ma attraverso di essi.

Anche in questo, la campagna dei referendum potrà fornire materia di riflessione. E' pur vero che questa campagna non avrebbe conseguito, probabilmente, successo alcuno senza l'apporto decisivo, delle "Radio Radicali". Messaggi attraverso i mass-media, ne sono stati trasmessi pochi e male. E a giustificazione di ciò non può bastare raccontarci che ci sono pochi radicali che scrivono, e malvolentieri. Il fatto è che è sempre più oneroso strappare "spazi", e anche il gesto "scandaloso" si scontra sempre più spesso in muri di gomma. Nel 1974, intervenendo sul "Corriere della Sera" a proposito di un digiuno di Pannella che durò oltre 80 giorni, Prezzolini ebbe a dire che lui avrebbe fatto fare tranquillamente a Pannella la fine del sindaco di Cork, morto di fame senza che Lloyd George lo accontentasse nelle sue richieste. Temo fortemente, anche se altrettanto fortemente ho voglia di sbagliarmi, che oggi, in molti, come Prezzolini accoglierebbero con indifferenza, se non con gioia malcelata, la notizia di un radi

cale finito come il sindaco di Cork. E allora su questo bisognerà riflettere e pensare, individualmente e collettivamente.

La rete di "Radio Radicali" si sono rivelate in questa campagna un potere eccezionale, capace di determinare il successo o meno della campagna dei referendum, un "qualcosa" di fondamentale per il successo delle iniziative radicali. E' indubbio che il lungo filo diretto che attraverso gli studi di "TeleRoma 56" collegata con le "Radio Radicali" ha non solo sopperito in parte all'informazione negata dai mazzi di comunicazioni "istituzionali", ma ha influito moltissimo anche nell'organizzazione della campagna: attraverso i fili diretti i compagni e i militanti ricevevano notizie, informazioni, sull'andamento della campagna; potevano trarre suggerimenti sul modo di condurla; e i cittadini potevano sapere dove e come firmare, oltre che, telefonando, confrontarsi su questa o quella richiesta di referendum, su questo o quell'argomento.

"Un mondo da incubo, in cui il Capo o la cricca al potere controllano non solo il futuro ma il passato. Se il Capo dice di questo o quest'altro: "Non è mai accaduto, bene, non è mai accaduto", scriveva nel lontano 1943 Orwell, nel suo "Looking Back in the Spanish-Civil War". In questo regno del Grande Fratello ci stiamo velocemente avviando. Ed è amaro constatare che tanti, lucidi amici e compagni a noi vicini, altro non trovino da rilevare se non che siamo eccessivi. Che abbiano cercato di "oscurare la luce" non li preoccupa affatto. E non li sfiora neppure il pensiero che il non esser riusciti a fare completamente buio in questa occasione non significa che non riusciranno prossimamente. Ed è, tutto sommato, questa ignavia, che dovrebbe esser fonte della maggiore inquietudine.

 
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