L'assurda vicenda di Sergio Andreis, obiettore di coscienzadi Valter Vecellio
SOMMARIO: Sergio Andreis, obiettore di coscienza totale, graziato dal Presidente della Repubblica, è ancora in galera: rifiuta il panettone offerto dall'Amministrazione carceraria e viene imputato di disobbedienza. Il nocciolo della questione è la logica dell'istituzione militare e il senso stesso di una "giustizia militare". Tra i dieci referendum, quello per l'abolizione dei tribunali militari è un'iniziativa di altissimo livello costituzionale, intesa a rendere possibile l'attuazione di fondamentali garanzie per tutti i cittadini, compressi quelli alle armi.
(NOTIZIE RADICALI N. 33, 29 giungo 1980)
"Questo è un panettone, lo offre l'amministrazione penitenziaria militare". "Grazie, no, non gradisco, piuttosto voglio scrivere", deve aver detto l'obiettore di coscienza totale, nonviolento e antimilitarista, pacifista integrale Sergio Andreis, detenuto nel lager militare di Gaeta. Così, avuta carta e penna, Andreis ha scritto. E ha scritto quello che vedeva intorno a sé, cioè le condizioni di vita di reclusi e guardie; le caratteristiche del carcere (topi, ragni, ecc.); l'umidità; il freddo; le mitragliatrici puntate dai torrioni; i turni di guardia. La lettera viene intercettata dalla censura, sequestrata. Ma accade che un giornale di Brescia pubblica ugualmente questa testimonianza. Significa "procacciamento di notizie riservate e loro diffusione". Un reato che procura fino a quindici anni di carcere. Al reato di scrittura d'una lettera (peraltro intercettata e censurata), va aggiunto il rifiuto di obbedienza; quando si è soldati, o detenuti, il Motta offerto dall'amministrazione te lo devi ingozzare, s
e no disobbedisci, è reato.
Per un panettone e una lettera Andreis, graziato dal presidente della Repubblica dal reato di "obiezione di coscienza totale" (com'è noto la "magnifica" legge del 1972 prevede solo la sostituzione del servizio militare con uno civile, a patto che si abbiano fondate ragioni religiose o etiche, che una su dieci vengono vagliate da una commissione esaminatrice).
In questi mesi, i radicali hanno cercato di denunciare come hanno potuto la mostruosità della vicenda di Andreis: manifestazioni, conferenze stampa, tribune stampa sui principali quotidiani, impegno diretto del segretario Rippa per ottenere la grazia; assistenza legale; interrogazioni in Parlamento. Con tutto ciò Andreis è ancora in carcere.
I due processi (quello per il rifiuto del panettone e quello per la lettera), erano distinti: li hanno voluti riunire. E hanno rimandato tutto a nuovo ruolo. Il processo inizialmente doveva svolgersi il 29 agosto, ma il 28 abbiamo scoperto che ancora, per non sappiamo quale infernale marchingegno burocratico, il processo non era stato fissato. E intanto Sergio è in carcere, perché gli hanno rifiutato la libertà provvisoria. Non è mica un bojardo di stato, un peculatore di regime; stia ben dentro, hanno detto le eccellenze togate con stellette: se esce, potrebbe alterare le prove, e poi ha una personalità la quale giustifica la detenzione preventiva. Chi lo sa, forse temono che una volta uscito, Sergio avrebbe mangiato il panettone, fatto sparire le prove...
Il fatto è, a dir le cose come sono, che si sta cinicamente consumando un grave atto persecutorio. Un atto che esprime lo spirito di vendetta dell'autorità militare contro la tenacia e il rigore di Andreis, a testimoniare il rifiuto che Andreis incarna, di tutti noi ad ogni regime militare.
Ora non c'è dubbio che il nocciolo della questione è la logica dell'istituzione militare e il senso stesso di una "giustizia militare". Tra i dieci referendum per i quali la passata primavera abbiamo raccolto le firme vi è quello per la smilitarizzazione dei tribunali militari; un'iniziativa ad altissimo livello costituzionale, intesa a rendere possibile l'attuazione di fondamentali garanzie per tutti i cittadini, compresi quelli alle armi.
Ma Andreis non può veramente attendere l'esito del referendum. Va strappato dal carcere di Gaeta molto prima.