Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 25 apr. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Stanzani Sergio - 16 luglio 1980
Caso Donat Cattin: la richiesta di messa in stato di accusa del Presidente del Consiglio Francesco Cossiga
di Sergio Stanzani

COMMISSIONE PARLAMENTARE PER I PROCEDIMENTI Dl ACCUSA

Relazione presentata al Parlamento in seduta comune ai sensi dell'articolo 21 del Regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa sugli atti del procedimento n. 274/VIII concernente il deputato Francesco Cossiga, Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione agli articoli 326 e 378 del codice penale

Relatore: STANZANI GHEDINI, di minoranza

Presentata alle Presidenze delle Camere il 16 luglio 1980

SOMMARIO: La relazione di minoranza del senatore radicale Sergio Stanzani, membro della "commissione inquirente", in ordine al procedimento contro il Presidente del Consiglio Francesco Cossiga per i reati di rivelazione di segreti d'ufficio e di favoreggiamento personale. Cossiga avrebbe confermato al senatore Donat-Cattin, sulla base d'informazioni coperte dal segreto d'ufficio, l'esistenza d'indagini a carico del figlio Marco per reati di terrorismo. Stanzani propone perciò che il Parlamento respinga la relazione di maggioranza della Commissione che ha ritenuto "manifestamente infondata" l'accusa e voti un ordine del giorno per la messa in stato d'accusa del Presidente Cossiga.

(CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA - Doc. I-quater - VIII LEGISLATURA)

1) Per la migliore comprensione delle vicende del procedimento che oggi giunge alla vostra decisione, e allo stesso tempo per una migliore valutazione delle proposte che si formulano in questa relazione, è necessario sottolineare che questo è il primo procedimento d'accusa che viene portato all'esame del Parlamento in seduta comune dopo la modifica della legge 25 gennaio 1962, n. 20 operata con la legge 10 maggio 1978, n. 170.

Per esplicita ammissione dei suoi proponenti, questa modifica fu determinata dalla pendenza di un referendum abrogativo di alcuni articoli della legge 25 gennaio 1962, n. 20, relativi alla Commissione parlamentare inquirente. L'imminenza del referendum aveva spinto le forze politiche della maggioranza della cosiddetta unità nazionale a formulare una nuova legge, con lo scopo come allora si disse di evitare »vuoti legislativi . In realtà ciò che si intendeva evitare era il giudizio dell'elettorato sul funzionamento della Commissione Inquirente e sulle responsabilità della classe politica che, attraverso prassi e meccanismi in contrasto con il dettato costituzionale, aveva creato una sfera di impunità non soltanto per i Ministri ma anche per i loro correi e complici. Non è necessario ricordare la lunga serie di procedimenti conclusi con discusse e discutibili decisioni di »non luogo a procedere , con rinvii e insabbiamenti, con utilizzazioni strumentali che elevavano al rango di reati connessi con reati mi

nisteriali le malefatte di uomini politici di alcuni dei partiti della maggioranza al solo scopo di metterli al riparo del privilegio di una giurisdizione speciale e di sottrarli al giudice ordinario.

Per comprendere le caratteristiche del nuovo procedimento, instaurato con la legge 10 maggio 1978, n. 170, occorre anche tener conto delle modificazioni introdotte al relativo regolamento parlamentare per i giudizi d'accusa e che furono approvate dai due rami del Parlamento nella primavera del 1979, allo spirare della VII legislatura.

L'innovazione centrale avrebbe dovuto essere rappresentata dal cambiamento della natura della Commissione interparlamentare istituita con l'articolo 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1: cioè dalla trasformazione delle funzioni della Commissione da inquirenti a referenti, con una conseguente riduzione dei i suoi poteri decisori. Tuttavia la legge ha conservato, tra le attribuzioni della Commissione, quella di disporre l'archiviazione delle denunzie ad essa pervenute. La Commissione è infatti tenuta a presentare una relazione al Parlamento solo nel caso di denuncia »non manifestamente infondata . Il regolamento parlamentare ha accentuato questo potere e attenuato di conseguenza la caratterizzazione »referente della Commissione, rendendo definitivo il provvedimento di archiviazione quando sia stato adottato con il voto favorevole di almeno 4/5 dei componenti. In questo caso il provvedimento assume natura e produce effetti non diversi da quelli della declaratoria di »non doversi procedere , consen

tita alla Commissione dalla precedente normativa del 1962.

Qualora invece il provvedimento di archiviazione sia adottato con una maggioranza diversa da quella così qualificata, può esserne operata la revoca con la richiesta da parte di almeno un terzo dei componenti dei due rami del Parlamento.

La prassi instauratasi con queste innovazioni normative ha confermato la scarsa incidenza effettiva della conclamata trasformazione della funzione della Commissione (sottolineata anche con il cambiamento della denominazione) in quanto lo strumento dell'archiviazione per manifesta infondatezza si è di fatto sostituito, con un mero cambiamento del "nomen juris"; del provvedimento, alla declaratoria di non doversi procedere. Del resto la stessa legge del 1978, consentendo che il provvedimento di archiviazione fosse possibile non solo "in limine", ma anche a conclusione di indagini non necessariamente sommarie e preliminari, ha posto le premesse per tale sostanziale abuso e distorsione del potere lasciato alla Commissione.

Di conseguenza l'unica reale differenza tra i due ordinamenti è rappresentato essenzialmente dalla diversità dei quorum: quello dei membri del Parlamento necessario per chiedere la revoca dell'archiviazione del procedimento e il suo riesame da parte del Parlamento in seduta comune che è ora di un terzo, mentre prima era necessaria la maggioranza assoluta e quello dei componenti della Commissione necessario per rendere definitiva la decisione di archiviazione che è ora di quattro quinti, mentre prima per rendere definitiva la declaratoria di non doversi procedere erano sufficienti i tre quinti.

La modifica della normativa è intervenuta in una situazione politica in cui l'esistenza di »grandi maggioranze era considerata come una scelta acquisita, di lungo periodo e non contingente, così da rendere, nelle intenzioni dei proponenti e sulla base degli equilibri politici di allora, scarsamente rilevante anche tale innovazione. Si può anzi dire che questa ha I rappresentato una di quelle modifiche dell'ordinamento con le quali le istituzioni si sono venute modellando, soprattutto nel corso della VII legislatura, secondo la logica del compromesso storico e adattandosi ad esso.

A queste considerazioni si deve aggiungere che, per neutralizzare gli scarsi significati innovativi della nuova legge, la Commissione è ricorsa, nella prassi, a un marcato abuso del concetto di manifesta infondatezza che è stato esteso e stravolto allo scopo di continuare ad esercitare I il potere di »assoluzione in istruttoria che alla Commissione stessa era prima attribuito con la declaratoria di »non doversi procedere .

La Commissione per la verità è spesso andata anche oltre: per superare le implicazioni derivanti dalla necessità dei "quorum", è ricorsa all'espediente della declaratoria di incompetenza nel caso in cui una maggioranza semplice di commissari riteneva che il Ministro accusato non dovesse essere considerato il responsabile del fatto a lui addebitato con la denunzia.

Abbiamo così avuto una legge approvata soprattutto al fine di scongiurare il referendum sulle norme del 1962 ed abbiamo avuto dei travisamenti della legge stessa al fine di limitarne ulteriormente la portata innovativa, prima con l'approvazione del nuovo regolamento, e poi con la prassi attuata in Commissione. Tutto ciò ci aiuta a comprendere la genesi anche di questo provvedimento di archiviazione, ora revocato da un terzo dei membri del Parlamento, e ad intendere il vero significato e la portata che nel deliberato della maggioranza della Commissione ha il ricorso al concetto di »manifesta infondatezza , applicato all'addebito mosso al Presidente del Consiglio, professor Francesco Cossiga.

2) L'episodio in questione si riconnette e si inquadra, anche per ciò che riguarda la possibilità di ricondurre i reati che in esso siano riscontrabili a carico del Presidente Cossiga, con quei poteri e quelle funzioni che sono attribuite al Governo e, direttamente o indirettamente al Presidente del Consiglio stesso, dalla speciale normativa che trova nell'articolo 165 ter del codice di procedura penale una fondamentale espressione che ha per oggetto il coordinamento della lotta alla criminalità ed al terrorismo nonché dell'informazione e dei servizi di sicurezza. Responsabile direttamente dei servizi di informazione e di sicurezza, il Presidente del Consiglio, quale capo dell'esecutivo e coordinatore della attività dei ministri, accede all'informazioni che pervengono al Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 165 ter del codice di procedura penale, da parte dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima norma, introdotta con il decreto legge 21 marzo 1978, ha suscitato perplessità e polemiche e ne è stata so

ttolineata la delicatezza estrema anche da chi ne fu propugnatore: essa infatti, stabilendo che il Ministro dell'interno può chiedere all'autorità giudiziaria copia di atti relativi a procedimenti per determinati reati, abbatte un elemento di separazione tra i poteri, conferendo all'esecutivo la possibilità di attingere notizie dagli atti giudiziari, ma anche, ovviamente e di conseguenza, notizie dell'attività dei giudici e dei procedimenti da essi condotti.

E' evidente che l'utilizzazione dei dati così raccolti comporta necessariamente la partecipazione al segreto di organi, uffici eccetera. In particolare tale situazione diviene delicata in considerazione della partecipazione a tale utilizzazione dei servizi di sicurezza, cioè di servizi la cui attività è coperta da tali salvaguardie da conferire alla possibilità di accedere per tal via al segreto dei procedimenti giudiziari connotazioni allarmanti. D'altro canto, il coordinamento dell'informazione, specie nella fase in cui l'accesso alla »banca dei dati non è regolato e la circolazione di essi tra gli organi che abbiano bisogno di attingervi è largamente discrezionale, finisce per conferire all'esecutivo poteri effettivi di condizionamento dell'indirizzo delle istruttorie giudiziarie che abbiano ad oggetto vicende complesse e connessioni intricate con altri procedimenti. Deviazioni e abusi di tali poteri non solo sono possibili ma, in qualche modo, inevitabili. Il segreto sulle notizie possedute per l'eserci

zio di tali facoltà e poteri è di una delicatezza eccezionale.

Per questo la vicenda sottoposta al nostro esame assume una rilevanza politica che va al di là dell'entità del titolo dei reati contestabili, rilevanza che non può non riflettersi, del resto, sul carattere e sulla misura delle responsabilità penali rilevabili nella vicenda stessa.

3) Prima di passare all'esame degli elementi emergenti dagli atti, sono opportune alcune considerazioni generali sulle ipotesi di reato configurabili nei fatti che dobbiamo decidere, siano o meno addebitabili al Presidente Cossiga. Esse sono quelle di »rivelazione di segreti d'ufficio (articolo 326 del codice penale) e di »favoreggiamento personale (articolo 378 del codice penale).

Ambedue questi reati sono stati oggetto recentemente di discussioni e polemiche in relazione all'applicazione che ne è stata fatta in due casi clamorosi. Nel caso Isman Russomanno si è giunti a riconoscere l'ipotesi di concorso in rivelazione di segreto d'ufficio nell'ulteriore divulgazione della notizia da parte del destinatario della rivelazione. Nel caso Rocco Ventre si è giunti ad incriminare un avvocato, per di più con emissione del mandato di cattura, per avere avvertito il suo cliente di un provvedimento di intercettazioni telefoniche già eseguito, nonostante che la legge imponga che del fatto sia data comunicazione giudiziaria all'imputato almeno ,prima della chiusura della istruttoria e nonostante che questa chiusura si fosse già verificata.

Questi episodi vengono evocati non già per suggerire criteri interpretativi analoghi nel caso presente, né per invocare ulteriori e diverse incriminazioni, ma invece, per sottolineare, con la delicatezza e la rilevanza anche politica del caso, la necessità di non cadere in analoghi errori dilatando la portata incriminatrice delle norme in questione attraverso la loro interpretazione, cosa che sembra non si sappia evitare quando si è di fronte a fatti connessi con il fenomeno del terrorismo. Chi è convinto come lo è questo relatore della necessità di condurre la lotta al terrorismo ed alla criminalità sulla base delle leggi ordinarie, a maggior ragione non può ritenere lecite interpretazioni d'occasione delle stesse leggi. Così pure non è lecito, in relazione a crimini terroristici e comunque a reati attinenti al fenomeno del terrorismo, applicare criteri di valutazione delle prove diversi da quelli che devono sempre ispirare la decisione del giudice. Il brocardo medioevale "in atrocissimis delictis et le

viora indicia sufficiunt" è espressione di una civiltà giuridica dalla quale ci diciamo tutti lontani e che tutti proclamiamo essere stata spazzata via già con il trionfo del pensiero del Beccaria e che certamente noi non vorremmo, a nessun costo e in nessuna occasione, veder riaffiorare.

E neppure è lecito, nell'affrontare il problema degli addebiti mossi al Presidente Cossiga, applicare criteri, indirizzi, princìpi e proposte, tuttavia non tradotte in leggi, che pur siano stati sostenuti nella azione politica ed applicati nell'azione di governo dallo stesso Presidente Cossiga. Così sarebbe certamente inconcepibile pretendere, nella configurazione del favoreggiamento di cui si discute, di far valere nei confronti di Cossiga quella dilatazione di tale ipotesi di reato, nei casi in cui il favoreggiato sia appartenente a banda armata, che è contenuta nel progetto di legge, presentato proprio dal Presidente Cossiga (articolo 6 del disegno di legge n. 601) che, attraverso la modifica dell'attuale articolo 307 del codice penale, porta alla punibilità di qualsiasi forma di agevolazione e non solo di quella diretta ad eludere le indagini e le ricerche. Tale progetto, come è noto, dopo la sua approvazione al Senato, è fermo alla Camera dei Deputati che lo aveva rapidamente approvato in Commissione, e

ciò grazie all'ostruzionismo posto in atto dai radicali contro il parallelo decreto legge sulle cosiddette misure urgenti contro il terrorismo.

Il contrasto tra il comportamento che può essere addebitato al Presidente del Consiglio e la politica da lui propugnata per ciò che riguarda il fenomeno del terrorismo è contraddizione rilevante sul piano politico, ma non può in nessun caso indurre a formulare addebiti di carattere penale sulla base di un metro di valutazione che non sia rigorosamente aderente al dettato delle leggi ed ai canoni comunemente accettati della loro interpretazione.

Non solo. Ove sia necessario ricorrere a princìpi generali, a criteri interpretativi, allo spirito di civiltà giuridica cui pure occorre attingere per risolvere correttamente questioni di tanta delicatezza e destinate ad avere così rilevanti riflessi, la relazione si ispirerà esclusivamente alla legislazione ordinaria del nostro paese e non alla congerie delle leggi speciali che si sono andate accumulando negli ultimi tempi, leggi contrastanti con il dettato costituzionale e tali da non garantire neppure la certezza del diritto, così da costituire un corpo estraneo e disarmonico anche nei confronti di una legislazione non certo particolarmente avanzata e scrupolosa rispetto alle garanzie del cittadino quale è quella ordinaria vigente del nostro paese.

Considerazioni siffatte debbono essere tenute presenti ed hanno rilevanza, perché lo stato della questione, così come è sottoposta al Parlamento in seduta comune, impone di far ricorso ad un attento esame degli elementi integrativi dei reati ipotizzabili e ad un corretto criterio di valutazione degli elementi probatori, in difetto di acquisizioni istruttorie, che la Commissione ha, con decisione adottata a maggioranza, deliberato di non effettuare. Queste avrebbero consentito, con ogni probabilità, di disporre di prove di assai più facile valutazione e di ricostruire i fatti in modo che la loro corrispondenza ad ipotesi di reato non desse luogo a problemi di sorta.

Si può tuttavia addivenire, sulla base degli elementi certi ed incontroversi e sulla base delle ulteriori deduzioni che da essi possono trarsi in ordine ad altri fatti e circostanze la cui prova diretta può considerarsi tuttavia controversa, a determinazioni puntuali in ordine alla conclusione dell'inchiesta con la messa in stato di accusa, cioè alla decisione con la quale l'inchiesta stessa è preordinata.

4) Per ciò che riguarda il reato di cui all'articolo 326 del codice penale (rivelazione del segreto d'ufficio) esso si concreta nella comunicazione ad altri, indipendentemente da un'ulteriore qualificazione del fatto derivante da una finalità specifica autonomamente illecita, di una notizia di cui l'agente sia in possesso per ragioni di ufficio e che debba rimanere segreta in forza di disposizioni generali o particolari. L'ulteriore elemento del danno reale o potenziale per l'amministrazione derivante dalla propalazione della notizia occorre solamente quando l'obbligo del segreto non sia specificamente stabilito con norme particolari. Nella specie tale obbligo è espressamente sancito dall'articolo 165 ter del codice penale che, con proposizione del resto pleonastica, dispone che »le copie e le informazioni acquisite... dal Ministro dell'interno a scopo di prevenzione di particolari delitti per la raccolta e l'elaborazione dei dati necessari per le indagini »sono coperte dal segreto d'ufficio . Non v'è dubbi

o che sia da ritenere imposto da una particolare normativa il segreto circa le notizie che possano pervenire al Presidente del Consiglio quale responsabile del servizio di sicurezza, stante il carattere specifico di tale branca dell'Amministrazione e la normativa che la regola.

Ne consegue che la sussistenza del reato di violazione del segreto di ufficio possa essere ipotizzato nella specie, non solo indipendentemente dalla sussistenza di un concorrente reato di favoreggiamento, ma anche indipendentemente dalla idoneità oggettiva della rivelazione della notizia ad agevolare un inquisito e comunque ad arrecare pregiudizio al corso di una indagine.

Così pure il reato di rivelazione di segreto d'ufficio deve ritenersi sussistente anche se la rivelazione avvenga nei confronti di persone che da altra fonte abbia già in tutto o in parte conosciuto la notizia destinata a rimanere segreta. In tal caso la possibilità che la consumazione del reato si realizzi viene meno solo nel caso in cui la notizia, per la propalazione che ne sia stata fatta e per la diffusione e l'attendibilità di tale propalazione, abbia perso oggettivamente ed assolutamente il carattere di segretezza.

Alla luce di tali considerazioni non si vede come, allo stato delle acquisizioni istruttorie e sulla base delle stesse dichiarazioni rese dal Presidente Francesco Cossiga e dal senatore Carlo Donat Cattin, possa disattendersi la fondatezza della sussistenza del reato in questione. E' pacifico infatti che il Presidente del Consiglio quanto meno confermò al senatore Donat-Cattin l'esistenza di indagini a carico del figlio e la notizia pervenuta all'autorità giudiziaria a proposito della partecipazione del figlio ad organizzazioni e fatti terroristici. E si trattò di una conferma certamente non inconcludente e non irrilevante se il senatore Donat Cattin ritenne, dopo averla avuta, di doversi attivamente adoperare per far fronte alla situazione che aveva così conosciuto o della quale aveva avuto conferma.

E' appena il caso di ripetere che il reato in questione non richiede la sussistenza di un dolo specifico, cioè di una volontà diretta ad ottenere con la rivelazione un'ulteriore finalità illecita, essendo sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza e la volontà di rivelare una notizia di ufficio a persona cui la rivelazione non è dovuta per ragioni dell'ufficio stesso, nonché la coscienza del carattere della notizia, coscienza che non può ragionevolmente escludersi nel caso in questione, essendo oltretutto il Presidente Cossiga particolarmente esperto della materia.

Al riguardo va rilevato che l'affermazione del Presidente del Consiglio di non aver detto nulla di concreto e rilevante al senatore Donat Cattin o addirittura di avergli detto il falso per non venir meno al suo dovere di riservatezza, è smentita dalle successive (e sia pur contorte e palesemente reticenti) sue ammissioni. Così lo stesso Presidente ha finito con ammettere che quanto era a sua conoscenza circa la posizione del giovane Donat Cattin non era solo un contenuto di voci e di dati di conoscenza comune, come inizialmente egli aveva cercato di prospettare, ma di precise notizie di ufficio, in particolare relative alla collocazione che Marco Donat Cattin e l'organizzazione di cui faceva parte avevano nella »mappa del terrorismo che al Presidente del Consiglio era stata rappresentata per la sua opera di coordinamento della lotta contro l'eversione. Del resto è semplicemente assurdo ed inverosimile che il Presidente del Consiglio, informato della appartenenza del figlio di un alto esponente politico ad u

na organizzazione terroristica, non assumesse le più ampie e dettagliate notizie al riguardo.

Così non sembra che l'affermazione di non esservi »nulla di specifico rappresenti un dato puramente negativo, un diniego di informazione in risposta alla specifica richiesta, correlata con l'informazione già ricevuta dal senatore Donat Cattin. A prescindere dal fatto che questi intese benissimo il significato della risposta e si regolò in conseguenza, è certo che »non esservi nulla di specifico non significa affatto »non c'è nulla . Significa che vi sono notizie giunte fino al livello ministeriale, che vi sono pertanto indagini, insomma che il giovane era oggetto di investigazioni. Era una conferma, non certo una smentita, della notizia pervenuta al senatore Donat Cattin, attraverso, secondo quanto egli afferma, una lettera anonima. Ma anche quanto vi è di effettivamente negativo nell'affermazione è esso stesso una notizia. La mancanza di specificità con ogni evidenza non riguarda affatto il comportamento addebitato a Marco Donat Cattin oggettivamente considerato o comunque l'oggetto del sospetto e dell'in

dagine: non riguarda quindi il dato oggettivo della conoscenza da parte delle Autorità, quanto lo stadio, la fase della cognizione, le indagini in sé considerate e, quindi, per converso, la posizione del giovane non ancora fatto oggetto di specifici provvedimenti. In altre parole, potrebbe dirsi che »nulla di specifico riguardava l'attività degli inquirenti e non quella dell'inquisito.

E' noto che in effetti questa era la posizione di Marco Donat Cattin in quel momento: il mandato di cattura nei suoi confronti venne spiccato solo successivamente e successivamente vennero formulati addebiti specifici in ordine a singoli episodi di terrorismo.

Se dunque il Presidente Cossiga disse che a carico del figlio del suo interlocutore »non c'era nulla di specifico , non per questo l'informazione ebbe carattere non specifico e quindi irrilevante, tale, come sembra volersi insinuare, da non rappresentare una violazione del segreto d'ufficio, né tanto meno, ovviamente, rappresentò un'affermazione non veritiera.

La notazione culturale introdotta dal Presidente Cossiga nella sua deposizione avanti alla Commissione circa il fatto che egli viene da taluni definito un uomo della Controriforma, se ha, come sembra, riferimento alla nota teoria morale gesuitica sui modi per dire lecitamente il falso teoria mirabilmente caricaturizzata da Pascal nelle »lettere provinciali sembra dunque pertinente per quel che riguarda non questo caso, ma il modo di rispondere al senatore Donat Cattin, solo in ordine all'uso degli strumenti retorici, per altro al contrario utilizzati per rappresentare in termini di apparente reticenza e di inconcludenza, lecite e doverose, la comunicazione della verità, in tal caso illecita.

Tali considerazioni e quelle che più sopra sono state svolte in ordine alla configurazione del reato di rivelazione del segreto d'ufficio, consentono di soprassedere, rinviandone alcuni cenni alla trattazione degli aspetti della vicenda attinenti al reato di favoreggiamento, all'analisi delle contraddizioni esistenti tra la versione dei fatti fornita dal senatore Donat Cattin e la versione, o meglio, le versioni del Presidente Cossiga, e quanto da esse può ricavarsi.

5) Passando ora ad esaminare la questione relativa all'addebito del reato di favoreggiamento, si deve anzitutto rilevare che tale reato può sicuramente consumarsi attraverso informazioni relative allo stato delle indagini ed al grado ed alla dimensione della conoscenza o delle supposizioni da parte degli inquirenti circa la attività dell'inquisito. Potrà sicuramente discutersi sul sistema di coprire col segreto addirittura la sussistenza d'indagine nei confronti dei cittadini e sulla correttezza di prassi che comporta il ritardo e, in pratica, la vanificazione dell'adempimento relativo alla comunicazione giudiziaria concepita come garanzia per chi sia oggetto di indagini, ma è certo che l'informazione ricevuta dall'inquisito per via diversa da quella legalmente regolata e secondo le determinazioni degli inquirenti, circa lo stato, I'oggetto e la stessa sussistenza di indagini sul suo conto comportano un oggettivo aiuto a sottrarsi alle ricerche ed alle indagini stesse, nonché a modificarne il risultato.

Va anche ricordato che, per concretare il reato di favoreggiamento, non è necessario che il favoreggiato realizzi effettivamente, come in effetti è avvenuto per Marco Donat Cattin, il risultato di eludere le investigazioni e di sottrarsi alle ricerche né che utilizzi concretamente ed utilmente l'aiuto ricevuto portando a buon fine le possibilità che con l'aiuto stesso gli sono date, realizzandosi il vantaggio e l'agevolazione nella possibilità stessa di disporre di notizie, mezzi, occasioni idonee al fine.

Così pure va rilevato che per il codice vigente il favoreggiamento, diversamente da quanto era sancito nel codice Zanardelli, può essere realizzato non soltanto nei confronti del colpevole di un reato, ma, purché un reato sia commesso, nei confronti di chiunque sia o possa essere oggetto di investigazioni e di ricerche. A maggior ragione il favoreggiamento sussiste anche quando investigazioni e ricerche siano eluse o s'intendano eludere per pervenire a realizzare una finalità inerente ad una più giusta ed equa conclusione della vicenda, tale oggettivamente o soggettivamente ritenuta, quale riconoscimento dell'innocenza o di attenuanti, il risparmio di una lunga detenzione preventiva, I'esclusione di addebiti ulteriori, di aggravanti, ecc.

Alla luce di tali considerazioni, alcuni elementi probatori carenti o gravemente controversi e molti dei contrasti e delle incongruenze esistenti tra gli elementi stessi emergenti dalle varie deposizioni, possono essere ritenuti non essenziali al fine di stabilire se possa essere formulata una accusa di favoreggiamento, anche se potrebbero essere essenziali per formulare ipotesi diverse e più ampie di configurazione dello stesso reato e comunque per spiegare taluni aspetti sconcertanti di questa vicenda che nell'interesse della giustizia e della chiarezza dei rapporti e dei comportamenti ai vertici delle istituzioni e dell'ambiente politico sarebbe stato non solo opportuno, ma necessario non lasciare inesplorati.

Così al solo fine di comprovare la fondatezza dell'ipotesi del reato di favoreggiamento possono essere accantonati molti punti della deposizione di Roberto Sandalo, ed in particolare le sue dichiarazioni in merito a quanto gli riferì il senatore Donat Cattin circa il contenuto del suo colloquio con il Presidente Cossiga, dichiarazioni che hanno dato luogo in Commissione alle più accese contestazioni.

Al riguardo, per altro, non può tacersi che le argomentazioni con le quali si è inteso liquidare l'attendibilità di tale testimonianza, sottolineando che si tratterebbe di soggetto che si è macchiato di gravi delitti e che è interessato a valersi delle accuse ad altri mosse allo scopo di fruire di vantaggi nella sua attuale posizione, non possono essere pienamente condivise.

Il relatore non può, non solo per la parte politica a cui appartiene, essere sospetto di una acritica predilezione per lo strumento probatorio rappresentato dalla collaborazione alle indagini del cosiddetto »brigatista pentito , la cui efficacia fu particolarmente esaltata all'epoca della discussione della conversione del decreto 15 dicembre 1979, n. 625, che all'articolo 4 assicura al terrorista, il quale si dissoci dai correi e si adoperi per la loro individuazione e la loro cattura, condizioni di particolare favore che, in determinati casi, arrivano all'impunità. In tale occasione questo relatore e la sua parte politica non mancarono ripetutamente di sottolineare come la saggezza della giurisprudenza (che aveva sempre sottolineato essere la chiamata di correo elemento probatorio infido ogni volta che chi la effettua possa attendersi un qualsiasi vantaggio da tale suo comportamento) avrebbe dovuto suscitare perplessità in ordine all'opportunità di stabilire e conclamare in via generale specifiche e drastic

he riduzioni di pena per il delatore dei correi, con il rischio di incentivare chiamate in correità calunniose, tali da creare difficoltà e confusione per il corso della giustizia. Tali considerazioni sono state calorosamente riprese e sostenute in questa occasione, anche da chi allora volle liquidarle con sprezzante noncuranza. Il che dovrebbe far riflettere sul valore illuminante, anche per questioni di principio di generale portata, degli episodi concreti che più da vicino colpiscono chi debba disporre e giudicare in merito. Ma proprio nel caso in esame l'inattendibilità del a terrorista pentito Sandalo non può essere sostenuta con siffatte argomentazioni, giacché le dichiarazioni di cui si discute non hanno il carattere di chiamate di correo, non essendo le dichiarazioni che ci interessano espressioni di una dissociazione dai correi né suscettibili di portare all'individuazione ed alla cattura dei correi stessi, tali non potendo considerarsi i favoreggiatori. D'altro canto, non sembra credibile che un

terrorista deciso a fornire notizie ed a collaborare con la giustizia per guadagnarsi attenuanti ed ingraziarsi gli inquirenti voglia perseguire tale fine inventando accuse proprio contro il Presidente del Consiglio. A meno che non si ipotizzi un complotto con la partecipazione dei giudici ed organi di polizia.

Ciò posto si deve qui ribadire quanto già è stato detto a proposito dei fatti nei quali si configura il reato di rivelazione del segreto di ufficio, per sottolineare che, agli effetti del configurarsi del concorrente reato di favoreggiamento, non è determinante ed anzi non è neppure rilevante il fatto che il Presidente Cossiga abbia o meno suggerito, come il Sandalo asserisce essergli stato riferito dal senatore Donat Cattin, la soluzione dell'espatrio, giacché il favoreggiamento non consiste nel mero suggerimento di sottrarsi alle indagini, ma nell'aiuto che si concreta nel fornire mezzi, anche di conoscenza, idonei a compiere scelte dirette ad eludere investigazioni e ricerche, quali, appunto, la conoscenza dello stato delle indagini stesse e del fatto che l'appartenenza di Marco Donat Cattin ad una formazione terroristica era ormai giunta fino al livello ministeriale, senza che si fosse pervenuti a »qualcosa di specifico .

Così, per converso, non avrebbe rilevanza la circostanza che il Presidente Cossiga avrebbe suggerito la costituzione del giovane Donat Cattin e ciò per quanto già di »generico era a suo carico, come afferma lo stesso Cossiga, o invece, come afferma il senatore Donat Cattin, per la ipotesi che si fosse conosciuto il sopravvenire di qualcosa di »specifico . E ciò sia in considerazione dell'idoneità obiettiva della notizia, fornita al fine proprio cui deve essere diretta l'attività del favoreggiamento, sia perché la notizia era confidata a persona che per il rapporto di parentela con l'inquisito doveva essere propensa a porre in atto quanto nelle sue possibilità per sottrarre il figlio ad investigazioni e ricerche, così come la legge stessa, proprio in considerazione della naturalezza di tale comportamento, non considera punibile il genitore che compia atti di favoreggiamento.

Del resto la qualità del giovane, il suo inserimento in un gruppo eversivo, la lunga assenza di rapporti con il padre e la mancanza di ogni confidenza con questi, facevano sì che, se il senatore Donat Cattin poteva trasmettere al figlio notizie ed avvertimenti, difficilmente poteva essere considerato efficace il suo intervento allo scopo di determinare un allineamento del figlio stesso alla logica della legalità, così che aggiungere ad una notizia utile al fine di sottrarsi alle indagini ed alle ricerche un suggerimento e valersene nel senso di secondare le une e le altre, non poteva essere che un eufemismo, una concessione alla retorica o, addirittura, e più probabilmente una sorta di copertura.

Sulla base delle considerazioni già svolte resta da prendere in esame solamente un ulteriore elemento necessario a configurare il reato di favoreggiamento. Questo, infatti, è un reato »formale che, consumandosi con la mera azione ed indipendentemente dal realizzarsi di un evento, non ammette l'ipotesi del tentativo. Di converso l'azione deve essere ovviamente compiuta con l'effettivo spiegamento dell'aiuto effettivo in favore dell'indiziato, cosicché, ove esso debba concentrarsi nel mettere a disposizione dell'inquisito notizie che gli siano utili per sottrarsi alle investigazioni ed alle ricerche, occorre che le notizie siano effettivamente a lui pervenute, giacché affidare ad un intermediario notizie che, destinate all'inquisito, non pervengano tuttavia a questi per fatti indipendenti dalla volontà dell'agente, concreta un mero atto preparatorio, come tale, penalmente non perseguibile.

Ora, nel caso in questione le notizie affidate al padre dell'inquisito, non potrebbe dirsi, secondo la versione del senatore Donat Cattin, se siano pervenute al figlio perché il Sandalo, cui il senatore si era rivolto per prendere contatto con il figlio, sarebbe stato arrestato prima di essersi potuto accertare del compimento di tale incarico, ma comunque il contatto tra il senatore ed il figlio, anche se dovesse ritenersi mancato attraverso il Sandalo, sarebbe tuttavia avvenuto, a detta dello stesso Sandalo, per altra via, e cioè per il tramite della sorella di Marco Donat-Cattin e del di lei marito. La circostanza, riferita dal Sandalo senza particolari notazioni che possano lasciar supporre che egli potesse attribuire ad essa un particolare valore accusatorio e tanto meno un valore positivo per la sua difesa e tuttavia esposta con ricchezza di particolari e di possibilità di riscontro, non sembra poter essere fondatamente contestata. Del resto, la deposizione del Sandalo al riguardo trova elementi di risc

ontro e almeno parziali conferme ed appare più che verosimile, mentre il diniego del senatore Donat Cattin e delle persone della sua famiglia può ben essere determinato dalla preoccupazione di non coinvolgere altre persone. D'altro canto, se è vero che il fatto che l'informazione indirizzata all'inquisito ed a questi non pervenuta non concreterebbe il reato di favoreggiamento, è pur vero che, la »dispersione dell'azione d'informazione a tal fine certamente rivolta ed inoltrata con mezzi idonei non può essere presa in considerazione senza una positiva prova al riguardo.

Da ultimo non è inutile prendere in considerazione un'ipotesi, che potrebbe in qualche modo esser suggerita da una affermazione fatta dal Presidente del Consiglio durante la sua deposizione. Ci si potrebbe domandare se fornire la notizia sulla posizione del giovane Donat Cattin avrebbe potuto non costituire favoreggiamento in considerazione della inidoneità obiettiva derivata dalla preesistente conoscenza della situazione stessa. Tale tesi, per altro, sarebbe sostenibile solo a condizione di ipotizzare una conoscenza così sicura e dettagliata della situazione suddetta, da togliere alla notizia ogni valore, anche di mera conferma del già conosciuto.

Inoltre occorrerebbe dimostrare la totale falsità della deposizione del senatore Donat Cattin in ordine ai motivi per i quali si rivolse al Presidente del Consiglio ed a quelli per i quali, dopo tale colloquio, si adoperò per i noti contatti con Sandalo.

Va qui osservato, ad esempio, che l'acquisizione della deposizione di Patrizio Peci, completa delle ormai famose pagine mancanti alla copia divenuta di pubblica ragione, avrebbe potuto contribuire a far chiarezza non solo dei punti sopra trattati, ma anche su altri sconcertanti aspetti dell'intera vicenda.

La conoscenza del contenuto di tale deposizione da parte del senatore Donat Cattin al momento del colloquio con il Presidente Cossiga non si può escludere ed anzi ve ne è indizio non labile negli atti. Tale deposizione avrebbe, circa un mese prima di tale colloquio, indicato Marco Donat Cattin quanto meno come un appartenente a banda armata e fornito elementi sufficienti ad una pronta individuazione di Roberto Sandalo come appartenente a Prima Linea e come la persona che aveva fatto il nome di Marco Donat Cattin. L'accertamento di tale circostanza avrebbe potuto consentire di meglio inquadrare la ipotesi della »notizia obiettivamente falsa fornita da Cossiga al senatore, ipotesi lasciata in piedi accortamente dal Presidente del Consiglio nella sua deposizione. A questo proposito si può inoltre sottolineare l'interesse che suscita il particolare del considerevole ritardo nell'emissione di un mandato di cattura sia nei confronti di Sandalo che di Marco Donat-Cattin, cosa che può far pensare all'uso, anche in

questa circostanza, del metodo dell'»esca (rappresentata dal prevenuto lasciato in circolazione allo scopo di compromettere altre persone), il che nel caso in questione non potrebbe non lasciare perplessi.

Pur dovendo procedere, per discutere, a contraddire una mera ipotesi, si deve osservare che quanto sopra detto in ordine al significato del a fatto specifico , la cui »assenza va a nostro avviso individuata nella mancanza di un'imputazione a carico (che nel caso equivale alla mancanza di un mandato di cattura, nella specie obbligatorio) da una parte porta ad escludere che la notizia fornita fosse da considerare falsa, malgrado il contenuto della deposizione Peci, certamente conosciuta dal Presidente Cossiga, malamente reticente a riguardo (è assurdo, ripetiamo, che un Presidente del Consiglio non venga informato con ogni dettaglio); di contro il significato della frase vale ad escludere che la supposta conoscenza del contenuto della deposizione da parte del senatore Donat Cattin comportasse l'inutilità dell'informazione.

Semmai essa ne rafforzerebbe l'utilità, in quanto sarebbe valsa a rassicurare il senatore che, malgrado la deposizione suddetta e la conoscenza da parte dell'Autorità delle note circostanze, non si era ancora provveduto a a qualcosa di specifico nei confronti del giovane Donat Cattin.

6) Quanto sopra si è voluto prendere in considerazione per sottolineare ancora una volta la sufficienza degli elementi raccolti per deliberare una messa in istato di accusa del Presidente del Consiglio Cossiga per entrambi i reati per lui ipotizzati dalla Procura di Torino, arrivando anche a prendere in esame ipotesi ed eventualità che si potrebbero profilare attraverso nuove acquisizioni.

Dobbiamo aggiungere che, peraltro, tali acquisizioni avrebbero potuto consentire di pervenire alla individuazione di nuove ipotesi di reato, oltreché ad un chiarimento di risvolti poco chiari dei precedenti di questa vicenda, che anche episodi clamorosi, verificatisi parallelamente ad essa, avrebbero dovuto indurre ad approfondire e a portare alla luce.

Il difetto di indagini più ampie, del resto, riguarda molti altri aspetti della vicenda.

Tuttavia quanto in atti è già acquisito consente la formulazione di un atto di accusa.

A tal fine non può certo prescindersi da prove complete e puntuali, che valgano a far ritenere i fatti addebitati non solo possibili ma anche assai probabilmente esistenti e commessi dal prevenuto.

Non si richiede tuttavia per la messa in istato di accusa la prova che valga ad assicurare, secondo l'espressione della giurisprudenza anglosassone, la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

Del resto, una volta formulata la messa in istato di accusa e devoluta la questione alla Corte costituzionale, questa ha la facoltà nella fase preliminare di compiere, attraverso l'opera del giudice relatore, atti necessari al completamento dell'istruttoria.

7) Poiché è nella facoltà del Parlamento in seduta comune disporre a maggioranza semplice un supplemento di istruttoria da affidare alla Commissione, si pone il problema se tale provvedimento appaia opportuno e utile.

Non si possono certo sottacere la superficialità e le carenze dell'indagine svolta dalla Commissione, superficialità e carenze la cui gravità si configura con tutta evidenza se si pongono in relazione all'accertamento di circostanze e responsabilità che avrebbero dovuto e potuto chiarire come già si è fatto rilevare i lati oscuri e preoccupanti di una vicenda che tutta si colloca e si inquadra significativamente nella più ampia storia del terrorismo, nei confronti del quale ancora una volta, in concreto, da più parti ci si dimostra più propensi a coprirsi dietro la cortina del silenzio dovuta all'emergenza e ai provvedimenti speciali, anziché tentare di lacerare i veli delle connivenze e delle protezioni di cui, nei fatti, il terrorismo viene a godere.

Non si può pertanto ignorare a questo punto il dovere della Commissione di agire non soltanto nei limiti del »rapporto o della »denuncia ad essa trasmessi, ma anche autonomamente »d'ufficio allorché essa venga a trovarsi di fronte a fatti costituenti reato. Ciò si evince chiaramente dalla disposizione contenuta nell'articolo 13 del Regolamento parlamentare per i procedimenti d'accusa, modificato nella scorsa legislatura dal Parlamento. Ogni diverso comportamento da parte della Commissione porta a configurare, a dir poco, una inammissibile, pericolosa e sospetta omissione.

Anche per tali ragioni questo relatore ha presentato alla Commissione, nel corso del dibattimento, una serie di richieste istruttorie indispensabili al fine di un reale chiarimento della vicenda che presenta indubbi aspetti oscuri. Le richieste sono state le seguenti:

acquisizione della deposizione resa da Patrizio Peci in ordine agli incontri da lui avuti con Roberto Sandalo e alle indicazioni da questi fornite in merito all'attività terroristica di Marco Donat Cattin, con riserva di chiamare a deporre Patrizio Peci e, eventualmente, di porlo a confronto con Roberto Sandalo;

acquisizione di ogni elemento o informazione in possesso della magistratura, della polizia, dei servizi di sicurezza, del Governo su Marco Donat Cattin, antecedenti alla deposizione resa da Patrizio Peci, con riserva di chiamare successivamente a deporre quanti potessero fornire delucidazioni e chiarimenti alla luce di dette acquisizioni;

acquisizione di ogni elemento o informazione in possesso della magistratura della polizia, dei servizi di sicurezza in merito alle circostanze che hanno portato all'arresto di Roberto Sandalo, con l'interrogatorio dei responsabili di detta operazione;

interrogatorio della signora Maria Pia Donat Cattin in Donzelli, con riserva di interrogare anche il di lei marito Carmine Donzelli.

Tali richieste trovano fondamento nelle seguenti circostanze:

il 2 aprile di quest'anno Patrizio Peci in un interrogatorio reso alla magistratura indica quali esponenti di organizzazioni terroristiche Marco Donat Cattin e Roberto Sandalo.

La circostanza, certa, è ricavata dalle affermazioni rese in proposito alla Commissione da Roberto Sandalo. Tuttavia non ci è stato dato di leggere su questo punto le dichiarazioni testuali di Patrizio Peci. E' davvero sintomatico dobbiamo osservare che, mentre i verbali di interrogatorio di Peci sono stati pressoché integralmente riportati dalla stampa nazionale, dando addirittura luogo a procedimenti giudiziari, uno dei quali clamoroso, quelle famose pagine 50 e seguenti in cui Peci parla, guarda caso, proprio di Marco Donat Cattin e di Roberto Sandalo, sono rimaste le uniche coperte dal segreto più assoluto. Segreto per tutti, Commissione compresa, ma non certo per il Ministro dell'interno e il Presidente del Consiglio;

il 21 maggio 1980, l'onorevole Rognoni ha testualmente dichiarato alla Camera dei deputati: »I verbali contenenti le dichiarazioni rese da Patrizio Peci sono stati da me richiesti ed ottenuti in copia dagli uffici istruzione di Torino e di Roma, in base all'articolo 165 ter del codice di procedura penale... ; »Ho consegnato la documentazione al capo della polizia, dottor Coronas, e al capo dell'UCIGOS, dottor De Francisci, per l'adempimento dei compiti di istituto... ; »Naturalmente, come è doveroso, ho provveduto ad informare, per gli aspetti che riguardano la mappa generale del terrorismo, il Presidente del Consiglio, a cui compete per legge non solo il coordinamento della politica generale del Governo, ma anche specificamente la direzione della politica dell'informazione e della sicurezza . Dunque è certo che fin dal 2 aprile 1980 la magistratura, il Governo e i »servizi erano a conoscenza, ove non lo fossero stati prima, di precise indicazioni accusatorie nei confronti dei due giovani;

per il vero non è azzardato, ma anzi si può ritenere fondato, che di Marco Donat Cattin si sia parlato se non altro nell'ambito della polizia o dei servizi e del Governo anche in epoca precedente, se un settimanale a grande diffusione pubblicò la notizia (e il testo) di una intercettazione telefonica partita da una abitazione torinese della famiglia Donat Cattin, riguardante un grave episodio terroristico e se, a questo proposito, il senatore ebbe a rivolgersi al Ministro Rognoni. A prescindere dalla fondatezza della notizia, l'episodio resta pur sempre vero e quanto mai sintomatico alla luce di quanto oggi sappiamo e di quanto la Commissione sapeva, sul ruolo e l'attività svolta da Marco Donat Cattin, come terrorista.

Da tutto ciò, da questi dati non smentiti sorgono spontanee alcune domande.

Cosa è successo dal 2 aprile, data dell'interrogatorio di Peci, al 24 aprile quando Carlo Donat Cattin incontrava il Presidente Cossiga nello studio privato di via S. Claudio ?

E tra il 2 e il 29 aprile, giorno dell'arresto di Roberto Sandalo?

E prima del 2 aprile chi e cosa sapeva dell'attività terroristica di Marco Donat Cattin ?

Cosa hanno fatto in tutto questo tempo la magistratura, la polizia, gli organi preposti all'antiterrorismo e alla »sicurezza ?

Conveniamo dunque che solo allorché questi interrogativi avranno avuto una risposta potrà esprimersi un giudizio più completo su questa vicenda, che potrà consentire certo anche una conferma dei fatti e delle responsabilità già acquisite, ovvero potrà configurare diverse ipotesi di reato con responsabilità ben più gravi del Presidente del Consigli ) ed eventualmente di altri, sia all'interno che all'esterno del Governo. Ad avviso di questo relatore però le ulteriori indagini non debbono costituire comunque un alibi per inconcludenza, che taluno potrebbe voler assicurare ad un dibattito che deve invece pervenire con decisione e fermezza alla sua naturale conclusione. Scopo delle nuove indagini non può quindi essere quel lo di una digressione per ricercare inutili conferme sui fatti già accertati, ma deve essere la risposta agli interrogativi rimasti finora senza esito e che sono tanto più gravi e stimolanti tanto più proterva è stata l'opposizione della Commissione ad affrontarli e chiarirli.

La risposta negativa di fronte all'ipotesi di un supplemento di istruttoria è suggerita essenzialmente, oltre che da quanto sopra esposto in ordine alla sufficienza di elementi atti a formulare e sostenere la messa in stato di accusa, da considerazioni derivanti dall'atteggiamento assunto dalla Commissione non solo in questo episodio, ma nella prassi di molti anni e che si riconnette alle considerazioni svolte in apertura della presente relazione. Del resto appare evidente che l'affidamento di indagini, per quanto ne sia dettagliato il contenuto, ad un organo che già si è pronunciato per la loro superfluità e che ha ritenuto »manifestamente infondata l'accusa al cui ulteriore sostegno le indagini dovrebbero essere indirizzate, non sembra destinata a sortire il miglior successo.

Per questi motivi questo relatore propone che il Parlamento respinga la relazione di maggioranza della Commissione e si augura che sia presentato dal prescritto numero di parlamentari un ordine del giorno per la messa in istato di accusa e che tale atto conferisca al dibattito concretezza d'oggetto e di finalità ed autentiche alternative di sbocchi.

STANZANI GHEDINI, Relatore.

 
Argomenti correlati:
cossiga francesco
donat Cattin marco
giustizia
senato
peci patrizio
ucigos
stampa questo documento invia questa pagina per mail