GUTTUSO DICE A SCIASCIA: NON MI DOVEVI TIRARE IN BALLO: SMENTIRE TE O IL MIO SEGRETARIO, CHE BELLA ALTERNATIVA...REPLICA SCIASCIA: DEVO CHIEDERE SCUSA: PER AVER CREDUTO CHE NEL NOSTRO RAPPORTO DI AMICIZIA VIGESSE IL CODICE DELLA VERITA'
SOMMARIO: Poiché il pittore Guttuso, intervistato da "La Repubblica", si dichiara sorpreso di essere stato chiamato a testimone da Sciascia, comportatosi in tal guisa da "mafioso", Sciascia replica con una lettera al giornale in cui si stupisce che sia stato definito mafioso l'aver chiesto a Guttuso di scegliere tra "smentire" lui oppure il segretario del suo partito, Berlinguer.
(NOTIZIE RADICALI, 1 settembre 1980 - LA REPUBBLICA, 30 agosto - 1 settembre 1980)
Roma 1 settembre '80 - N.R. - La polemica che oppone il deputato radicale e scrittore Leonardo Sciascia e il segretario del PCI, Enrico Berlinguer (scaturita, com'è noto, da una querela di questo nei confronti di quello), si arricchisce d'un nuovo capitolo.
La vicenda, com'è noto, vede tra i protagonisti anche il pittore comunista Renato Guttuso, recentemente intervistato dal quotidiano "La Repubblica". Nel corso dell'intervista, tra l'altro, Guttuso afferma:
"Con Leonardo ci conosciamo da tanti anni, sento molta affezione per lui. Ma ha talmente paura di essere mafioso, che alla fine lo diventa. Non voglio adesso ripescare l'episodio. Però come gli è venuto in mente di mettermi in mezzo, di chiamarmi a testimone. Io dovevo smentire lui o smentire il segretario del mio partito: che bella alternativa. E' una cosa che io nei confronti di un amico non avrei mai fatto".
Prontamente ha replicato Sciascia, in una lettera inviata allo stesso quotidiano.
Sciascia, tra l'altro afferma:
"... La mia mafiosità dunque, consisterebbe nel fatto che io l'ho messo in mezzo, che l'ho chiamato a testimone, che l'ho costretto alla scelta o di smentire me o di smentire il segretario del suo partito. Non passa per la mente a Guttuso che la scelta in cui l'ho posto è quella tra la verità e la menzogna.
Non credo sia necessario aggiungere altro. Dovrei forse, per Guttuso, aggiungere delle scuse: per aver creduto che nel nostro rapporto di amicizia vigesse il codice della verità e non quello della omertà e della falsa testimonianza. Ma - mafiosamente - non me la sento".