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Sciascia Leonardo - 17 settembre 1980
»Anche questo è mafia: aver lasciato tanto solo il procuratore Costa
Intervista a Leonardo Sciascia a cura di Felice Cavallaro

SOMMARIO: L'intervista parte dall'ipotesi di "collegamenti fra il delitto Costa e Giuliano", ambedue legati alla "droga che passa dalla Sicilia". Secondo Sciascia, il procuratore Costa "negli ultimi giorni...deve esere stato molto solo", e questa può essere "una spiegazione dell'omicidio", un delitto commesso dalla mafia per "prevenzione". A differenza di ieri, oggi la mafia colpisce ufficiali dei carabinieri e magistrati perché sa che questi non vengono sostituiti in modo adeguato: è la tesi dei fratelli di Boris Giuliano. Ritiene che un vero controllo antimafia debba cominciare dal controllo dei conti bancari. Lamenta che l'opposizione, sia in Sicilia che in Italia, si sia "smussata". Non condivide la tesi di chi pensa che vi sia "fungibilità" tra mafia e terrorismo, anche se è possibile che Reina e Mattarella siano stati uccisi da un "terrorismo non indigeno ma in trasferta". In generale, però, in Sicilia un "omicidio ideologico" non può aver luogo. Non nutre fiducia negli uomini politici siciliani. Sul t

errorismo, ancora, Sciascia afferma che neanche con il generale Della Chiesa si è affrontato il problema in modo radicale.

(IL GIORNALE DI SICILIA, 17 settembre 1980)

Racalmuto - Leonardo Sciascia crede in un collegamento fra l'assassinio di Boris Giuliano, il capo della Squadra Mobile caduto sul fronte della "Sicilian connection", la via della droga che passa dalla Sicilia, e l'agguato mortale al Procuratore ucciso 10 giorni fa a Palermo, Gaetano Costa, »un uomo lasciato terribilmente solo .

Dell'assassinio del sindaco dc di Castelvetrano, Vito Lipari, non vuol parlare: »Ho appena letto le prime notizie sul giornale, non ho elementi di giudizio .

In una piccola stanza della sua casa di campagna, a Villa Noce, due passi da Racalmuto, Sciascia riflette sui guasti di Palermo, sul cancro che insidia la democrazia in Italia, sugli intrighi e sui delitti, sulle connivenze e sulle complicità passive.

Ricorda l'accusa pesante dei fratelli Giuliano. Era il 21 luglio l'anniversario del delitto. Dissero: »I suoi rapporti sono rimasti a lungo nei cassetti e solo dopo l'omicidio i giudici si sono mossi .

Vengono in mente le vittime innocenti della mafia, la cronaca degli ultimi mesi. Dunque, la mafia uccide chi compie il proprio dovere; ma lo Stato punisce chi insabbia, chi allunga i tempi delle inchieste, chi non fa il proprio dovere?

Subito dopo la polemica dichiarazione dei fratelli Giuliano, Sciascia, deputato radicale, presentò insieme con Egidio Sterpa, liberale e Francesco Martorelli, comunista, una interrogazione per sapere dal ministro di Grazia e Giustizia se non intendeva promuovere un'inchiesta o sollecitare il Consiglio Superiore della Magistratura a farla.

Gli occhi stanchi sulla finestra simile ad un quadro, con quel pino di Villa Noce disegnato sullo sfondo infuocato, Sciascia ha una convinzione: »Credo che l'impressione suscitata in me dalle parole dei fratelli Giuliano sia stata simile a quella del Procuratore Costa e che, nelle ultime settimane, egli si sia mosso per fare qualcosa all'interno della Procura palermitana.

D.: I giornali hanno scritto di collegamenti fra il delitto Costa e Giuliano.

»E verosimile. Mi pare si sia sulla strada buona. Solo che bisogna vedere come sono collegabili .

D.: Si riferisce alla riunione nel corso della quale Costa, in contrasto con alcuni magistrati, decise di firmare i mandati di cattura contro i boss accusati del traffico di droga?

»Uno scrittore americano, Damon Runyon, un umorista, usa un termine mutuato dal gergo della malavita, il dito. Chiama così colui che indica le persone da uccidere, da sequestrare, da rapinare. Credo che in Italia, in ogni ambiente ed in ogni categoria, ci sia un dito; e questo vale anche per certi omicidi del terrorismo. Il dito può funzionare per volontà, consapevolmente, e può funzionare incidentalmente; per esempio, lasciando sola la persona che vuol fare qualcosa .

D.: Si è parlato del Procuratore Costa come uno dei magistrati più "scoperti" al Palazzo di Giustizia di Palermo. Subito dopo quella riunione in Procura, ai giornalisti si lasciò capire che il capo aveva firmato i mandati di cattura d'autorità.

»Sì. Negli ultimi giorni il Procuratore deve essere stato molto solo. Questa può essere una spiegazione dell'omicidio, tenendo presente che la mafia compie dei delitti sempre, dal suo punto di vista, necessari. Non credo agli omicidi di mafia fatti sotto il segno della vendetta o della punizione. Quelli mafiosi sono omicidi di prevenzione. E Costa deve essere ormai un uomo pericoloso .

D.: C'è il rischio che anche questo resti uno dei misteri di Palermo. Sono molti i quesiti inquietanti senza risposta in Sicilia.

»Il magistrato, chiunque svolge un lavoro comunque pericoloso, dovrebbe tenere un diario in cui annotare tutto ciò che nelle carte di ufficio non si può scrivere: sospetti, impressioni, certezze non provabili .

D.: E' possibile che la speranza di trovare quelle risposte si debba legare ad eventuali appunti e non all'azione dello Stato?

»Si dice che la mafia è cambiata. Credo che è cambiato il fronte di opposizione alla mafia. Venti anni fa la mafia non uccideva magistrati e carabinieri non perché avesse delle regole del gioco da rispettare, ma perché quei delitti si presumevano innecessari. In questo senso: ucciso un ufficiale dei carabinieri o un magistrato a loro succedevano un ufficiale dei carabinieri e un magistrato in tutto uguali agli uccisi. Oggi, nella valutazione della mafia, le cose sono certamente cambiate. E, infatti, vediamo che al posto del capo della Mobile non c'è un altro funzionario di polizia che agisce come Giuliano .

D.: Il ministro degli Interni Rognoni dice il contrario, dice che l'inchiesta avviata da Giuliano è andata avanti.

»I fratelli Giuliano dicono il contrario .

D.: C'è un giudice che ha raccolto il suggerimento del Procuratore Costa, una vecchia idea di Giuliano: le indagini sulle banche.

»Lo scrissi nel 1960 nel "Giorno della civetta". Continuo a pensare che il modo migliore per combattere la mafia è quello di mettere le mani sui conti bancari. Non capisco come fra l'incostituzionalità del confino e l'incostituzionalità del controllo dei conti bancari i governi abbiano sempre scelto la prima. Anzi, lo capisco benissimo: perché al confino si mandano sempre i soliti stracci, mentre i conti bancari si sarebbe costretti ad andare più in alto .

D.: Pochi giorni fa un ispettore del ministero di Grazia e Giustizia, Vincenzo Rovello, ha detto che in Sicilia interi collegi elettorali sono gestiti dalla mafia . E' una terminologia che l'opposizione non usa più. Neanche i comunisti.

»L'opposizione? Non vedo più quella carica di denuncia e di rivendicazione nell'opposizione: né nelle cose siciliane, né in quelle italiane .

D.: Il popolo perde quella carica di opposizione o i partiti la assolvono annullandola?

»E' un circolo vizioso. La gente si adegua perché vede che le punte di opposizione si smussano. A sua volta, I'adeguamento della gente genera lo smussamento dell'opposizione che ormai in Italia è dedita quasi esclusivamente alla retorica funeraria .

D.: Si fa un gran parlare dell'immobilismo del governo, dell'assenza di opposizione, della rassegnazione di chi ascolta la TV ed assorbe, pur con dolore, le notizie drammatiche che giungono dal fronte della mafia e dal fronte del terrorismo.

»Sono cose diverse .

D.: Si parla di intercambiabilità fra Brigate rosse e nere.

»Mi colpisce che non siano mai di scena insieme i due tipi di eversione. E una curiosa intercambiabilità .

D.: Potrebbe non essere soltanto una coincidenza. E qualcuno parla dello stesso rapporto di fungibilità fra mafia e terrorismo.

E il caso della Calabria.

»Non ci credo. Significa non capire niente della mafia .

D.: Anche il PCI parla qualche volta di terrorismo mafioso.

»Si è persa la vera nozione della cosa "mafia". Il terrorismo può fare proselitismo in quel tipo di delinquenza spicciola che aspira alla redenzione. Ma il mafioso non vuole essere redento ed intendo non solo il mafioso che sta nei centri di potere ma anche il gregario .

D.: Eppure Cesare Terranova pensava che Reina fosse stato ucciso dai terroristi.

»Lo penso anch'io. Sia per Reina, sia per Mattarella. Non è una convinzione. E possibile al 50%. Chissà, forse un terrorismo non indigeno ma in trasferta. Le targhe delle macchine per uccidere Reina furono rubate il giorno prima. E questo che mi fa pensare alla trasferta, non al delitto preparato nei minimi dettagli un mese prima, come di solito succede negli agguati di mafia. Ma è solo un sospetto, una impressione. E capisco che deve essere più rassicurante pensare alla mafia .

D.: In che senso?

»Per i siciliani è senz'altro più rassicurante sapere che il terrorismo non è arrivato dalle nostre parti .

D.: Cioè?

»C'è una convinzione popolare: la mafia sa chi deve uccidere, compie sempre delitti necessari; non uccide il povero carabiniere che non c'entra, non colpisce uomini-simbolo .

D.: E' la convinzione che la mafia annienti soltanto chi non si adegua, chi non capisce o non vuole capire, chi non sta al gioco. E quindi, che basta adeguarsi, cedere, non compiere il proprio dovere.

»Diciamo che in Sicilia è quasi incredibile che possa avvenire un omicidio ideologico .

D.: L'adeguamento diventa così una regola?

»Generalmente .

D.: Ci sono eccezioni? Ha fiducia in qualche uomo di governo siciliano?

Qui l'intervista ha una pausa. Sciascia parla di un uomo politico siciliano in cui ha avuto una certa fiducia e che aveva intrapreso una certa battaglia: »ma poi ha ceduto pure lui, si è adeguato, si è arreso .

D.: Siamo dunque davanti ad uno spietato blocco di potere che proietta la sua ombra su tutto e su tutti?

»Non so se si può parlare di un potere, o se si debba parlare di tanti poteri che cozzano, che si scontrano, che tentano di eliminarsi a vicenda. La verità è che la mappa della mafia e del potere non è più leggibile con facilità come venti anni fa .

D.: Il ministro Rognoni si è risentito per le dichiarazioni del vice presidente del consiglio superiore della Magistratura, Ziletti, quando ha dichiarato che lo Stato considera la mafia un problema regionale.

»No, no. Ha ragione Rognoni. Il governo è assolutamente imparziale, tratta tutti i problemi nazionali allo stesso modo, senza risolverli mai

D.: Lei è ironico ma per il terrorismo c'è in lotta un esercito guidato dal generale Dalla Chiesa.

»Non mi sembra che con Dalla Chiesa sia stato affrontato il problema del terrorismo in modo radicale. Peraltro non so fino a che punto sia libero di andare a fondo o se ne ha i mezzi. Qualche successo è forse più legato alla sua abilità personale che non ad una piena volontà politica di combattere a fondo il fenomeno .

D.: Viene fuori il dubbio che lo Stato non voglia combatterlo...

»La verità è che non vuol combattere niente: paradossalmente la sua vita è affidata a tutti gli elementi negativi e micidiali di cui è intessuta la realtà italiana .

D.: Il problema più grave?

»Quello della gioventù. La sua soluzione è alla base della lotta contro il terrorismo e contro la mafia. Ma non viene mai affrontato seriamente .

Mentre Sciascia parla dei giovani si apre la porta dello studio: uno dei suoi nipotini, Fabrizio, 5 anni. Gli occhi del nonno si posano sul piccolo. Una carezza ed un commento carico di amarezza: »la società italiana non si affida più ad alcun principio. E come se non ci fossero più principi morali, religiosi, economici... .

E' come se il popolo avesse perso la sua memoria, la memoria storica; proprio l'idea sulla quale sta nascendo un nuovo lavoro di Sciascia, impegnato in questi giorni nella ricostruzione di un processo degli anni 20: il protagonista è uno smemorato che diventa un altro. Forse, dietro quell'uomo c'è l'Italia oggi.

(A cura di Felice Cavallaro; »Giornale di Sicilia 17 settembre 1980)

 
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