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Bandinelli Angiolo - 1 ottobre 1980
Sulle rovine del Politico
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO. Le generazioni del "movimento", all'inizio degli anni '70, si proposero di modificare il modo stesso di concepire e fare politica. Esse si ritennero in grado di "smascherare" gli inganni della politica tradizionale, il suo sistema chiuso, per costruire sulle sue rovine la nuova società "libera e schietta". Schietta perché "liberata da quella doppiezza che è...il segno proprio...del modo di far politica borghese".

La doppiezza è segno caratteristico della cultura politica borghese, fin dai tempi di Rousseau, il quale anche quando afferma che "la volontà generale è sempre retta, dall'altra avverte che il giudizio che la guida non sempre è illuminato". Tale contraddizione ha giustificato e reso necessario l'intervento del legislatore illuminato, la cui tecnica sarà la "manipolazione" della volontà altrui. E' contro questa manipolazione che insorse la "rivolta sessantottesca".I semiologi della rivolta affermavano che tutta la politica si riduce a "Rappresentazione", a "Spettacolo" di cui mettevano in luce, "impietosamente", i meccanismi più nascosti, per schernirli...:"Nella Storia tutto è Rappresentazione, Retorica, Letteratura". E poiché, pur così "demistificato", il "Meccanismo infame" ha continuato a produrre Storia e Stato, a tentar di distruggerlo definitivamente si è provato il Terrorista, con la sua "bomba risolutiva".

Anche per lui, "il fallimento non è tardato ad arrivare", e nonostante tutto, la politica, il "politico" non è crollato. Dunque, conclude l'a., "occorre riproporsela di nuovo, la domanda 'che cosa è la politica'", e cercare qualche nuova risposta, magari "provvisoria, pragmatica, sommaria, interlocutoria"...

(QUADERNI RADICALI, ottobre-dicembre 1980 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)

Aree intere di "movimento" dichiararono, all'inizio degli anni '70, di nascere e crescere finalizzate all'obiettivo di realizzare finalmente la liberazione dell'uomo da oppressioni e schiavitù che erano (o sembravano) esse stesse il prodotto congruo di un modo sbagliato (si diceva, allora, "tradizionale") di intendere e fare la politica. La "riflessione sulla riflessione" rappresentò per queste forze addirittura la prima matrice e giustificazione del loro costituirsi in dato politico organizzato. Esse assicuravano di essere in possesso di chiavi culturali e conoscitive che avrebbero consentito una esplorazione finalmente adeguata della totalità dei fenomeni legati all'argire politico. Il complesso dei fenomeni individuato era il Politico, chiusa e compatta Monade dal cui interno il Potere regge, nascosto e inviolato, le sorti del mondo e degli Stati.

Sappiamo finalmente - si affermò - che cosa è l'in sé del Potere; siamo finalmente in grado di smascherarne gli inganni, l'uso truffaldino e magico che se ne è fatto e ancora se ne fa: che ne hanno fatto finora la società e l'economia borghese. Dalle rovine del vecchio, espugnato castello, potremo ormai muovere, assieme alle grandi masse e alle organizzazioni proletarie (presso le quali riposa la salvezza della Storia), a costruire la nuova società libera e schietta. Schietta, sì, perché liberata da quella doppiezza che è la caratteristica, il segno proprio e distintivo del modo di far politica borghese.

La doppiezza è già presente in Rousseau. Il borghese che traccia le grandi linee dello Stato moderno e della democrazia se da una parte tuona - contro l'ancien régime - che la volontà generale è sempre retta, dall'altra pur tuttavia avverte che il giudizio che la guida non sempre è illuminato. Questa duplice, contraddittoria consapevolezza porta, quale conseguenza obbligata, la necessità di un Legislatore illuminato, che sappia guidare, reggere, indirizzare le masse, la stessa volontà generale. La tecnica che il Legislatore metterà in campo sarà quella della manipolazione, un rapporto artificioso, ambiguo, che di fatto strappa alle grandi masse popolari, con una mano, quella libertà di determinazione e di autogestione che era insita nella promessa liberatrice del primato della volontà generale. Tale rapporto fondato su una vera e propria doppiezza accompagna l'intera storia dello Stato moderno e delle democrazie borghesi. E contro di essa che si era levata, appunto, la rivolta sessantottesca.

La rivolta ha avuto quali alleati frotte di semiologi, di sociologi, di strutturalisti, di vecchi e nuovi esegeti di Marx variamente assortiti i quali hanno dato mano, solidalmente, alla più poderosa opera di smantellamento del Politico (e del Potere) che si sia mai concepita. Con ammirevole unanimità hanno smascherato, destrutturato, smitizzato i meccanismi con i quali Politico e Potere reciprocamente si sorreggono per riprodurre e perpetuare le loro pretese alla manipolazione della verità in nome di quella Ragione cui spetta reggere le sorti degli Stati e realizzare la Storia nel suo maestoso e imperscrutabile decorso. Stretti in questa morsa, il Politico e il Potere sono apparsi per un po' solo un'immensa ragnatela tessuta dalla Retorica: una Rappresentazione, uno Spettacolo. Di cui impietosamente venivano a grado a grado messi allo scoperto, sotto il getto abbagliante di grandiosi riflettori, i meccanismi e gli ingranaggi indispensabili: i (letteralmente) retroscena, i praticabili, i fondali, le quinte e

i sottopalchi dove gli intrighi si fanno visibili e plateali, non più mascherati da ciprie e belletti. La storia è apparsa così sempre più come un marchingegno regolato dalle leggi di conservazione di classi dirigenti e di Stati: anzi della forma-Stato, al di fuori della quale non c'è più nemmeno l'illusione, o la finzione, della Natura. Nella storia tutto è Rappresentazione, Retorica, Letteratura: "Là dove i conflitti più brutali, di denaro, di proprietà, di classe, sono assunti, contenuti, ammansiti e mantenuti da un diritto di Stato, là dove l'istituzione regolamenta la parola finta e codifica ogni ricorso al significante, là nasce la nostra letteratura", scrive Barthes. Non solo la letteratura: praticamente lì nasce tutto, prima essendovi solo la Nonstoria.

L'analisi è corsa su un mare frusciante di scritture, ed è stata, nel suo percorso, devastante. Nero su nero. Tuttavia, così destrutturato e demistificato, il Meccanismo infame continua ancora a perpetrare le sue malefatte e a produrre, violento e imperturbabile, storia e Stato con il tic tac dei suoi bronzei ingranaggi. Lo fa con durezza persino accresciuta: perché, se alle sue origini c'è l'esecuzione capitale - di altissima pregnanza simbolica - di Sir Thomas More, subito avvertito della crisi di verità inerente al suo costituirsi, nell'attuale fosco tramonto lo Stato borghese appare dispostissimo a tagliare la testa all'intera Società, qualora questa si dimostri troppo indocile ai suoi voleri; tanto che non c'è da meravigliarsi poi se, una volta esperito fino in fondo il fallimento del lavoro di semiologi e strutturalisti ed esegeti, sotto il palcoscenico ci si è infilato il Terrorista, per provare a metterci lui la bomba risolutiva, sotto lo Stato, il Potere e il Politico e così destrutturarli definitiv

amente, in un macello denso anche esso, comunque, di Retorica e di Linguaggio.

Anche per il terrorista, il fallimento non è tardato ad arrivare. La delusione, si capisce, è stata enorme. Come: il Re, messo a nudo, si permette di restare ancora in piedi? "Tutto qui?" La politica, il Politico, così, hanno continuato a macinare insieme il loro grano e il loro loglio, coinvolgendo tutto nelle loro ineluttabili bugie, nei loro necessari compromessi, nelle loro eterne regole, nella loro identità con se stessi e nella loro separatezza dagli altri; nella loro congenita doppiezza, insomma. E allora, occorre riproporsela di nuovo, ma con altre coordinate, la domanda "che cosa è la politica". Magari per giungere a una risposta provvisoria, pragmatica, sommaria, interlocutoria. Le scadenze infatti urgono, e non si può né stare sotto la tenda, né accettare che sul palcoscenico restino imbroglioni o pedagoghi, furbi o innocenti che siano. E magari, qualcuno potrebbe essere riluttante a sobbarcarsi a compiti e bisogne ingrate, non confortato dalla fiducia altrui, della gente. Ecco, qui è l'inquietant

e della domanda: "chi, che cosa legittima il politico, il fare politica?"

 
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