Lettera aperta alle femministedi Eugenia Roccella
SOMMARIO: Il referendum radicale sull'aborto è l'occasione per cambiare la legge e per impedire che migliaia di donne siano ancora costretta alle pratiche clandestine. Ma è necessario interrompere la campagna di menzogne e falsificazioni con cui Pci e UDI martellano l'opinione pubblica e ingannano il movimento femminista.
(NOTIZIE RADICALI n. 1, 1· gennaio 1981)
"Care compagne,
da questo momento ricomincia la parata in difesa della legge sull'aborto. Ricomincia con tutto l'armamentario dei partiti, con gli slogan che sanno di stantio e di andato a male, con i pullman carichi di donne - una merce utile - che percorrono su e giù l'Italia per riempire oggi una piazza a Como, domani un'altra a Catania; ricomincia con una campagna di menzogna capillare e insistente, con una finzione di movimento e di femminismo, una finzione di masse convinte, di lotta vincente e felice che mette addosso l'atroce tristezza delle cattive imitazioni.
Certo noi non saremo mai "le donne radicali", per acquistare così quella facile legittimità che consente a una donna di agire contro le donne per conto di una politica maschile e di potere.
Mentre il rifiuto un po' disgustato che il femminismo aveva verso i partiti - tutti indistintamente - ha finito per dar l'alibi proprio alle "donne dei partiti" di rappresentare le altre, e all'UDI di fare l'altra faccia del PCI, permettendo un doppio gioco che ha dato e dà i suoi frutti, sia pure con una volgarità da vecchi politicanti. La verità è che abbiamo, negli anni scorsi, perso un'occasione: il movimento si è arenato su questa legge insabbiandosi nelle prudenze e nei compromessi di potere che non gli appartenevano.
Ci siamo logorate nella lotta per l'applicazione della legge, abbiamo creduto a tutti i miti del buon governo e della buona amministrazione, ci siamo perse nei mille rivoli dei coordinamenti e dei comitati (c'è persino un coordinamento per le liste d'attesa!) nell'illusione di sostituirci alle strutture pubbliche.
Il movimento femminista si è diviso in due tendenze che sono due facce della stessa medaglia; quelle che dicono "non voglio più sentire parlare di aborto, è una battaglia di retroguardia" e quelle che dicono "questa legge va difesa, anche perché il paese non è maturo per altro". L'utopia per non vedere la sconfitta o la realpolitik mutuata dalla cultura della governabilità, dalla sfiducia nella capacità individuale di comprensione e di scelta.
Eppure, i conti in tasca a questa legge li facciamo con poche cifre.
Almeno mezzo milione ancora di aborti clandestini, fatti ovviamente dalle minorenni, dalle donne del sud, dalle nubili, dalle più sprovvedute, disinformate inermi; e una cifra di medici che straccia ogni alibi di "applicazione della legge". Solo un migliaio di ginecologi in tutta Italia per circa 7/800.000 donne che chiedono di abortire, sono un dato dovuto sì all'obiezione di coscienza ma soprattutto alle limitazioni imposte dalla legge, all'obbligo a ricorrere agli ospedali.
Ma forse noi radicali abbiamo sbagliato: forse dovevamo lasciare che il fallimento di questa legge si consolidasse, diventando un dato doloroso sedimentato nelle coscienze e nelle esperienze delle donne.
Dovevamo forse aspettare con un po' di cinismo che si consumasse nei prezzi pagati alla quotidianità, nelle mille piccole umiliazioni a cui le privilegiate che riescono ad ottenere l'aborto "gratuito e assistito" devono sottoporsi; e per le altre, dovevamo aspettare che tornasse ad insediarsi, e stavolta con l'aggravante di avere alle spalle una sconfitta, la rassegnata "naturalità" del ricorso alle pratiche clandestine. Invece abbiamo tentato di rovesciare questa sconfitta, di ricostruire le condizioni di uno scontro e di un confronto chiaro, che è l'unica possibilità di rinascita di un movimento delle donne. Certo, l'isolamento radicale sull'aborto è completo: ma che cosa hanno da spartire, le donne, con gli equilibri di una "governabilità" che non è governo delle speranze e dei sentimenti, cosa hanno da spartire con slogan come "la legge è brutta ma va difesa"? Cosa c'entra tutto questo con la lotta per il diritto all'aborto, quale crescita di consapevolezza ci può essere nel difendere una legge che educa
alla menzogna, al ricorso a sotterfugi ed espedienti? Certo, i mass media sono compatti nel fornire una immagine del referendum radicale distorta e bugiarda, ma le donne che ancora ricorrono all'aborto clandestino, o che sanno di dovervi all'occasione ricorrere voteranno in difesa di questa legge?
Anni fa, dicevamo: non siamo un movimento di massa, ma la nostra forza è sapere che siamo dalla parte delle masse di donne che ogni anno vengono massacrate psicologicamente e fisicamente, dalle pratiche abortive clandestine; oggi la peggior sconfitta sarebbe quella di essere separate da queste donne, e davvero non più "movimento". Ecco, questo sarebbe veramente il nostro definitivo orientamento. Lo diciamo alle compagne femministe, ma anche alle compagne "dei partiti", alle socialiste, alle comuniste, e in primo luogo a quelle che in buona fede credono che il nostro referendum abolisca la gratuità dell'intervento, che permetta anche ai non-medici di praticarlo, che voglia "privatizzare" il mercato dell'aborto.
Prima di tutto, dunque, basta con le menzogne: questi mesi di martellante disinformazione hanno prodotto un effetto devastante, non solo tra le donne meno smaliziate, ma anche tra le compagne del movimento, addirittura tra le giornaliste, che si sono lette i volantini dell'UDI o del PCI ma non il testo del referendum radicale. E sono, questi che mentono, gli stessi che si preoccupano della confusione che le due schede sull'aborto potrebbero produrre sull'elettorato!
Riapriamo il dibattito: se vogliamo cambiare la legge, questo è il momento. Se vogliamo rivitalizzare il movimento delle donne, questo è il momento. Ora, perché ci sono queste 500.000 firme che costringono il regime, i partiti, il parlamento, a fare di nuovo i conti con l'aborto. Non lasciamo che lo facciano sul loro terreno, il terreno delle relazioni dei ministri, delle "verifiche sull'applicazione della 194", di vaghe promesse di qualche risibile modifica... così ridotto, l'aborto diventa perfettamente tollerabile: quello che non è tollerabile, perché non è compatibile con la sopravvivenza degli equilibri di regime, è la richiesta dell'aborto come diritto della donna.
Le compagne che vogliono le modifiche, sappiano che dicendo no al referendum radicale tolgono ogni forza, e ogni possibilità di successo alle loro richieste; quelle che si preoccupano della difesa della legge, pensino che l'unico modo per difendere questa legge è migliorarla."