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Partito radicale - 3 gennaio 1981
PORTO D'ARMI E CACCIA
(con armi da fuoco)

SOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo del porto d'armi e, di conseguenza, della caccia con fucile.

(NOTIZIE RADICALI, 3 gennaio 1981)

Per la caccia col fucile occorre il porto d'armi. Abolito questo, la caccia è di fatto soppressa.

LE NORME DA ABROGARE

Dal testo unico di Pubblica sicurezza approvato con Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si propone di abrogare il terzo comma dell'art. 42, concernente il rilascio del proto d'armi, a cura di questori o prefetti.

SCHEDA SUL PORTO D'ARMI

Gli istituti di vigilanza che operano in Italia sono circa trecento, con un "esercito" tra i settanta e i novantamila uomini, superiore come effettivi sia alla PS (68.000) sia ai carabinieri (73.000) che alla Guardia di finanza (40.000).

Si parla di un giro di affari con un utile netto di almeno 500 miliardi. I "vigilantes" proteggono di solito la proprietà privata, ma è successo che abbiano anche vigilato su uffici pubblici, ad esempio il "cervellone" delle pensioni.

Nel '71 le licenze di porto d'armi per uso di difesa personale erano 68.000; nel '73: 87.000; nel '76: 148.000; nel '77: 176.000; nel '79: oltre duecentomila. Attualmente sarebbero oltre trecentomila. La corsa continua... Ovviamente non sono compresi i cittadini che detengono armi in casa (che debbono essere solo denunciate all'autorità di PS). Vanno poi aggiunte le licenze di porto d'armi per uso di caccia, che sono circa un milione e novencentomila (nel '76 circa un milione e mezzo: anche qui l'aumento è rapidissimo).

Ottenere il porto d'armi è una pratica di ordinaria amministrazione, nonostante che il richiedente deve fare presenti i motivi per i quali ha necessità di circolare armato. La licenza costa solo circa ventimila lire l'anno.

Una persona munita di porto d'armi può tenere fino a due pistole e sui fucili (se per uso di caccia, non sono consentite le pistole); ma i limiti possono essere aggirati facilmente, con le richieste per collezioni di armi, che consentono di tenere dei veri e propri arsenali.

Sessantamila persone lavorano nel campo delle armi; 416.000 esemplari di armi corte sono state prodotte lo scorso anno nelle sole fabbriche bresciane.

Nessuna legge istituzionalizza il porto d'armi per i vigili urbani, i quali verrebbero quindi disarmati, salvo casi particolari; essi recupereranno la loro piena dimensione di "guardie" di città, di quartiere, di paese, fra i cittadini, in mezzo ai loro bisogni.

REFERENDUM PER L'ABOLIZIONE DEL PORTO D'ARMI E DELLA CACCIA CON ARMI DA FUOCO

Il porto delle armi è oggi vietato dall'articolo 4 della legge 18-6-1975, n. 110, che peraltro fa salve le autorizzazioni previste dal vecchio testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (3· comma dell'art. 42 del R.D. 18-6-1931, n.773). L'abolizione di tale disposizione, che forma oggetto del referendum, comporta pertanto un divieto assoluto di portare armi al di fuori della propria abitazione.

Occorre subito fornire una precisazione in proposito, Ove la proposta referendaria risultasse approvata dal voto popolare, non ne conseguirebbe il disarmo degli apparati militari, e nemmeno quello delle forze di polizia. Le forze di polizia sono infatti autorizzate - anche senza porto d'armi - a portare le armi in dotazione ai reparti, necessarie per i servizi di istituto. Gli appartenenti non potrebbero però portare altre armi, soprattutto le così dette "seconde armi", il cui uso è stato fonte di grossi interrogativi in occasione di incidenti fra dimostranti e forze dell'ordine. Anche i vigili urbani verrebbero disarmati.

Un'altra conseguenza dell'abrogazione delle autorizzazioni per porto d'arma, sarebbe il disarmo delle polizie private, delle molteplici squadre di "vigilantes" che pattugliano le nostre città. E questo sarebbe un risultato di portata veramente molto estesa. La tutela dell'ordine pubblico, è necessario richiamare sempre i termini del problema, finisce inevitabilmente per interferire con la consistenza e con l'esercizio di fondamentali diritti dei cittadini; di diritti costituzionalmente garantiti. Si tratta sempre di limitazioni estremamente pericolose. Ed allora è veramente indispensabile che il settore dell'ordine pubblico sia interamente gestito sotto la responsabilità integrale e completa di autorità che rispondono politicamente di fronte al parlamento e agli elettori.

Quella del cittadino comune che ha la sensazione di sentirsi più sicuro nel momento in cui va in giro armato è in effetti una pericolosa illusione: nel momento in cui tenterà di difendersi, sarà già rimasto vittima di un aggressore che avrà avuto l'iniziativa e il relativo vantaggio, oltre alla freddezza, al cinismo, alla professionalità. A meno che non si sia imbattuto nel solito ladro di galline, e in tal caso incorrerà nei rigori della legge, che colpirà l'eccesso di legittima difesa.

L'autodifesa personale è un tratto essenziale della filosofia della violenza: ed è proprio contro questa tendenza a convalidare come principio del consorzio civile che occorre combattere con decisione.

Ma al di là di queste pur non secondarie considerazioni, la battaglia per l'abolizione del porto d'armi tocca i principi fondamentali della convivenza civile, soprattutto ove si considera la situazione di fatto del nostro paese, che è oggi stracolmo di armi. Ed è veramente uno di quei comportamenti sociali irrazionali ed inspiegabili l'atteggiamento di diffusa indifferenza che esiste nei confronti di questa realtà di diffusione su larghissima scala di armi di ogni genere; tra le ragioni di allarme sociale diffuse al livello dell'opinione pubblica, alcune delle quali sicuramente da ridimensionare, quella per le armi, diretto strumento di offesa e di morte, non figura.

E forse soltanto un dibattito nazionale collettivo può generare quella consapevolezza generalizzata dell'incompatibilità tra i principi di una società democratica e la tendenza all'uso delle armi: la filosofia della democrazia è la filosofia della nonviolenza, la filosofia della ragione, la filosofia della tolleranza, che nella sua valenza pratica, quale fondamento degli ordinamenti della convivenza, porta ad escludere l'uso di strumenti di offesa e di morte.

La caccia - E' pienamente coinvolta dal referendum sul porto d'armi; certo se questo referendum vincerà, la caccia non sarà integralmente abolita, ma lo sarà di fatto, in quanto da secoli ormai a caccia si va col fucile. E per portare il fucile occorre proprio quel porto d'armi, quell'autorizzazione che viene rilasciata in base all'art. 42, comma 3· della legge di Pubblica sicurezza, che con il referendum si vuole abrogare. Anche la Corte costituzionale lo ha confermato (il referendum sul porto d'armi intende abolire la licenza, cioè il permesso di portare armi, altrimenti escluso "a nulla rilevando il motivo per cui può essere concessa la licenza: per difesa personale o anche per uso di caccia". Quanti vogliono abolire la caccia, quindi debbono votare sì a questo referendum).

SCHEDA SULLA CACCIA

In diversi paesi la caccia è già vietata (Costa d'Avorio, Kenia, Venezuela, Somalia, cantone di Ginevra); l'ecatombe va fermata anche in Italia, dove ogni anno oltre due milioni di "sparatori" che più che "cacciatori" distruggono qualcosa come 200 milioni di capi di selvaggina, comprese specie rare (come il capriolo appenninico, il camoscio d'Abruzzo, mentre la caccia è stata consentita fin nel parco nazionale di questa regione; e si cacciano anche le piccole specie canore, i merli, le peppole, i fringuelli; non si salvano i fischione e le pispole...); l'uccellagione è praticata da circa quattrocentomila persone.

La caccia è soprattutto oggi una mania consumistica, che alimenta (ed è alimentata) da un giro di affari di due o tre mila miliardi all'anno (mercanti d'armi, di munizioni; abbigliamento, accessori).

La sorveglianza, chiave di volta di ogni tentativo di regolamentazione (su cui puntano i cacciatori) è di fatto inesistente; le guardie sono poche e limitate nella loro attività da clientele politiche; la loro preparazione ornitologica è scarsa (figuriamoci quella dei cacciatori!) Un controllo efficace, perchè le disposizioni non restino sulla carta, è una prospettiva estremamente remota.

Il ripopolamento (altra buona idea dei cacciatori) necessita del permesso dei proprietari dei terreni (per la caccia non occorre), non concerne i migratori, viene spesso effettuato con specie provenienti dall'estero, che mal si adattano in luoghi diversi, estranei geneticamente alle nostre specie, portatori di possibili infezioni. Per salvare un ripopolamento di animali che hanno perduto le caratteristiche degli esemplari liberi e selvaggi della specie, si distruggono i predatori.

Arbitre vere della caccia sono le associazioni venatorie, con i loro potenti legami politici ed elettoralistici, mentre uomini politici e partiti trascurano quel 65% degli elettori che è per l'abolizione completa della caccia (in quanto non organizzati).

Scriveva il 22-2-1979 sul Corriere della Sera Antonio Cederna: Incompetenza, leggerezza e ferocia regolano l'esercizio della caccia nel nostro paese. "Si spara dall'auto, dalle finestre dell'albergo, dal margine della strada, dalla barca lungo le coste; e prima si spara e poi si decide: se l'ucciso è un uomo si scappa, se era un uccello protetto lo si dà al cane o lo si lascia morire, se è bello lo si impaglia".

La caccia alimenta poi quel mercato delle armi, che fa del nostro paese uno dei più grossi esportatori di strumenti di morte, di armi da guerra, prodotte dalle stesse fabbriche di quelle per le attività venatoria, che ne sostengono quindi il complessivo giro di affari.

Non si comprende poi la logica difensiva delle associazioni venatorie, che affermano contemporaneamente: 1) che gli animali selvatici spariscono non per effetto della caccia, ma per l'uso dei pesticidi e anticrittogamici in agricoltura, per l'inquinamento industriale delle acque ecc.; 2) che senza la caccia le specie si moltiplicherebbero in tali proporzioni da compromettere seriamente la nostra agricoltura. Delle due l'una!

 
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