di Eugenio ScalfariSOMMARIO: Secondo il giudice D'Urso, i carcerieri brigatisti definivano Pannella "uno sciocco demagogo". "Demagogo certamente", "sciocco assolutamente no", come sciocco non era il demagogo Clodio... Pannella coglie ogni tanto "dei frammenti di verità". Il suo universo è alquanto "confuso", al centro c'è "una specie di paranoia vittimistica" mescolata a una "concezione tolemaica" che pone al centro di tutto i radicali, e quindi pensa "che il sistema va capovolto da cima a fondo". Da questo punto di vista, Pannella "è sicuramente un sovversivo, né più né meno delle Br", anche se usa non le pistole ma "le parole e lo psicodramma di massa". Ma adesso pistole e psicodramma si sono incrociati e la miscela può risultare esplosiva. Stando così le cose, grave è la responsabilità del ministro della giustizia che ha consentito alla "visita ispettiva" dei deputati radicali nel carcere di Trani il giorno dopo il comunicato delle Br che delegava a quei carcerati "la sentenza definitiva su D'Urso", e poi alla visita al car
cere di Palmi, ecc. Non è vero che gli editori abbiano fatto pressione sui giornali perché non pubblicassero i proclami brigatisti, le sole pressioni subite sono state quelle dei socialisti, perché accettassero "le imposizioni delle br", e dei radicali.
Accanto al "caso Sarti", c'è poi il "caso Gioia". Qui Pannella ha ragione quando segnala che le mancate firme per rinviare Gioia dinanzi al "plenum" del parlamento identificano un "partito della vergogna". E nella vicenda stupisce l'atteggiamento del partito repubblicano, che lancia appelli alla "fermezza" e poi si lascia prendere a "schiaffi"... E' evidente che i repubblicani "hanno paura della crisi di governo" e delle "elezioni anticipate"...
(»La Repubblica 23 gennaio 1981 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)
Riferisce il giudice Giovanni D'Urso che i suoi carcerieri brigatisti, nel lungo periodo della sua detenzione, definivano Marco Pannella »uno sciocco demagogo .
Demagogo certamente. Sciocco assolutamente no, come può testimoniare chi lo conosce da trent'anni. E del resto, i demagoghi non sono mai sciocchi. L'esempio che mi viene in mente, tratto dalle storie, è quello di Clodio subito dopo la congiura di Catilina. Che Clodio fosse un demagogo non v'è ombra di dubbio. Che adoperasse la podestà tribunizia per commuovere e sommuovere la plebe, è un fatto. Che alla fine, come tutti i demagoghi, fallisse nell'impresa di conquistare il potere, è altrettanto vero. Ma Clodio preparava inconsapevolmente la strada a Pompeo e, ancora di più, a Cesare; cioè presentiva gli umori del tempo. Resta da vedere a chi prepari la strada Pannella, »si parva licet... .
Se ho citato Pannella - e dio sa se ne avrei voglia dopo le contumelie che ci rovescia addosso da settimane sol perché non condividevamo le sue opinioni e le sue strategie - è perché il leader violento dei nonviolenti coglie di tanto alcuni frammenti di verità. Per esempio: dopo aver cercato di dividere l'opinione pubblica tra il partito della vita e quello della morte (saremmo noi quest'ultimo, rei di non aver voluto alimentare la catena di ricatti delle Br) adesso ha scoperto l'esistenza del partito della vergogna, quello cioè che non ha firmato per tradurre l'ex ministro Gioia dinanzi alle Camere. C'è del vero in quella follia...
L'universo di Pannella è alquanto confuso. Al centro c'è una specie di paranoia vittimistica. Mescolato ad essa c'è una concezione tolemaica che vede i radicali come l'asse della verità gravitazionale, misconosciuto però da tutti gli altri elementi del sistema. La conseguenza logica di questo modo di pensare è che il sistema va capovolto da cima a fondo, affinché le leggi della verità gravitazionale possano dispiegarsi compiutamente.
Da questo punto di vista, Pannella è sicuramente un sovversivo, né più né meno delle Br. La differenza tra i due non è certo piccola: le Br usano le pistole, Pannella usa le parole e lo psicodramma di massa. Negli ultimi tempi però pistole e psicodramma si sono oggettivamente incrociati. Le pistole hanno utilizzato lo psicodramma, quest'ultimo ha utilizzato le pistole. La miscela può diventare esplosiva, anzi lo è già largamente diventata.
Stando così le cose, le responsabilità del governo, e specificamente di Forlani, di Sarti e dei socialisti, sono assai gravi.
E' difficile capire fino a che punto Forlani, Sarti e i socialisti fossero consapevoli o inconsapevoli della dinamite che avevano tra le mani. Ma la questione non cambia di molto. Se erano inconsapevoli, si tratta di imbecilli. Se erano consapevoli, allora il giudizio diventa decisamente peggiore. Ma, ripeto, il fatto oggettivo resta il medesimo.
Un ministro della Giustizia acconsente ad una visita ispettiva di deputati radicali nel carcere di Trani all'indomani di una rivolta domata dai reparti speciali dei carabinieri. E sia. Ma vi consente - questo è il punto essenziale - all'indomani del comunicato numero 8 delle Br, che delega ai detenuti di quel carcere la sentenza definitiva su D'Urso, imponendo come condizione che i detenuti brigatisti possano liberamente riunirsi, discutere, emettere la sentenza, farla pervenire all'esterno e imponendo altresì che quella sentenza, una volta emessa, sia integralmente pubblicata dai giornali.
Non appena conosciuto il comunicato, tutte le forze politiche senza alcuna esclusione dichiarano pubblicamente che quelle condizioni sono da respingere perché il loro accoglimento equivarrebbe all'instaurazione di quella »trattativa alla quale tutti - socialisti e radicali compresi - si proclamano fermamente contrari.
Ma è tuttavia in questa situazione di fatto che il ministro della Giustizia incontra a casa propria un deputato radicale, lo informa della chiusura accelerata dell'Asinara, dà il consenso alla visita dei radicali alla prigione, si intrattiene telefonicamente con la delegazione radicale a Trani, consente che quella delegazione permanga nei carceri per tre giorni, incontra di nuovo il medesimo deputato radicale a casa propria al termine della visita, prende visione della sentenza emessa dai detenuti di Trani, acconsente contestualmente ad un'altra visita dei deputati radicali al carcere di Palmi, sconsiglia »sorridendo ai radicali di render pubblico il documento, il quale finisce ovviamente sui tavoli dei giornali.
A questo punto il gioco è fatto: sono i giornali ad essere diventati gli arbitri della vita o della morte dell'ostaggio e il sovversivismo radicale, coniugato con la complicità del ministro della Giustizia, è in grado di inventare un partito della vita cui si oppone un protervo partito della morte.
I socialisti hanno parlato di pressioni degli editori sui direttori dei giornali, per impedire a questi ultimi di pubblicare i proclami brigatisti. Ma finora si ha solo notizia del contrario. Dalle interviste da noi pubblicate con il direttore de »Il Corriere della Sera e con il direttore de »Il Giorno - ma ben altre testimonianze dirette potrebbero addursi - risulta infatti che le sole pressioni avute dai direttori dei giornali sono venute dai socialisti, o dagli editori subordinati dai socialisti, affinché subissero le imposizioni delle br e i »suggerimenti dei radicali. La cosa - di per sé assai grave perché incide direttamente sulla libertà di stampa - diventa gravissima nel caso de »Il Giorno , giornale di proprietà pubblica, sottoposto al controllo del ministro socialista delle Partecipazioni statali. Non c'è nessuno in Parlamento che chieda conto di fatti così palesemente fuori della legalità?
Accanto al caso Sarti, nasce il caso Gioia. E qui il demagogo Pannella ha ragione da vendere quando segnala che le mancate firme per rinviare Gioia dinanzi al »plenum del Parlamento identificano un »partito della vergogna . Il tono è colorito, ma in realtà è quella.
L'ex ministro Gioia è un figuro ben noto alle cronache. Di lui si parla diffusamente - e non a caso - nel rapporto dell'antimafia, finito - non a caso - nel dimenticatoio di Montecitorio. La magistratura ordinaria lo persegue per la questione dei traghetti, ma il reato è ministeriale e finisce davanti all'Inquirente. Quest'ultima, tanto per non venir meno ad una abitudine, archivia a maggioranza semplice. Si apre la raccolta delle firme tra i membri delle Camere ma non si raggiunge il »quorum perché mancano all'appello i socialdemocratici, alcuni repubblicani e molti socialisti.
Va ricordato che il rinvio dinanzi al Parlamento non significa ritenere Gioia colpevole, ma semplicemente decidere se il suo caso vada giudicato o archiviato per manifesta infondatezza. E' manifestamente infondato il caso Gioia? Nessuno può in coscienza affermarlo. Allora perché non investirne il Parlamento e, subito dopo, la Corte costituzionale, se non per omertà politica? Se non per ricambiare Forlani, che ha tollerato i cedimenti alle Br, con il favore di non riaprire il processo Gioia?
Stupisce in tutto ciò il comportamento del Partito repubblicano. Parecchi anni fa era di moda una commedia teatrale che aveva per titolo »L'uomo che prende gli schiaffi . Sembra tagliata apposta per il partito che fu di Ugo La Malfa.
Non c'è giorno che i repubblicani non lancino proclami alla fermezza e contemporaneamente al dovere dei governanti di governare secondo principi di onestà. E non c'è giorno che il governo e la maggioranza di cui fanno parte non facciano a brandelli onestà e fermezza. I "nipotini" di Ugo La Malfa prima ringhiano, poi bonariamente brontolano, poi ragionevolmente discutono e alla fine si rassegnano. La figura che hanno fatto in occasione dell'ultimo voto di fiducia, posto da Forlani contro di loro, è stata a dir poco modesta. Per il caso Gioia non hanno firmato, sebbene non avessero certo da ricambiar favori a Forlani, al contrario...
In realtà i repubblicani, come gran parte della Dc, hanno paura della crisi di governo. Pensano che la crisi di governo sarebbe senza uscita e porterebbe dritti alle elezioni anticipate. Ma è proprio così?
Una cosa è certa: se la crisi di governo è veramente senza uscita, allora il governo è nelle mani dei socialisti e gli altri partiti debbono rassegnarsi a questa realtà e accettarla. Se invece l'uscita c'è, allora la situazione politica può cambiare. Il problema è tutto lì. La chiave per risolverlo ce l'hanno la Dc e i repubblicani. Si tratta di capire se vogliono usarla o continuare a prendere schiaffi, mentre la prima Repubblica comincia ad affondare.