di Leonardo SciasciaSOMMARIO: Coloro che, durante la vicenda D'Urso, hanno invocato una presa di posizione del Presidente della Repubblica, ora minimizzano le sue parole, ridotte a semplice "esternazione" senza rilievo politico. A proposito della Cecoslovacchia, il paese che molti hanno creduto di riconoscere nelle parole del Presidente (senza che questi lo nominasse), Sciascia ricorda il racconto di Kundera sull'ingegnere cecoslovacco che, di ritorno da una missione in Inghilterra, si identifica nella figura del "transfuga" e traditore dipinta dalla stampa del suo paese e non riesce più a correggere le bugie propinate dalla burocrazia e dai servizi segreti: finché, terrorizzato dalla situazione, fugge dal suo paese, e diviene così il "transfuga" denunciato...
(NOTIZIE RADICALI, 2 febbraio 1981)
Roma, 2 febbraio '81 - N.R. - Leonardo Sciascia ha scritto per il "Secolo XIX" la seguente nota che "Notizie Radicali" pubblica integralmente.
"Parli il Presidente" si invocava durante il sequestro D'Urso da parte di chi si aspettava che il Presidente della Repubblica avrebbe parlato in termini di fermezza. Ora il Presidente ha parlato, ma, evidentemente, toccando un problema non gradito a quegli stessi che sul caso D'Urso ne invocano la parola. E dunque: deve o non deve il Presidente parlare di ciò che, in quanto Presidente, lo preoccupa? O si vuole stabilire che, in quanto Presidente, può toccare soltanto argomenti graditi ad una certa parte e, se ne tocca altri non graditi, è soltanto un cittadino che "esterna" privatissime preoccupazioni e privatissimi giudizi?
Ecco, è venuta fuori la parola "esternazione". Pertini ha soltanto "esternato". Probabilmente, si vuol dare alla parola il significato di un parlare senza fondamento, di una esternazione quasi gratuita, quasi onirica.
A proposito di Cecoslovacchia, paese non nominato dal Presidente della Repubblica, nelle sue preoccupazioni sulle centrali estere del terrorismo ma da molti giornali identificato e indicato: nell'ultimo numero della rivista "Le débat", Milan Kundera riprende, da un libro del suo amico Josef Skvorecky, una storia vera. Anni addietro, un ingegnere di Praga partecipa a un simposio scientifico che si tiene a Londra. Ritorna a Praga e, qualche ora dopo il suo ritorno, legge sul "Rude Pravo" la notizia che un ingegnere ceco, inviato a Londra per un congresso scientifico, ha calunniato sulla stampa occidentale la patria socialista e ha chiesto all'Inghilterra asilo politico. L'ingegnere si riconosce in quel transfuga: solo che non si era mai sognato di fare dichiarazioni contro la patria socialista e tanto meno aveva chiesto asilo all'Inghilterra; disciplinatamente e tranquillamente era anzi tornato in patria. E non è il solo a riconoscersi nella notizia del "Rude Pravo": la sua segretaria, vedendoselo comparire da
vanti, è come vedesse un fantasma.
L'ingegnere si reca alla redazione del "Rude Pravo", spiega a un suo redattore che si tratta di un errore, lo invita alla verifica. Il redattore si convince ma, dice, ha avuto la notizia dal ministero dell'Interno, non può smentire senza autorizzazione. L'ingegnere va al ministero, chiede, spiega. Ma gli dicono di non poter smentire: la notizia l'hanno avuta dall'ambasciata cecoslovacca di Londra. Di smentita, nemmeno a parlarne. Comunque non tema: nessuna conseguenza avrà quella falsa notizia. Ma da quel momento, l'ingegnere si sente strettamente sorvegliato. Il suo telefono è indubbiamente controllato. Vive nell'angoscia, nell'incubo. Finché non decide di fuggire davvero, e rischiosamente ci riesce.
Nulla Kafka ha inventato che non possa, specialmente nel suo paese, accadere.