di Gianni Baget BozzoSOMMARIO: Grave viene giudicata la decisione della Corte Costituzionale di escludere "la parte maggiore e migliore" dei referendum radicali. Il referendum è stata "una risposta italiana originale" alla crisi culturale/politica che investe un po' tutto l'Occidente, mentre l'altra risposta possibile era quella "terroristica" (se non ahche quella "rivoluzionaria" e quella "corporativa"); coi loro referendum, che operano "nelle zone di confine tra la violenza e la non-violenza", i radicali proponevano "la figura del messaggio nonviolento", un messaggio "tenue" ma forse, al presente, "efficace" a creare "un clima di partecipazione e d'impegno politico", e a far ritrovare "la fiducia civile" al di sopra della crisi dell'amministrazione pubblica e dei partiti. I dieci referendum costituivano un tutto unico: ora, smembrati dalla Corte Costituzionale, del pacchetto restano i referendum sull'aborto", un argomento non entusiasmante per nessuno" e nutrito di "passioni artificiali", e i referendum sull'ordine pubblico ch
e saranno vissuti come "un appello tacito alla maggioranza silenziosa".
Avendo intrapreso la via referendaria, i radicali hanno scelto di "disertare le urne amministrative". A beneficiarne sono stati i socialisti. E tuttavia tra socialisti e radicali c'è oggi frizione: i socialisti hanno anche espresso solidarietà al Presidente della Corte Costituzionale che ha bloccato i referendum. La polemica tra i due partiti sarà dunque una "caratteristica" della prossima consultazione politica. Il paradossale risultato è che i "migliori amici" dei socialisti sembrano divenuti i democristiani "del preambolo", cioè quelli cui i socialisti vorrebbero togliere la presidenza del Consiglio. L'isolamento dei socialisti potrebbe essere la premessa a nuove elezioni.
(LA REPUBBLICA, 11 febbraio 1981)
La decisione della Corte Costituzionale di escludere la parte maggiore e migliore dei referendum proposti dai radicali è una scelta grave. Essa colpisce l'istituto del referendum, che ha svolto nella dinamica politica dell'Italia degli anni '70 un ruolo assai maggiore di quello previsto dalla Costituzione.
In questi anni una crisi profonda di estraneità allo Stato ed alle sue istituzioni si è abbattuta sul paese. Il regime democristiano è uno specifico italiano della crisi, ma l'ingovernabilità è il problema comune di tutte le società sviluppate, con la sola eccezione del Giappone felice che vince sonoramente la guerra perduta. Lo è anche delle società dell'Est che sono costrette a mantenersi entro schemi rigidi non solo dalle loro insufficienze economiche ma anche da una crisi culturale che è la stessa dell'Occidente, che dissocia la persona e le istituzioni, separa la società dallo Stato.
Il referendum è stata una risposta italiana originale alla crisi, la grande invenzione radicale: rispondere alla disaffezione verso la democrazia rappresentativa mediante l'esercizio della democrazia diretta. Ed è il referendum che, in tema di divorzio, ha registrato la prima grande crisi istituzionale, la più imprevedibile in Italia: quella della famiglia.
L'altra risposta specifica italiana, anche se diffusa fuori d'Italia, è stata la violenza: quella terroristica e quella non terroristica, quella rivoluzionaria e quella corporativa, quella delle bande e quella delle mafie.
I dieci referendum radicali proponevano la figura del messaggio non violento. Nella pressoché totale latitanza delle chiese, i radicali offrivano un'alternativa politica che era anche un'alternativa morale e civile: la partecipazione al posto della disperazione e del rifiuto, il voto diverso dal sistema al posto del rigetto violento del sistema.
Si potrà dire che questo messaggio è tenue, ma non ne conosciamo al presente altro più efficace. Esso sta pervadendo di sé, nonostante l'antipatia per i radicali a causa delle forme graffianti e vistose della loro differenza, anche la sinistra storica, nella sua base come nei suoi quadri. Il messaggio radicale opera nelle zone di confine tra la violenza e la non-violenza: e solo orologi fermatisi al tempo di Giolitti possono misurare i due tempi come se fossero uno solo, e vedere nel partito radicale una sorta di volto politico del terrorismo.
I dieci referendum miravano a creare un clima di partecipazione e d'impegno politico, cioè a ritrovare la fiducia civile al di sopra della crisi congiunta dell'amministrazione pubblica e dei partiti. Temi come la caccia, le centrali nucleari, i reati di opinione, le droghe leggere investivano quei problemi del morale e del civile che danno oggi la maggior densità umana al politico. Perfino il referendum, un po' singolare, sulla smilitarizzazione della Guardia di Finanza acquistava un suo senso proprio dopo che lo scandalo dei petroli aveva rivelato il pessimo uso che si poteva fare, in materia tanto delicata quanto la fiscale, della disciplina militare.
Insomma, i dieci referendum costituivano un tutto unico ed erano proprio quelli più carichi di dinamica e di attualità che davano senso al tutto. Ma sono stati essi quelli tolti di mezzo.
Non conosciamo gli argomenti giuridici della Corte e sappiamo del resto che l'esegesi giuridica non è mai logicamente incontrovertibile. Ma non dubitiamo dell'istinto politico della Corte: essa ha selezionato, come giustamente ha notato su questo colonne Rodotà, proprio i referendum che davano significanza politica al tutto.
Con ciò la Corte ha rivelato la sua fisionomia politica: la proposta Rodotà di rendere pubbliche le divisioni che in essa si verificano, implica la presa d'atto di questa natura della Corte. Ma apre al tempo stesso una discussione sulla sua figura, in un ordinamento in cui la politicità si legittima con la democrazia e dà come regola il consenso popolare.
La consultazione referendaria rischia ora di cambiare segno politico e di essere dominata dai referendum sull'aborto: un argomento non entusiasmante per nessuno e che è quindi, al livello in cui ci troviamo, nutrito di passioni artificiali.
Referendum così svincolati dal loro contesto come quelli sui tribunali militari o sul porto d'armi o sul medesimo decreto Cossiga, da cui però è stato escluso il fermo di polizia, saranno vissuti più come un appello tacito alla maggioranza silenziosa che come una vera apertura di dibattito sulle stesse questioni che la maggioranza silenziosa pone.
Sconfitti i tavolini radicali sono comparsi, segni dei tempi, i tavolini missini per la pena di morte. I referendum radicali offrono ora a questi tavolini l'occasione di trasformarsi in pulpiti. Questo clima referendario incide sulla campagna elettorale amministrativa, vista la concomitanza delle due consultazioni. E questa combinazione dovrebbe impensierire i socialisti.
Avendo scelta la vita del referendum come via principale della loro figura politica, i radicali, con una coerenza che era sembrata perfino eccessiva, avevano scelto, nell'ultima tornata, di disertare le urne amministrative. Era una decisione rara, in un paese dove i partiti non rinunciano né ad un seggio né ad un voto. Dell'astensione radicale, i socialisti avevano beneficiato, e, in cambio, avevano offerto il loro patrocinio politico ai referendum. Questo patrocinio sembra ora essere stato modesto, ed i radicali accusano addirittura i socialisti di essere stati discreti sostenitori del rigetto dei migliori referendum.
Questo dibattito forse continuerà: sta il fatto che i socialisti non hanno criticato la decisione della Corte ed hanno perfino espresso la solidarietà al suo presidente. Non si tratta ovviamente qui di questioni personali ma di questioni politiche. Il rischio è che, mentre l'intesa tra socialisti e radicali era stata un elemento significativo delle precedenti elezioni amministrative, la polemica tra socialisti e radicali sarà una caratteristica della prossima consultazione: assieme alla polemica tra socialisti e comunisti. Del resto, il contenzioso tra socialisti e repubblicani sul caso D'Urso è stato troppo vistoso per non avere eco elettorale e per non continuare, come tuttora accade, ad alimentare la polemica politica.
Il risultato paradossale è che i migliori amici dei socialisti sembrano divenuti i democristiani del preambolo, cioè proprio quelli cui i socialisti vorrebbero togliere la presidenza del Consiglio. L'isolamento dei socialisti può essere splendido, perché si accompagna ad un vorticoso ricambio delle alleanze. Ma è forse proprio questo equilibrio instabile del Psi la premessa immediata al rischio di nuove elezioni.