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Jannuzzi Lino, Liguori Paolo - 1 marzo 1981
LA PELLE DEL D'URSO: (1) Qui Radio Radicale
Intervista a Lino Jannuzzi a cura di Paolo Liguori

SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.

("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Edizioni Radio Radicale - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)

Qui Radio Radicale

Intervista a Lino Jannuzzi

"Hanno detto che se ci fosse già stata la Radio Radicale, tre anni fa, oggi Aldo Moro sarebbe ancora vivo: come Giovanni D'Urso. Credi veramente che sarebbe stato possibile?"

Una cosa si può dire, che se ci fosse stata la Radio Radicale il black out non sarebbe riuscito. Nemmeno allora.

"Ma allora non si parlò di black out... E se qualcuno ne parlò, certo non se ne fece niente. Tutti pubblicarono tutto: le lettere di Moro, le fotografie, i comunicati e i documenti delle Brigate rosse..."

Il vero black out fu fatto allora. Fu anche più di un black out. Fu messo il coprifuoco: il Parlamento fu chiuso il giorno stesso del rapimento di Moro e non fu più riaperto per due mesi. Un deputato era stato rapito, i suoi colleghi non ne discussero mai: quando Moro scrisse a Ingrao, Ingrao nascose la lettera anche ai presidenti dei gruppi parlamentari. Nemmeno il consiglio dei ministri discusse mai sul da farsi: il governo rimase in carica per l'ordinaria amministrazione, il disbrigo degli affari correnti. Andreotti prese le sue decisioni da solo, e le annunciò dopo un'ora, quando non si sapeva ancora se Moro fosse vivo o morto. Gli altri due mesi, li passò al telefono con Berlinguer. I partiti furono come sciolti: la loro vita normale, quella prevista dagli statuti e dai regolamenti, venne sospesa. Come in Turchia, dopo il colpo di stato. La democrazia cristiana non riunì mai il suo consiglio nazionale, nemmeno quando Moro, che ne era il presidente, lo convocò per lettera dal ``carcere del popolo''. Nemm

eno la direzione della DC fu mai riunita: tutti i poteri furono assunti da una specie di comitato di salute pubblica, che si autonominò, e si autodefinì ``delegazione''. Furono sospesi anche gli incontri tra i partiti, i famosi ``vertici'': solo una volta Craxi incontrò Berlinguer per caso, nel cortile di Palazzo Chigi, e si scambiarono due chiacchiere sulla situazione. Se non fu black out quello...

"Ma i giornali pubblicarono le lettere, e i comunicati..."

Le lettere di Moro furono spacciate per falsi, e Moro fu dato per pazzo: i suoi migliori amici, ivi compreso un vescovo, si riunirono per scrivere che ``Moro non è più lui''. Furono mobilitati psichiatri, psicanalisti, grafologi, biologi, farmacisti, indovini, veggenti. Alla fine si decise che Moro, più che un drogato, era un vigliacco: fu paragonato a Matteotti, e ai combattenti della Resistenza che, torturati dai nazisti, non avevano parlato. Fu chiusa la bocca anche alla moglie. Ecco: se ci fosse stato la Radio Radicale, Eleonora Moro avrebbe potuto parlare, come ha parlato Franca D'Urso. E l'avrebbero sentita in molti, fin dentro il ``carcere del popolo''...

"Ma perché tanta gente doveva ascoltare proprio Radio Radicale?"

Per le notizie, innanzi tutto. Davamo notizie, notizie, notizie. Tutto il giorno e tutta la notte. Passavamo tutto e prima di tutti. L'afasia della radiotelevisione di stato e la censura dei giornali di regime giocavano a nostro favore: la gente cercava alla Radio Radicale quello che non trovava sui giornali. I giornali erano, più che mai, tutti uguali, scritti dalla stessa mano: Almirante, Montanelli, Valiani, Scalfari, Pecchioli dicevano le stesse cose. Ed erano le stesse, identiche cose di tre anni prima. Come se al ``Corriere della Sera'' e a ``Repubblica'' ristampassero i numeri del marzo 1978 con la data del dicembre 1980, e senza più la tensione di allora. Con noi gli ascoltatori seppero subito che le cose erano cambiate, e come e perché erano cambiate. E come e perché sarebbe potuta finire, doveva finire in un modo diverso. Con noi la gente è entrata nel Parlamento, nella casa di D'Urso, nelle carceri. Persino nei covi dei terroristi. E' stata coinvolta, si è sentita partecipe, ha vissuto tutta la vi

cenda in prima persona, giorno dopo giorno.

"Radio Radicale è arrivata fino a lì? Come fai a esserne sicuro?"

Già in partenza, al momento del rapimento di Giovanni D'Urso, la rete di Radio Radicale era molto estesa: coprivamo in pratica tutte le grandi città. Quando ci siamo resi conto che la partita decisiva si giocava tra la gente, abbiamo fatto uno sforzo per potenziare gli impianti e aumentare la potenza dei trasmettitori. Poi si sono collegate alla nostra rete una miriade di radio autonome e di piccole e piccolissime radio libere. Come in Cecoslovacchia, in quell'estate del '68, quando arrivarono i carri armati sovietici...

"Quanta gente potevate raggiungere?"

Gli esperti hanno calcolato un bacino potenziale di almeno dodici milioni di ascoltatori. Già all'inizio. Verso la fine, nei momenti più drammatici, quando il tam-tam radicale rimbalzava persino nei radiotaxi in corsa per la città, abbiamo certamente avuto più ascoltatori di quanti non siano in questo paese i lettori di tutti i giornali messi insieme.

"Quando è che vi siete resi conto che la cosa funzionava?"

Quasi subito... Direi addirittura il 16 dicembre, tre o quattro giorni dopo il rapimento di D'Urso. Quel giorno trasmettemmo in diretta il dibattito a Montecitorio, e per i radicali parlò Marco Boato. Questo giovane professore di Trento, che è stato compagno d scuola di Curcio, sa di terrorismo molto di più del generale Dalla Chiesa, per non parlare dei poveri cronisti dei nostri giornali: si alzò e in n quarto d'ora spiegò come stavano veramente le cose, mentre dal banco del Governo Sarti e Rognoni, e una mezza dozzina di sottosegretari, lo ascoltavano a bocca aperta. In un paese serio, dove la stampa fosse libera e i giornalisti sapessero fare il loro mestiere, quel discorso sarebbe stato l'indomani sulle prime pagine dei giornali, e i signori direttori gli avrebbero dedicato l'articolo di fondo. L'indomani Valiani e Scalfari replicarono le solite fesserie, e del discorso di Boato nemmeno una parola. Alla radio fummo subissati dalle telefonate degli ascoltatori, che volevano risentirlo: lo facemmo andare d

ue o tre volte, quella sera stessa, e poi ancora nei giorni successivi.

"Non avrete trasmesso giorno e notte, per un mese intero, un discorso di un quarto d'ora..."

Quello fu solo l'inizio. Nei giorni successivi ci concentrammo sulle carceri: anche i più sprovveduti e i più censurati avevano capito che la questione era tutta lì. Solo che gli altri, sui giornali e alla Tv, ne facevano una questione nominalistica. Per giorni e giorni un ritornello, monotono e insignificante: questa Asinara, la chiudiamo o non la chiudiamo? Ti puoi immaginare come questi poveri lettori si divertissero... Noi abbiamo preso la gente per mano, e l'abbiamo portata dentro l'Asinara, dentro le carceri speciali, dentro le celle di terroristi, degli autonomi, dei comuni. Abbiamo un archivio esclusivo e spettacolare: da anni i radicali passano il loro tempo a visitare le carceri. Quando ne escono, parlano, raccontano, propongono: abbiamo i discorsi della Aglietta, che fu giurato a Torino, al primo processo contro Curcio, e fece un digiuno di settanta giorni per la riforma carceraria; e quelli di Emma Bonino, che si dimise da deputato per protestare contro la mancata riforma degli agenti di custodia

; e quelli di Mimmo Pinto, che quando racconta di Alberto Buonoconto, il nappista che proprio in quei giorni si è suicidato, farebbe piangere anche Valiani. Tutta questa roba non veniva inventata e preparata per l'occasione: ha una data certa, precorritrice e premonitrice. Se nel Palazzo li avessero ascoltati a tempo debito, le Brigate rosse non avrebbero avuto ogni un facile bersaglio. Riascoltandoli tutti insieme, l'impressione è enorme, e la gente non può sottrarsi ad una conclusione obbligata: ma allora questi qui avevano capito, avevano ragione... Non sarà il caso di dargli fiducia? O almeno di ascoltarli, di continuare a sentire cosa dicono?

"E hanno continuato..."

Certo... Non si sono più staccati dalla radio: c'è gente che la teneva accesa giorno e notte. Pensa: ad un certo punto Di Bella e Barbiellini Amidei non hanno fatto più scrivere Sciascia sul ``Corriere''. E Sciascia è venuto alla radio e ha cominciato a parlare dai nostri microfoni: lui che non ha mai ascoltato una radio, e quando parla in pubblico o in privato si esprime a monosillabi. Tu, lettore del ``Corriere'', che avresti fatto?

"Sarei passato ad ascoltare le radio..."

Credo che così abbiano fatto tutti i lettori di Sciascia, che sono tanti. Ma credo che sia successo anche un'altra cosa, che Sciascia attraverso la radio è arrivato anche dove non sono ancora arrivati i suoi libri. Certamente ha avuto una funzione e un peso, che gli erano stati impediti all'epoca dell'affare Moro...

"Vissuto dai microfoni della Radio Radicale, quale è stata, secondo te, il momento più drammatico?"

Quella sera del 4 gennaio, quando è arrivato il comunicato delle Brigate rosse che condannavano a morte Giovanni D'Urso. Stavamo discutendo con gli ascoltatori della lettera di Pannella alle BR, del ``dialogo'' e dei ``compagni assassini'': era un ``filo diretto'', quella cosa che la gente ti telefona per ore ed ore da tutta Italia, e ti pone le domande più inquietanti. In studio c'era Franco Roccella. Ad un certo momento arriva una telefonata da Milano: una voce di donna, dice di chiamarsi Daniela e di essere la compagna di un autonomo. Bene, cosa vuoi? No, dice, io non voglio niente, devo darvi una notizia. Di che si tratta? Si tratta che voi non sapete ancora la verità sul blitz dei carabinieri nel carcere di Trani, non è vero che sia andato tutto liscio, laggiù c'è gente con la testa rotta, il torace sfondato, le mani fratturate, perché i vostri deputati non vanno a vedere? Succede un putiferio, si accavallano le chiamate. Chiama pure Pannella, che dice che non ascolta mai la radio, ma poi chiama sempre

nei momenti giusti: bisogna andare subito giù, dice, chiamate i deputati. Tutto questo sempre in diretta, con la gente che ascolta... Esattamente a questo punto arriva il comunicato delle BR con la condanna a morte...

"Per chi sentiva, doveva essere emozionante..."

Questo è ancora niente. Voglio dire che a cose come queste gli ascoltatori di Radio Radicale sono persino abituati. Sono numeri che succedono spesso. La novità assoluta, anche per i nostri ascoltatori arriva ora. Tiene presente lo scenario: seduto in studio, davanti ai microfoni, c'è Franco Roccella, che legge il comunicato BR. Dall'altro capo del filo c'è questa Daniela, che ha chiamato da Milano, sull'altra linea Pannella. Intorno, sparsi in tutta Italia, migliaia e migliaia di ascoltatori, e tra gli ascoltatori ci sono la moglie e le figlie di Giovanni D'Urso, e ci sono i terroristi che lo hanno condannato a morte. Ebbene: la trasmissione continua. Si discute subito, là, davanti a tutti, sul da farsi. Le Brigate rosse dicono che lo ammazzano se non si fa questo e quello: che facciamo? Roccella e Pannella si scambiano le loro opinioni, sempre in diretta: io farei questo, io quest'altro, forse è meglio quest'altro ancora... Uno dopo l'altro, chiamano i deputati e i senatori radicali, sparsi in giro... De Ca

taldo, Stanzani, Spadaccia, chiamano Pinto e Rippa che sono a Napoli... Ognuno dice la sua, la discussione va avanti per un bel po', poi decidono di convocarsi, sempre via etere, tutti alla radio, immediatamente, per concludere... Insomma: sarebbe come se la direzione del partito comunista italiano si riunisse, invece che alle Botteghe Oscure, sulla scalinata dell'Altare della Patria e discutesse dei rapporti con Mosca all'aperto, dinanzi ai microfoni, con piazza Venezia gremita di gente... Ecco che cosa è cambiato con la Radio Radicale, rispetto a tre anni fa: il destino di Moro fu deciso allora al telefono tra Andreotti e Berlinguer, il destino di D'Urso è stato discusso in pubblico dinanzi a mezza Italia.

"Hai detto che tra gli ascoltatori di Radio Radicale c'erano anche i terroristi. Lo presumi ragionevolmente, o hai avuto dei riscontri precisi?"

Diciamo che è una ragionevole presunzione: il professor Senzani, quello che faceva da corrispondente dell'``Espresso'' presso le Brigate Rosse, usava frequentare i caffè di piazza del Popolo, e a piazza del Popolo Radio Radicale si sente benissimo. Del resto, quando siamo andati alla stretta decisiva, dopo il comunicato della condanna a morte e la visita dei radicali alle carceri di Trani e di Palmi, il contatto è diventato, diciamo così, fisico, e tutta la storia della pubblicità dei documenti dei terroristi ha fatto perno sulla Radio Radicale.

"Vuoi dire che ai terroristi sarebbe bastata la pubblicità che ne avete data voi?"

Non esattamente. Ma la questione della pubblicazione sui giornali ne è risultata certamente ridimensionata, almeno sotto l'aspetto dei risultati concreti che volevano raggiungere. I conti li sapevano fare anche loro: se veramente il loro obiettivo era quello della massima diffusione possibile di questi loro famosi ed illeggibili documenti, non potevano non valutare già soddisfacente la diffusione che ne faceva Radio Radicale. Li abbiamo passati per una settimana, più volte al giorno, su tutta la rete nazionale, con tutte le altre radio collegate, su tutte le fasce di ascolto, e con un ascolto che a quel punto aveva toccato il record. Non a caso Curcio, che tra di loro è certamente quello che capisce di più, nel comunicato di Palmi non parlerà più dei giornali, ma soltanto dei ``canali della comunicazione sociale''.

"Secondo te, nell'avanzare quelle richieste, i terroristi avevano anche altri obiettivi?"

C'era anche un risvolto provocatorio. Riflettiamo un momento: che bisogno avevano di chiederlo in maniera così perentoria? Questi nostri giornali gli hanno sempre pubblicato tutto, e gratis: tonnellate di piombo e di carta. Hanno sempre subìto con entusiasmo il loro, sempre implicito, ricatto. Per due motivi, ai quali giornali e giornalisti di questo Paese non hanno potuto mai sottrarsi e mai potranno sottrarsi in futuro, se le cose restano così: per vendere i loro giornali, che altrimenti si venderebbero anche meno di quanto già non si vendano, e per servire il regime, che del terrorismo e della sua esaltazione ha bisogno per sopravvivere. E sicuramente gli avrebbero pubblicato anche queste altre due colonne di piombo: perché mai allora provocarli, rendendo esplicito un ricatto che aveva sempre funzionato così bene finché era rimasto implicito?

"Già, perché?"

Un po' perché a questi qui gli piace fare i duri, esattamente come piace ai Valiani e agli Scalfari, di cui i terroristi sono l'immagine speculare. E un po' proprio per farsi dire di no, ché in mezzo a loro, come al vertice dei giornali, non mancavano certamente quelli che avevano una gran voglia che questa storia finisse nel sangue, come per Moro. In questo aveva ragione Sciascia: bisognava togliergli tutti gli alibi, bisognava mettere le Brigate rosse con le spalle al muro.

"E' per questo che avete premuto tanto sui giornali, fino a minacciarli e fargli violenza?"

Noi non abbiamo minacciato nessuno. La violenza è stata quella fatta dai giornalisti sulla gente, negandogli la verità: dai direttori sui giornalisti, impedendogli di pronunciarsi sulla questione; e dalla proprietà sui direttori, decidendo al loro posto. Alla gente i giornalisti hanno negato la verità su ciò che veniva detto in Parlamento, su ciò che chiedevano Franca D'Urso e Leonardo Sciascia, su ciò che veramente facevano i radicali, che sono stati presentati come complici dei terroristi e traditori della Repubblica. E questo è stato l'unico black out concretamente attuato. Ai giornalisti i direttori hanno impedito di riunirsi in assemblea per decidere sul da farsi, e li hanno persino individualmente ricattati, gli hanno detto che se avessero firmato l'appello di Sciascia era come se avessero denunciato gli altri colleghi ai terroristi. Ai direttori la proprietà, e qualche volta una proprietà segreta e misteriosa, come quella del ``Corriere'', ha espropriato qualsiasi autonomia di decisione, decidendo per

tutti. E' inutile che Di Bella faccia il gradasso e Barbiellini Amidei la mammoletta: non sono loro che hanno deciso al ``Corriere'', loro sono dei pupazzi. Ha deciso la proprietà, per il ``Corriere'' e per tutti i giornali della catena così detta Rizzoli: e ha deciso secondo la volontà dei misteriosi personaggi che continuano a prevalere centinaia di miliardi dalla banche di Stato, e cioè dalle tasche della gente, per buttarli nella voragine del deficit della Rizzoli. Sono costoro che hanno deciso di farsi la pelle di D'Urso per i loro calcoli di potere. Questa è stata la violenza: i direttori dei giornali che non hanno pubblicato sono tutti lì, tranquilli e tronfi, e in Parlamento Di Giulio e Spadolini gli volevano dare anche la medaglia. Quei pochi che hanno avuto il coraggio di pubblicare, se la sono vista brutta: Zincone è stato licenziato in tronco, e quasi gli chiudevano il giornale; Piazzesi, che voleva pubblicare e l'ha scritto, è stato sul punto di essere licenziato, e comunque gli hanno impedito

di prendere anche i soli annunci pubblicitari; a Tito e a Emiliani è andata un po' meglio, ma devono stare in guardia. Tito del resto è già in esilio a Genova per l'atteggiamento coraggioso assunto durante il caso Moro.

"Tuttavia voi li avete chiamati ``i giornali della morte...''."

``Giornali della morte'', li ha definiti Franca D'Urso in quella famosa telefonata a Radio Radicale. E dimmi tu se non aveva ragione di farlo. Queste poi sono ipocrisie di vigliacchi. Tu decidi di non pubblicare, sei padrone di farlo, ma perché non ti vuoi assumere la responsabilità di chiamare le cose con il loro nome? Per questo, devo dire, evviva la faccia di bronzo di Scalfari. Lui almeno ha avuto il coraggio di scriverlo, al tempo di Moro. Si tratta di scegliere, scrisse: o salvare la vita di un uomo o difendere la Repubblica. Fosse o non fosse vera l'alternativa, e non era vera; ne fosse o non fosse convinto, e dubito che ne fosse convinto; almeno l'ha detto: facendo questa scelta, si sacrifica la vita di Moro! Questi altri no: sceglievano di sacrificare la vita di D'Urso, ma non glielo si doveva dire. Noi, Franca D'Urso, la gente che ci ascoltava e li ha chiamati al telefono, glielo abbiamo detto. Tutto qui.

"Devi ammettere comunque che in quanto al linguaggio non scherzate: i giornali della morte, il partito della forca, i boia dell'informazione, i brigatisti del video... Pensa a quelli che se lo sono sentito dire da centinaia e centinaia di telefonate: al ``Corriere'' è saltato il centralino... E poi dite che siete non violenti..."

Questo è un altro equivoco. A furia di non occuparsi mai dei radicali, di distorcerne le posizioni, di censurarli, questi giornalisti si erano fatta un idea sbagliata: la prima vittima della censura è spesso il censore... Per molti di loro il radicale, il nonviolento è come dire quello che prende gli schiaffi. Grave errore! Il nonviolento è duro, molto duro da scorticare: credo che questa volta se ne siano resi conto anche i terroristi... Figurati i giornalisti: erano abituati al monopolio, come al tempo di Moro, e hanno visto improvvisamente i loro lettori in balia delle onde della Radio Radicale... Posso capire come a qualcuno sono saltati i nervi. Vuol dire che ora sono avvertiti...

"Anche i terroristi, dici..."

Certo, anche i terroristi. Questi eroi dell'imboscata, del colpo alla nuca, del ricatto con la pistola puntata alle tempie di un inerme, dei processi nelle cantine, sotto le tende, con il volto nascosto... anche loro si devono essere fatta un'idea sbagliata. Figurati: la nonviolenza li farà ridere, a questi rivoluzionari da operetta. Mai che si sarebbero immaginato che dovevano finire a dialogare con noi, a confrontarsi e a scontrarsi proprio, e quasi unicamente, con noi... Prendi il caso della rivolta di Trani: per giorni e giorni i giornali di regime hanno raccontato alla gente che Toni Negri stava con loro, che era stato addirittura il capo della rivolta, che gli autonomi e i comuni avevano fatto blocco con i terroristi; e questo ineffabile magistrato, il giudice Sica gli ha fatto anche i mandati di cattura, mettendoli tutti insieme, nello stesso sacco... Gli hanno fatto un regalo da niente alle Brigate rosse: era esattamente questo che volevano. Poi sono andati i radicali, hanno parlato con tutti, hanno

fatto parlare tutti, hanno distinto e separato gli uni dagli altri. Abbiamo rilanciato con la radio fuori e dentro le carceri la verità...

"Vi ascoltano nelle carceri?"

Che vuoi che leggano il ``Corriere''? Sai che gli frega degli articoli di Valiani... Se ci sono ambienti ormai ancorati all'ascolto della Radio Radicale, sono questi: le carceri, quelli dell'autonomia, tutto il mondo così detto garantista, e quello della protesta e del rifiuto: proprio quel mondo a cui tentano di rivolgersi i terroristi. Le Brigate rosse non possono ignorarlo: là ci incontriamo e ci scontriamo, e la gente ci giudica, noi e loro. E non possono sfuggire a questo confronto e a questo giudizio.

"La cosa dunque non è finita con la liberazione di D'Urso..."

Siamo appena all'inizio. Solo per restare alle carceri, la situazione è esplosiva. Ci chiedevano che cosa avremmo fatto la prossima volta, al prossimo sequestro, al prossimo ricatto. Bisogna chiedere a loro che cosa pensate di fare, che cosa stanno facendo per evitare che ci sia una prossima volta... Niente, non stanno facendo assolutamente niente. Il governo gioca con il fermo di polizia, e sa che non serve a nulla. Dalla Chiesa sposta i terroristi da un carcere all'altro, come se il problema non fosse lo stesso dovunque. Pecchioli e Gallucci continuano ad arrestare anche quelli che non c'entrano, tanto per aumentare il casino e aggravare l'ingorgo. E li massacrano di botte, di notte nelle celle, così per far calare la tensione. Questi sono pazzi... Anche questa storia della differenziazione, di cui menavano vanto. E' stata proprio una bella trovata: li hanno separati dai comuni e li hanno concentrati insieme, così hanno ricostituito nelle carceri l'organigramma delle BR, le colonne, le brigate, la direzion

e strategica... Hanno fatto come con la mafia. E nessuno di questi grandi giornalisti del cavolo che si ergono a vestali dello Stato contro il cedimento al terrorismo, ha ancora pensato di farci su un'inchiesta. E a quelli che potrebbero farla, come Bocca, non li fanno scrivere... Dimmi tu se in queste condizioni non serve la Radio Radicale, e dove si deve attaccare la gente, per non perdere ogni speranza, se non alla Radio Radicale... Quindi altri più che staccare la spina, hanno spento la luce, e sono rimasti al buio.

"Possiamo concludere così, che voi state cercando di fare un po' di luce in questo buio..."

Possiamo concludere come Sciascia, quando nel buio della sua campagna ritrovò la lucciola: ``Era proprio una lucciola, nella crepa del muro. Ne ebbi una gioia intensa. La gioia di un tempo ritrovato, e di un tempo da trovare, da inventare''.

(intervista a cura di Paolo Liguori)

 
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