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Sarti Adolfo, Roccella Franco, Boato Marco - 1 marzo 1981
LA PELLE DEL D'URSO: (26bis) Il secondo dibattito alla Camera dei deputati: l'intervento del ministro Sarti, i due interventi di Franco Roccella e l'intervento di Marco Boato (9 e 10 gennaio) (seconda parte)

SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.

("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)

(seconda parte - continua dal testo n. 1795)

L'intervento di Franco Roccella del 10 gennaio

"Roccella". In apertura del dibattito i radicali hanno formulato una richiesta che invocava la presenza del Presidente del Consiglio nel dibattito stesso. Dichiarata improponibile la nostra richiesta, abbiamo dovuto ripiegare su un espediente procedurale per cercare lo spazio nel quale i partiti potessero riflettere sulla nostra richiesta; l'alternativa è che la richiesta insorga da un cospicuo settore della Camera, e in tal caso sarà la benvenuta. In ordine a ciò e alla ipotesi procedurale da lei suggerita, dico subito che penso, anzi mi consta, che gran parte dei deputati radicali iscritti per le repliche (non di tutti, perché non ho avuto modo di interpellarli tutti) sarebbero disposti a rinunziarvi, non a scatola chiusa, ma solo che ci venisse notificata la disponibilità del Presidente del Consiglio a venire alla Camera e a partecipare al dibattito. Se questo dovesse avvenire, noi siamo a nostra volta disponibili; lo sono io stesso mentre parlo, se l'annunzio viene dato durante il mio intervento. Ho dett

o ieri, illustrando le interpellanze da me presentate, che il terrorismo è un fenomeno politico fisiologicamente collocato nella storia di questa Repubblica e che, pertanto su di eso non si vince se non con una strategia e una proposta politica. Bene, la sua risposta, signor ministro della giustizia, è la dimostrazione evidentissima della mancanza di ogni politica da parte del Governo da lei rappresentato. Io non pretendo ovviamente che lei condivida la diagnosi specifica e le soluzioni da me proposte, per carità! Pretendo che dalle sue parole, però...

"Sarti. Ministro di grazia e giustizia". ...anche perché non le ho afferrate bene, e forse è colpa mia: non ho capito in cosa consista!

"Roccella". Sarei tentato, signor ministro, di dirle che davvero è colpa sua, ma non pretendo questo: pretendo che, dalle sue parole, traspaia una linea di intelligenza dei fenomeni e di coerenza degli interventi: ma non c'è nemmeno questo!

Il terrorismo è organico

Rimedio subito: penso che il terrorismo sia organico al modo in qui in questo paese è stato gestito il potere (è un concetto semplice e chiaro) dal Governo e dall'opposizione, signor ministro; organico, al modo in cui è stata determinata la crescita della società. Il terrorismo è un momento degenerato e disperato della protesta provocata dalla violenza del potere, e mi sto spiegando chiaramente, signor ministro, per farle capire qual è la nostra posizione; penso quindi che il terrorismo sia un momento della protesta provocata dalla violenza del potere, dalla ingiustizia, dalla sistematica violenza della menzogna, della corruzione, delle strumentalizzazioni, del clientelismo, del cinismo e via di questo passo.

La cultura della Realpolitik

Tutti questi vizi sono ampiamente riconosciuti dall'opinione pubblica e da questa Camera. D'altra parte, la proposta deriva dalla violenza di un'egemonia oppressiva esercitata dalla sinistra sulla società civile; dal conseguente rifiuto della sinistra di misurarsi in termini di rischio con le nuove domande di libertà che lievitano nella coscienza del nostro tempo; dalla pratica di una "realpolitik" derivata da una precisa cultura, sempre a carico della sinistra.

Ritengo, quindi, che la risposta politica di fondo, non più rinviabile di fronte allo sfascio del paese, sia l'alternativa realizzata dall'unico schieramento che ha sollecitato in questo paese un significativo ed esclusivo rinnovamento di valori: lo schieramento divorzista, sin da ora maggioritario. Questo, in sintesi, ma, naturalmente, non è la sola proposta, e ve n'è un'altra, articolata in due versioni: quella cosiddetta della fermezza, coerentemente ed energicamente articolata nelle versioni comunista e del Movimento sociale italiano. Il male è che per la politica prospettata, la sua è un'indicazione ambigua, equivoca e direi mistificata e mistificatoria, che tradisce innanzitutto una scarsissima attenzione politica del fenomeno che, ripeto, è politico: la sua sembra essere la scelta della fermezza; ma, mentre dietro la fermezza del partito comunista e del Movimento sociale italiano, la proclamazione dello stato di guerra per fronteggiare il terrorismo si rifà ad una cultura che investe una concezione de

llo Stato, della società civile e dei rapporti con le istituzioni, la sua fermezza si esaurisce nella risorsa poliziesca e militare, emblematicamente riassunta nell'incredibile discorso rivolto giorni or sono dal Presidente del Consiglio ai carabinieri, che per fortuna non l'hanno recepito.

"Boato". Speriamo, che non l'abbiano recepito!

L'Asinara e Faina

"Roccella". Un'indicazione chiarissima della sua ambiguità obiettiva è emersa nella sua risposta, quando ha parlato dello smantellamento della sezione "Fornelli" dell'Asinara e della libertà provvisoria concessa dalla magistratura al Faina. Le ragioni in forza delle quali giustifica il primo, sono le stesse in forza delle quali condanna la seconda, sfalsando i livelli dei due interventi che sono sullo stesso piano e si reggono sulla stessa logica.

Ha ragione Labriola: lei giustifica il primo, dicendo che non poteva interrompere l'esecuzione di un piano autonomamente predisposto dal Governo, solo perché si era inserito il ricatto delle Brigate rosse; nel contempo lei condanna la seconda, perché ritiene che lo stesso ricatto giustificasse l'interruzione di un atto anch'esso autonomamente predisposto dalla magistratura, cioè dallo Stato, in applicazione della legge! Lei giustifica lo smantellamento dicendo che, se vi foste fermati di fronte al rapimento D'Urso, avreste rinunziato all'autonoma capacità dello Stato di gestire le proprie decisioni; lei condanna la libertà provvisoria perché ritiene che il rapimento del magistrato possa invece provocare da parte dello Stato la rinunzia all'autonoma capacità di far valere le sue leggi. E' questa una contraddizione: qual è la verità? In noi sorge un sospetto.

"Sarti. Ministro di grazia e giustizia". Le chiarirò una volta per sempre questa contraddizione non esiste. Mi spiace se questa non è l'opinione del mio amico Labriola, perché lo Stato ed il Governo si trovano in posizioni ben diverse rispetto al problema dell'Asinara e rispetto profondamente, della magistratura. Non esiste alcuna contraddizione.

"Roccella". Le sfugge, signor ministro, un particolare, cioè che la magistratura è lo Stato. Le decisioni della magistratura sono lo Stato, così come lo Stato è il Governo.

"Sarti. Ministro di grazia e giustizia". La magistratura non fa quello che dice il Governo!

"Roccella". Le decisioni del Governo sono autonome e salvaguardate, quelle della magistratura no, sono subordinate al giudizio d'opportunità!

"Presidente". Onorevole Roccella, assolverà il Presidente che, non entrando nel merito, ma essendo anche magistrato, si permette di fare una sottolineatura: la magistratura è autonoma ed indipendente grazie ad una battaglia alla quale, modestamente, partecipai anche io, in questa aula, con grande commozione, all'Assemblea costituente.

Autonoma ed indipendente è la magistratura della Repubblica democratica; non autonoma ed indipendente sulla luna.

In secondo luogo, il Governo ha le sue autonome responsabilità. Pensare che non sia legittimo un commento su ciò che fa il magistrato, nel rispetto totale della sua indipendenza, sarebbe pensare cosa che è totalmente fuori dal concetto della libertà in uno stato democratico.

"Boato". Quando noi chiediamo questi commenti, ci vengono rifiutati!

"Roccella". Sono perfettamente d'accordo con lei, signor Presidente, ma oggi è in discussione la strana pretesa del governo di dare alla sua autonomia un valore che lo stesso Governo rifiuta all'autonomia della magistratura essendo, ripeto, Stato il Governo e Stato la magistratura. E questa è una contraddizione in forza dei valori costituzionali che lei ha richiamato.

Il governo non ha un politica

Ci sorge un sospetto. Non è, signor ministro, che la condanna dei giudici le è servita per compensare, con un gesto di fermezza, la "debolezza" nel caso Asinara? Non è che lei ha concesso ai socialisti lo sgombero dell'Asinara ed al "partito della fermezza" ha concesso la reprimenda alla magistratura per la libertà provvisoria di Faina? Solo così, infatti, si spiega questa obiettiva ed evidente contraddizione. Ma questa non è una politica, signor ministro: è un mediocre espediente tattico! Che lei e il suo Governo non abbiano una politica lo si riscontra, a grandi linee, da come sono gestite le carceri, cedute al terrorismo che se ne serve per un'azione, non solo carceraria, ma anche globale, oltre che come occasione di reclutamento.

Tutto ciò è favorito dalla permanenza nelle carceri di moltissimi detenuti in attesa di giudizio o per effetto della carcerazione preventiva. Su quest'ultima lei non ha detto nulla, come nulla ha detto circa la linea di condotta assunta nei confronti della magistratura, dei servizi segreti, dei pentiti. Lei ha taciuto sulla politica del Governo. Devo comunque rilevare che gli ultimi suoi accenni sono per la politica della fermezza. Ma non è lei, signor ministro, che la esprime e la gestisce; il "partito della fermezza" esiste ed include il partito comunista italiano, il partito repubblicano, gran parte, presumo, della democrazia cristiana, e, con le debite differenze, il Movimento sociale italiano. Questo è lo schieramento della fermezza che gestisce la politica della fermezza. Questo "partito" è emerso con il cosiddetto decreto antiterrorismo emanato da Cossiga che ha introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, elementi stravolgenti, rendendo in questo paese possibile con la sinistra quello che per cento

anni non era stato possibile contro la sinistra.

Non potete scommettere sulla vita di un uomo

Non abbiamo difficoltà ad ammettere, come ho detto ieri, che la "leadership" più significativa dello schieramento della fermezza è venuta dal Partito comunista italiano, disponendo questo Partito della maggiore forza ideologica e culturale e di tutto il corredo della "Realpolitik" necessario per esercitarla. Ma quale che sia il grado di energia del partito della fermezza, una cosa contesto ai suoi portatoti: opposizione e Governo non possono scommettere sulla vita di un uomo! E' proprio questo concetto semplice e chiaro che sfugge speciosamente alla coscienza di questa Assemblea. Non possono immolare un uomo all'idolatria di uno Stato (e di questo Stato) ripagandolo con un "requiem" cinico e pietistico. Quel prezzo sarebbe pagato ad un ricatto che questa gestione dello Stato, dal governo alla opposizione, ha contribuito a determinare: è uno Stato condotto allo sfascio costituzionale, istituzionale, morale e politico che si rifà su un olocausto come si è rifatto su tutti gli olocausti offertigli dalla barbari

e assassina del terrorismo. Questo è mostruoso!

A patto di un tradimento

Io contesto, alla opposizione ed al Governo, che si debba pagare questo ed un altro prezzo: la sopravvivenza della democrazia! Questa fermezza, la cui storia è fatta di mancanti adempimenti democratici, di malgoverno, di unanimismi, di patteggiamenti, di mercimoni, di cinismi, di militarismo (perché di questo è fratta la storia dello schieramento della fermezza), di tutto ciò che abbia un segno antitetico al libertarismo, è per la democrazia una minaccia mortale; e non vedo come si possa negare ciò: questa è la politica della fermezza e con essa si è connotata nella sua storia concreta. Questo tipo di fermezza non può mancare il destino della sinistra se non a patto di un tradimento: diciamolo con molta chiarezza, compagni comunisti! Ebbene, in questo non contate su di noi; noi faremo di tutto per salvare la vita di D'Urso, per quello che questo vuol dire; tutto il dovuto e il giusto.

Ma davvero ci sembra mostruoso, colleghi, che una classe politica che detiene, al Governo ed all'opposizione, il potere, gestendolo in modo da compromettere lo Stato e la società civile sino al punto in cui sono compromessi, recuperi la sua forza e riscatti la sua incapacità sulla pelle di un uomo. Ma la classe politica, in democrazia, deve mettere in giuoco se tessa con gli altri, che non c'entrano! Deve metter in giuoco se stessa e la sua capacità, i valori che è in grado di produrre e di sollecitare: capacità di buonsenso e di tutela della vita dei cittadini, non della loro morte!

Ma davvero si può ritenere che la vita di D'Urso e di quanti sono stati immolati su questo altare sia dovuta a Spadolini?

Ma in nome di che cosa, santo Iddio? Forse della sua volumetrica autorizzazione? Davvero si può pensare che la vita di D'Urso e tutte le altre vite siano dovute a Mammì, a Valiani, ad Almirante od al compagno Pajetta? Perché questa è la tesi che sostenete! Ma davvero credete che la pubblicazione dei comunicati delle Brigate rosse (avete fatto un gran chiasso su questa storia del documento pubblicato sull'"Avanti!": "E' una compromissione!", "E' un atto di complicità con il terrorismo") incida in termine di persuasione sulla gente fino al punto di segnare la vittoria del terrorismo? Ma voi non avete nulla da dire contro, per persuadere la tangente? Avete o non avete fiducia nella capacità di persuasione di quello che voi dite e che siete tenuti a dire alla gente? Questo è il terreno dello scontro, in democrazia, non il silenzio! Ma voi avete fiducia in voi stessi e nella gente? Nel gioco dei liberi convincimenti? Siete disposti o no a giocare questa partita? Perché, se siete disposti, non vedo che scandalo ci

sia nel dire alla gente quello che le Brigate rosse predicano o pensano; purché la classe politica democratica di questo paese sia disposta a correre il rischio di un giudizio sulla fiducia che essa stessa, per prima, deve avere nei valori di cui è portatrice. Eppure, non abbiamo altra risorsa che questa; non abbiamo altra risorsa che quella di punire il delitto e di fronteggiare con la nostra capacità politica un altro fenomeno politico sul terreno in cui avviene lo scontro politico.

Prendete gli assassini

Ma se credete davvero che la pubblicazione del discorso farneticante della Brigate rosse basti per segnare la loro vittoria, se così dovesse essere, la democrazia avrebbe già perso la sua battaglia. Quando diciamo e dite che nulla concederemo alle Brigate rosse, se non il giusto e il dovuto impegno del paese, non vi passa per la testa che il gioco dei liberi convincimenti e del confronto è giusto e dovuto non ai terroristi, ma alla democrazia, alla serietà di impegno e alla coscienza della classe politica? Ma di che vi scandalizzate? Prendete, colleghi, gli assassini; signor ministro, signori del "partito della fermezza", prendete gli assassini facendo funzionare la polizia, con la democrazia, non contro la democrazia! Puniteli facendo funzionare la giustizia nei termini della democrazia e non contro, o in deroga alla democrazia! E poi voi, perché questo è un dovere che vi spetta, confrontate liberamente le loro tesi, confutate le altrui, avendo fiducia nelle vostre, se sono democratiche!

Quali ``rimorsi'' Quali armadi

Mi pare, quindi, che sia davvero non solo ridicolo, ma anche pericoloso, lo scandalizzarsi dei documenti pubblicati, tant'è vero che produce il "black-out" sulla stampa, privando l'attività di informazione della sua propria moralità, che è quella di informare, e di sollecitare in questo paese, come in tutte le democrazie, il gioco dei liberi convincimenti: non c'è altra moralità in una stampa democratica! Non temete: noi non trattiamo e non tratteremo con il terrorismo. Useremo a fronte altra - ci denunzi pure, signor ministro, dia corso alla sua minaccia di denunziarci perché siamo andati a dialogare per salvare la vita di un uomo, anche per quello che questo vuol dire, ed ho spiegato ciò che vuol dire - useremo, dicevo, gli strumenti, le armi tipiche di ogni altra e forte civiltà democratica: la nonviolenza e il dialogo; è nostro e vostro dovere! Non avete altra risorsa al di fuori di questa! Ripeto: trovate gli assassini con la polizia democratica, unitevi alla magistratura democratica e misuratevi sul te

rreno in cui avviene lo scontro e il gioco dei liberi convincimenti, realizzando democrazia e forza di democrazia. Non c'è altro modo! Ma ne avete paura? Perché? Quali rimorsi sollecita dentro di voi questa ipotesi peregrina di misurarsi sul terreno democratico? Quali "armadi" apre questa minaccia nelle vostre storie? Quali, compagno Di Giulio e collega Franchi?

Concludo, signor Presidente: è questo ciò che dovevo notificare al Governo, a questa Camera e ai partiti politici. La scelta su cui stiamo giocando è quella di correre il rischio di far vivere o non, questa democrazia, assumendocene tutto l'onore, perché è nostro dovere, prima ancora di essere nostro diritto, e perché è l'unica nostra risorsa: non ne vedo altre! Questa notifica l'ho fatta, la scelta è su questo terreno: da un lato vi è la democrazia e la forza della democrazia e con essa il sacrificio, l'olocausto mostruoso della vita di un uomo e tutti gli olocausti che il terrorismo ha offerto al partito della fermezza.

L'intervento di Marco Boato (10 gennaio)

"Boato". Il cortese ministro Sarti si è spaventato del fatto che io possa parlare 45 minuti e penso che, se sarò in grado di farlo, tenterò di limitare questo mio intervento, perché di null'altro siamo tutti preoccupati qui, in questo momento, se non del fatto che l'esercizio del nostro diritto-dovere di parlamentari, in una situazione estremamente grave e drammatica - e Dio non voglia tragica anche questa volta - possa contribuire a far uscire la Repubblica italiana, che lei ha poco fa evocato, signor Presidente, la magistratura della Repubblica italiana, il magistrato D'Urso della Repubblica italiana, da una "impasse" che è veramente di estrema gravità e drammaticità e che spero, ripeto, non diventi di estrema tragicità.

Le parole di Rognoni

Volevo leggere a tutti, ma in particolare al ministro Sarti, alcune parole. "Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo non lascerà nulla di intentato, nei limiti delle sue possibilità, per raggiungere l'obiettivo, oggi primario, della restituzione del giudice D'Urso alla sua famiglia, di cui partecipiamo e viviamo l'angoscia, ed al suo lavoro, al suo posto nell'ordine giudiziario così duramente colpito. In questa prospettiva, il Governo praticherà ogni strada, e non trascurerà alcuna opportunità, che possa condurre ad un esito positivo di questa vicenda che partecipa, obiettivamente, dei valori più profondi del ``privato'' e, nello stesso tempo, si inserisce duramente nella vicenda più complessa ed articolata della comunità nazionale".

"...Il Governo non lascerà nulla d'intentato..."

Come lei ricorderà, signor ministro, sono parole con le quali il ministro dell'interno, Rognoni, nella seduta di martedì 16 dicembre, ha testualmente concluso il suo intervento. Svoltosi, allora, una replica estremamente critica, dando per altro atto - poiché non tutte le vacche sono nere, non tutti i discorsi uguali, e non deve essere monomaniacale l'atteggiamento nei confronti di un Governo rispetto al quale si è comunque all'opposizione - che un atteggiamento diverso, timidamente diverso emerga dalle parole del ministro. Diverso da che cosa? Rispetto al passato, rispetto, ad esempio, a quel tragico percorso che dal 16 marzo di via Fani al 9 maggio di via Caetani portò comunque Aldo Moro alla tomba, le Brigate rosse a non essere indebolite, lo Stato, la Repubblica, il Parlamento in una situazione prima drammatica e poi tragica. Dunque, nell'intervento del ministro Rognoni che ho citato, vi era un pur timido segno di una volontà politica dichiarata di non ripercorrere quel tragico cammino, e di non ripercor

rerlo per di più in modo rituale, stanco, liturgico, con un richiamo a posizioni che sembrano ormai quasi assunte per una astratta, addirittura solo ideologica, coerenza. Quando dico "astratta ed ideologica coerenza", non mi riferisco, in questo momento, tanto o soltanto a ciò che ieri il ministro Sarti ha detto alla Camera, quando e soprattutto a ciò che abbiamo udito nell'intervento del capogruppo del maggiore partito di opposizione, il partito comunista, cioè nell'intervento del compagno Di Giulio.

Il PCI primo della classe

Astratta, ideologica, al limite del disumano, coerenza da parte del gruppo comunista, che in questa occasione ha voluto fare tragicamente da primo della classe su un problema che ritenevo potesse essere finalmente affrontato, anche dal partito comunista, in modo diverso dal passato. Ritenevo infatti che anche il PCI potesse assumere, certo non le lezioni (non pretendo questo), ma lezioni (come tutti assumiamo) dalla storia, dai fatti concreti storicamente vissuti, e da ciò che dagli stessi può emergere. Non sono convinto signor Presidente, signor ministro, colleghi, che sia facile trovare una via d'uscita da questa situazione, anche se mi auguro e spero - non posso dire credo, ma vorrei quasi dirlo - che questa via d'uscita sia abbastanza vicina. Non ritengo però - ripeto - che esistano formule semplici e facili, per affrontare situazioni del genere.

Ritengo indecente, privo di qualunque pregnanza storica, politica, istituzionale, lo scontro puramente formalistico tra il Partito della ``fermezza'' ed il partito del ``cedimento'' o della ``trattativa''. Ritengo perfino difficile - e spero di non scontentare, dicendo ciò, qualche collega e compagno del mio gruppo -, anche se possibile, mantenere sempre rigorosamente distinti tra loro concetti come quelli del dialogo e della trattativa, su cui comunque - e giustamente - in questi giorni l'iniziativa autonoma del nostro gruppo parlamentare, come forza politica, si è sviluppata. Ritengo comunque difficile delimitare astrattamente, in termini puramente ideologici, questa vicenda: sarà poi, io credo, la verifica storica dei fatti che ci consentirà di dare un giudizio rigoroso su quanto è avvenuto. Ma, proprio per questo, sono spaventato da certe posizioni; e mi riferisco in primo luogo a quelle del partito comunista, e del gruppo comunista, tanto più che nel recente passato avevo avuto modo di sottolineare una

positiva modificazione e arricchimento della loro analisi sul terrorismo. Preoccupa, quindi, il fatto che il precipitare della situazione con il sequestro D'Urso abbia riportato indietro, meccanicamente, stereotipatamente, liturgicamente, il partito comunista alle posizioni di tre anni fa, senza che questo partito abbia neppure tenuto conto delle diverse e più articolate valutazioni che si sono potute leggere su "Rinascita", su "l'Unità" perfino, dei dibattiti ai quali ho anch'io partecipato in quest'ultimo periodo, a volte insieme a rappresentanti del partito o del gruppo comunista, che sembravano aver adottato non già la logica del cedimento invece di quella della fermezza (perché non di questo si tratta), ma una capacità di analisi storico-politica del fenomeno terroristico, dell'iniziativa politico-istituzionale rispetto al fenomeno terroristico, una capacità di interpretare il ruolo dello Stato e delle istituzioni, del Governo e del Parlamento rispetto al terrorismo, in un modo diverso da quello che ci

ha portato comunque al tragico esito del 9 maggio 1978. E ciò anche se - insisto, pur sapendo di non essere forse in sintonia totale con qualche mio collega - non ritengo che esistono formule semplici e schematiche per risolvere il problema che abbiamo di fronte, nonostante sia chiarissimo - benché difficile - il modo con cui s possa intervenire per riassumere l'iniziativa rispetto a situazioni del genere.

Il Governo è andato a ritroso

Sta di fatto, signor ministro, che se valutiamo le parole finali di un intervento pur criticatissimo - anche dal sottoscritto - del ministro Rognoni, reso a nome di tutto il Governo, e quindi anche del ministro Sarti, lo scorso 16 dicembre in quest'aula, in rapporto alle parole che ieri abbiamo udito, soprattutto nella fase iniziale dell'intervento del ministro di grazia e giustizia, possiamo misurare un percorso fatto a ritroso dal Governo, possiamo constatare come certe aperture, che non sono aperture al terrorismo, ma ad una capacità di iniziativa politica rispetto al fenomeno terroristico - laddove la fermezza coincide con la passività cadaverica delle istituzioni - ad un'iniziativa politica, istituzionale, costituzionale, legittima e legale da parte del Governo, siano state - sembra - totalmente soffocate, evidentemente da ciò che si è verificato negli ultimi giorni.

Moro e il terrorismo

Ed è penoso leggere le cronache giornalistiche e vedere accomunate - non identificate, dire ciò sarebbe esagerato e settario da parte mia - le posizioni, su questo terreno, del Movimento sociale italiano con quelle del PDUP che comprende anche il Movimento lavoratori per il socialismo, con le posizioni del Partito comunista, con quelle di tutto o di una parte del PRI, e con le posizioni di quella Democrazia Cristiana, la quale si ispira ufficialmente alla linea politica di Aldo Moro, ma sembra non aver mai letto i testi che lo stesso Moro ha prodotto su questo problema, le analisi che egli ha condotto in materia, compiendo un ultimo disperato sforzo, nonostante fosse sulla soglia dell'infame sentenza di morte, poi eseguita, pronunciata dalle Brigate rosse, per capire politicamente il fenomeno terroristico che aveva di fronte e di cui era prigioniero.

Il caso Faina

E allora, il ministro della giustizia viene alla Camera a conclamare la fermezza, il non cedimento, il giudizio drastico sul ruolo - autonomo, ovviamente - del gruppo radicale. Signor ministro, lei forse ha il diritto (dico forse, perché qualcuno sostiene che non lo abbia, ma non sono certo che questo qualcuno abbia ragione) di esprimere anche in questa sede il suo giudizio politico su una decisione autonoma della magistratura. Sa, ancora, perché dico ``forse''? Perché ogni volta che presentiamo delle interrogazioni o delle interpellanze, chiedendo il vostro giudizio, come Governo, su ciò che sta avvenendo in certi tribunali, su ciò che sta avvenendo di certe istruttorie, su ciò che fanno certi magistrati, e quindi ogni qual volta, chiedendovi queste cose, noi vi riconosciamo il diritto-dovere di esprimere il vostro giudizio, le risposte o non vengono mai (e andate a vedere al Ministero della giustizia quale insolvenza c'è rispetto a tali interrogazioni e interpellanze), oppure, le rarissime volte in cui le

risposte giungono, sono elaborate su un unico modellino: la magistratura è autonoma, l'esecutivo non può interferire, non può dare giudizi, non può criticare. Allora, delle due l'una: o questa interpretazione, diciamo la più restrittiva, della divisione assoluta dei poteri fino al punto di non poter dare giudizi, vale sempre, e allora vale - tanto per essere espliciti - anche in ordine al ``caso Faina''; oppure tale interpretazione non vale mai, e allora, certo, il ministro ha il diritto di ritenere inopportuna quella decisione. Ma io ho anche il diritto di considerare scandaloso il giudizio governativo sulla inopportunità di una decisione che libera un uomo destinato a morire di cancro, mi dispiace dirlo, tra pochi giorni, poche settimane o pochi mesi. Ritengo disumano questo giudizio, ma comunque vi è il mio diritto di dare un mio giudizio di fronte al diritto del ministro della giustizia, a nome del Governo, di esprimere un proprio giudizio. Ma, allora, ci dovete rispondere anche sulle altre questioni; ad

esempio sula questione del 7 aprile, non certo dicendo se quegli imputati siano innocenti o colpevoli (per carità, non chiederò mai al ministro di grazia e giustizia di dire una cosa di questo genere), ma esprimendovi sulle procedure seguite, sulle decisioni scandalosamente tardive, sulle deformazioni istruttorie, eccetera, oppure su tante altre questioni giudiziarie sulle quali siamo intervenuti.

Il dottor Pascalino

Chiederemo che si risponda alle altre interpellanze, che in passato abbiamo presentato su certi pronunciamenti di magistrati. Ripeto, non c'è solo il Governo che rivendica - secondo me forse giustamente nel metodo, anche se ingiustamente nel merito - il diritto di esprimere il proprio giudizio politico sulla magistratura, ma ci sono anche certi magistrati che lo esprimono sul Governo. Il dotto Pascalino, procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, aspetta di essere alla vigilia della sua uscita dalla magistratura (il 13 settembre andrà in pensione), per dare oggi, sulla prima pagina del quotidiano "Il Tempo", lezioni a tutti, e di fronte a tutti chiede - o se lo fa chiedere dal giornalista - l'instaurazione dello stato di guerra, facendo proprie le posizioni dei fascisti dentro e fuori questo Parlamento e dando giudizi sprezzanti sulla passività, sull'incapacità, sull'abulia, sulla irresponsabilità della classe politica del nostro Paese. Ha il diritto, il dottor Pascalino, di dire queste cose? Le

dica! Abbiamo noi il diritto, almeno da ora in poi, di giudicare gli uomini come Pascalino per quello che sono: magistrati della Repubblica italiana che forse non tradiscono la Repubblica, ma adottano ideologicamente le posizioni fasciste espresse fuori e dentro questo Parlamento, tali e quali esse sono state dichiarate ripetutamente anche in questi giorni. Sono fascisti ideologicamente: non è un insulto gratuito, è una definizione ideologica.

"Presidente". Onorevole Boato, mi assolva per l'interruzione...

"Boato". Se vuole, signor Presidente, le passo questa copia del "Il Tempo".

"Presidente". L'ho visto, Ma non entro nel merito. Volevo soltanto fare un brevissimo richiamo, e spero che mi assolverà per questo.

Se lei legge non solo le interviste, ma i discorsi fatti dai procuratori generali all'apertura dell'anno giudiziario...

"Boato". C'è da rabbrividire, qualche volta, Presidente.

"Presidente". Lei deve però sempre vedere se quel procuratore generale, quando parla, dice: "E l'ultima volta, e poi lascerò la toga"; perché molti - non tutti, per fortuna - in quel momento hanno esplosioni di ingegno giuridico e a volte anche di coraggio, che sarebbero forse stati assai più efficaci se si fossero manifestati prima, durante la carriera. Per fortuna capita poche volte, ma devo dire con coraggio che purtroppo a volte capita.

Chiedo scusa dell'interruzione, ma non potevo non farla.

"Boato". Io la assolvo per quello che ha detto, visto che mi ha chiesto l'assoluzione. Ma quello che io contesto, rispetto a ciò che lei ha detto, è che indirettamente lei dia forse un giudizio positivo sul merito.

Se questo signore, che magari ha detto queste cose in altre occasioni, non le dicesse alla soglia della pensione, e lasciasse il diritto ai magistrati - che siano di ``Magistratura indipendente'', o di ``Impegno costituzionale'', o di ``Terzo potere'' (``Unità per la Costituzione'' si chiamano oggi), o di ``Magistratura democratica'' - di fare quello che fa lui, lasciasse cioè tranquillamente ai magistrati il diritto costituzionale di esprimere il proprio giudizio (ritengo, comunque, anche con la doverosa discrezione che un magistrato deve avere in questi casi), allora non avrei niente da obiettare sul metodo.

"...questa classe politica indecente, incapace di intendere e di volere..."

Ma siccome, nella prima colonna di questa intervista, questo signori Pascalino se la prende con i magistrati considerati troppo ``politicizzati'', allora, signor Presidente, io non sono in grado di consentire con lei. Consento sul fatto che sarebbe meglio che il coraggio di esprimere le proprie opinioni lo mostrassero un po' prima di arrivare alla pensione; non consento col giudizio che questo coraggio sia di per sé positivo, visto il merito di queste dichiarazioni, visto che colui che mostra questo grande coraggio, nella prima colonna della sua intervista, sulla prima pagina de "Il Tempo" di Roma di oggi, si scatena contro quei magistrati che ritiene ``politicizzati'', mentre questo signore ritiene se stesso non politicizzato. Questo signore, che sulla prima pagina de "Il tempo" dice alcune cose che i fascisti dicono dentro e fuori di questo Parlamento, questo signore non sarebbe dunque ``politicizzato''! Lui no. lui sarebbe al di sopra delle parti! Questo signore parlerebbe soltanto in difesa della Repubbl

ica italiana? E' contro le carneficine, contro le stragi, contro questa classe politica imbelle, indecente, incapace (così mi sembra di capire che costui la consideri, stando a quello che si legge nell'intervista) di intendere e di volere. Lui no! Lui che cos'è? Visto che va in pensione, è forse anche lui candidato, come Valiani a qualche altro, alla Presidenza del Consiglio futura, o alla Presidenza di non so quale altra istituzione di una Repubblica riformata?

Chiudo, comunque, questa questione. Avrà capito, signor Presidente, che come lei ha colto l'occasione che io le ho dato per esprimere, con molto garbo, il suo pensiero, io ho colto l'occasione che lei mi ha dato per confermare e chiarire meglio anche il mio.

E visto che ho citato Valiani, passo alla prima pagina del "Corriere della sera" di oggi. Non voglio fare la rassegna stampa in aula, per carità; ma cito il senatore Leo Valiani in quanto editorialista del "Corriere della Sera". Parlando di Trani, egli dice: "I rivoltosi dovrebbero essere privati, per punizione temporanea, dei mezzi materiali - carta, penna, eccetera - con i quali...".

...Una perizia psichiatrica per l'editorialista del Corriere della Sera...

Potrei invocare una perizia psichiatrica per l'editorialista del "Corriere della Sera"? Potrei, ma visto che si tratta di un senatore della Repubblica italiana, mi astengo dal farlo per rispetto all'altro ramo del Parlamento. A Trani hanno fatto una rivolta, sappiamo quello che è successo, sappiamo che hanno sequestrato diciotto agenti, sappiamo che lo Stato - fortunatamente, a differenza di quanto è avvenuto il 10 maggio 1974 per il carcere di Alessandria - questa volta è riuscito a porre fine a questa rivolta senza spargimento di sangue (anche se, purtroppo, c'è stata poi una ritorsione violenta su detenuti che ipoteticamente sono stati i protagonisti della rivolta).

Il senatore Valiani

Sappiamo tutto questo; ma a tutto questo il senatore Leo Valiani - quest'uomo che qualche giornale ha proposto addirittura, in ipotesi, come possibile Presidente del Consiglio - risponde con la proposta di togliere carta e penna alla gente che scrive documenti dentro al carcere. Siamo arrivati a questo livello! Questa è comprensione critica del fenomeno terroristico? Questa è una risposta al terrorismo nel nostro Paese?

Giacché ci sono, la finisco, questa rapida rassegna della stampa di questa mattina. Consiglio ai pochi colleghi che sono in quest'aula, al Presidente del Consiglio - magari anche al Presidente dell'Assemblea, se vuole (non si offenda, non sono polemico nei confronti del collega Scàlfaro) - e ai sottosegretari che sono presenti, di leggere l'articolo di una persona che non appartiene alla mia parte politica; invito in particolare i colleghi comunisti a leggere questo articolo di Neppi Modona, che, se non sbaglio, pur non essendo forse iscritto al partito, appartiene all'area comunista, su "La Repubblica" di oggi: "La nostra risposta alle Brigate", è il titolo. E si riferisce alla risposta che porta alla logica di militarizzazione dello Stato, del ruolo dei corpi istituzionali dello Stato nella logica della militarizzazione, che è intrinseca alle richieste di tribunali speciali, alle richieste di stato di guerra (sul tipo di Pascalino, per intenderci), che vengono fatte in questi giorni da più parti come rispo

sta risolutiva al terrorismo. Ma dobbiamo ripetere qui stancamente, inutilmente, le cose che abbiamo detto e ripetuto decine e centinaia di volte?

Sulla soglia di una soluzione positiva

Certo che è difficile, drammatica, spero non tragica, la situazione in cui ci troviamo; spero anzi che ci troviamo sulla soglia di una soluzione positiva, quanto meno del caso specifico. A mio parere, la situazione è più difficile e complessa di quanto non ritengano forse anche alcuni miei amici e compagni; ma è altrettanto certo che avete voluto ricacciarvi in questa situazione, che avete lasciato passare un anno dalla conversione del decreto legge del 15 dicembre - nella totale passività, nella totale delega ai Corpi giudiziari e di polizia di Stato, e nell'assenza di iniziativa politica; quella iniziativa politica, istituzionale e anche legislativa, che doveva andare nel senso esattamente opposto a quello che viene evocato oggi con lo stato di guerra, la pena di morte, i tribunali speciali; nel senso invece di una destabilizzazione politica del terrorismo, nel senso della ``diserzione'' dal terrorismo, della capacità di differenziare l'assassino da colui che è imputato solo di partecipazione a banda armat

a; nel senso di consentire agli stessi magistrati, che li hanno incarcerati di mettere in libertà provvisoria centinaia di persone, che in carcere non possono altro che essere recuperati al circuito della lotta armata; nel senso di riconoscere a chi ha ``parlato'' l'apporto che ha fornito allo Stato, ma altresì di dare, a chi intende disertare, abbandonare la lotta armata, e non intenda però trasformarsi in un delatore, la possibilità di essere comunque riconosciuto come una persona che ha abbandonato quel terreno terroristico. Egli dovrà pagare il suo conto con la giustizia, purché esso non consista però in 12 anni di carcerazione preventiva, o quando non consiste, peggio, nel ritrovarsi in cella, in carcere, con chi gli farà pagare duramente la scelta di diserzione dal terrorismo che ha compiuto.

Cosa avete fatto in un anno?

Cosa avete fatto su tutto ciò in questo anno? Quali iniziative avete preso, voi, Governo in carica, e i governi che vi hanno immediatamente preceduto? Io non mi lamento più signor ministro, del fatto che lei non abbia risposto ad alcune mie domande; però vorrei leggere i punti finali della mia interpellanza, che non voleva rappresentare il solito strumento formale per poter intervenire, ma il segnale di un atteggiamento diverso, che si poteva assumere in questo dibattito, proprio grazie alla consapevolezza della grave difficoltà di questa situazione: "alle iniziative da assumere, sul piano politico e legislativo per determinare una ``inversione di tendenza'' nelle drammatiche e tragiche vicende del terrorismo italiano, allargandone e non chiudendone le contraddizioni interne, restringendone l'area di consenso, incentivando il fenomeno della ``diserzione'' dalle sue organizzazioni clandestine, consentendo altresì il graduale recupero e reinserimento nella convivenza civile di settori consistenti del mondo gio

vanile che col terrorismo abbiano avuto marginali contatti o che, comunque, da esso si siano nettamente e definitivamente distaccati; per sapere infine se il Governo non ritenga che: "A)" l'assenza di una adeguata politica istituzionale e legislativa, coerente con le esigenze della nuova e diversa fase del terrorismo italiano determinatasi nel corso del 1980, abbia impedito nei fatti di rendere tendenzialmente definitiva la grave sconfitta comunque subìta dal terrorismo, in tutte le sue forme, negli ultimi mesi; "B)" la delega, pressoché totale, alla doverosa attività della magistratura e dei Corpi di polizia abbia determinato una grave sottovalutazione del carattere non solo criminale, ma anche politico ed ideologico, che è da sempre proprio del terrorismo italiano, il quale avrebbe pertanto richiesto una adeguata capacità di analisi e di intervento anche sul piano propriamente politico e istituzionale, nella direzione, del resto ripetutamente e insistentemente sollecitata da numerosi tra gli stessi magistr

ati impegnati in modo diretto nella lotta contro il terrorismo; "C)" la virulenza, drammaticità e tragicità delle più recenti iniziative terroristiche riveli non solo la tuttora attuale pericolosità e gravità del fenomeno, ma - proprio per il suo sempre più accentuato riferimento quasi esclusivo alla situazione carceraria - anche la sua totale debolezza strategica e il pesante ridimensionamento della sua capacità di incidenza politica e sociale".

Su questo punto lei ha fatto un rapidissimo riferimento nel suo intervento; ho scoperto, dall'interruzione nei confronti del collega Rodotà, che lo ha fatto però perché "Rinascita" di ieri scriveva qualcosa in prima pagina...

"Sarti. Ministro di grazia e giustizia". Mi sono solo divertito a metterli in contraddizione!

"Boato". Ah, ecco!

Certo, i compagni e colleghi comunisti potrebbero prendersi "Rinascita" del 12 dicembre 1980 - è datata proprio il giorno del rapimento di D'Urso, anche se è uscita due giorni prima, come voi sapete - e leggervi l'articolo di Angelo Bolaffi che ha questo titolo. "Fine del partito armato?".

"Margheri". Punto interrogativo!

"Boato". Certo, punto interrogativo. Ma leggetevi l'articolo; se volete, ve lo leggo qui!

"Magheri" Quindi, ci sono anche gli elementi per dire ``no''!

"Boato". Ci sono gli elementi per dare una risposta all'interrogativo. E non voglio fare l'apologia di Angelo Bolaffi, che sicuramente ha però più capacità di intendere il terrorismo, anche se non è un dirigente comunista ma soltanto un giornalista, di quanta non ne abbia dimostrata Di Giulio ieri: basta che vi leggiate l'articolo.

Poi vi è una lunga intervista a Horst Mahler, uno degli ex dirigenti della RAF, la "Rote Armee Fraktio", colui che rifiutò allora lo scambio con Lorenz rapito dal ``2 giugno'' e rimase in carcere; adesso è uscito famigerato per molti aspetti, ha però avuto il coraggio di prendere anche certe iniziative diverse.

Horst Mahler spiega che quando si arriva a colpire, signor ministro, il sistema carcerario con questa ossessività paranoica, anche se con sacrosanti motivi oggettivi che voi avete lasciato ai terroristi, è perché si è non all'inizio di una "escalation" terroristica, ma si sta anzi arrivando alla fine di una parabola discendente.

L'intervista delle BR all'Espresso

E anche l'intervista delle Brigate rosse al "L'Espresso" è utilissima per capire certe cose! Infatti, quando loro dicono "sequestrare Moro per noi costituiva la fase della propaganda armata, mentre il sequestro D'Urso è un attacco al cuore dello Stato" mentono con se stessi! E, se voi avete un po' di intelligenza nel leggere questi documenti capite che questa mistificazione è un segno di grande debolezza! Mentono con se stessi: l'attacco al cuore dello Stato partiva dal sequestro Sossi! E noi ironizzavamo nel 1974 sui nostri giornali: "ma che cuore dello Stato, il magistrato Sossi!". Ma per loro la fase della propaganda armata era finita all'inizio del 1974, mentre l'attacco al cuore dello Stato era cominciato proprio il 18 aprile 1974! Date rituali: il 18 aprile riecheggiava il 1948, il 12 dicembre riecheggiava piazza Fontana. Questi sono i loro riferimenti; e sono a volte anche i nostri, per altri aspetti, di varie forze politiche in questo Parlamento; le BR li usano volutamente in questa direzione, per il

loro significato ``simbolico''.

Il sequestro Sossi

Il sequestro Sossi nel 1974 era, dunque, l'inizio dell'attacco al cuore dello Stato, mentre il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro è stato il punto più alto - non c'è ombra di dubbio - della loro capacità in questa direzione! Se le BR sono costrette a dire oggi che invece il sequestro D'Urso è un punto più altro rispetto al sequestro Moro, perché quello colpisce il cuore dello Stato e prepara l'inizio della guerra civile, mentre questo rientrava solo nella fase della propaganda armata, vuol dire che sono obbligati a mentire con se stessi e con i propri militanti, rivelando così la situazione di grave debolezza in cui, nonostante tutto, si trovano! E allora perché, nonostante questa grave situazione di debolezza, hanno potuto comunque sequestrare D'Urso? Lo chiedo io a voi! Perché, nonostante ciò, hanno potuto riorganizzare in parte le proprie fila? Da quello che si capisce della situazione delle BR, è sconfitta la colonna di Torino, è sconfitta quasi interamente la colonna di Genova, ha subìto grossi colpi

Milano, ha subìto qualche colpo il Veneto, ma non l'ha subìto interamente Roma. Qui, anzi, molti di quelli che dichiarate brigatisti, non si riconoscono come tali e protestano in carcere la loro estraneità alle BR...

"Margheri". Non può essere perché hanno trovato qualche breccia politica, proprio in risposta a quell'articolo?

La strage di via Fracchia

"Boato". No, può essere che le BR abbiano potuto parzialmente riprendersi perché hanno trovato l'incapacità politica e istituzionale di avvalersi di quello che gli stessi magistrati hanno fatto. Gli stessi corpi di polizia hanno fatto tante cose positive e altre indecenti. La strage di via Fracchia a Genova, anche se è stata una strage di quattro brigatisti, resta una strage, è stato un assassinio plurimo che si poteva evitare. Quell'assassinio ha portato poi all'assassinio di Tobagi a Milano, per un meccanismo, perché bisognava "vendicare" i quattro uccisi a Genova. Ma lasciamo stare ora gli aspetti tragicamente negativi di tutta questa attività dei corpi dello Stato.

Traditori della Repubblica

Sicuramente però questa vicenda doveva registrare l'intervento anche del Governo, del Parlamento, una iniziativa legislativa ed esclusiva dello Stato, che non doveva delegare la questione terrorismo solo ai magistrati, ma che doveva anzi assumere positivamente l'attività dei magistrati per una diversa capacità di responsabilizzazione politica, che essi stessi chiedevano e che noi vi abbiamo chiesto decine di volte. Anche fra di voi comunisti alcuni, pochi, minoritari (purtroppo minoritari, altrimenti sosterreste le posizioni che adesso sostenete) hanno cercato di capire queste cose, e oggi rimangono schiacciati, non nel senso che non li lasciate parlare, ma perché non dispongono più di margini di iniziativa, di parola, nei fatti. E' una posizione che avete irrigidito in questo periodo, nel caso - è evidente - che vedete "traditori" dappertutto: chi non sostiene, come è stato detto, le vostre posizioni, è considerato un potenziale traditore della Repubblica...

"Brini". Occupati delle cose tue; quando ti occupi delle nostre, occupatene con gli occhiali, non ad occhi chiusi.

"De Cataldo. Horto concluso!"

"Boato". Non ha importanze. Poiché sto facendo una polemica seria, i tuoi compagni che stanno qui vicino hanno capito: tu, da lassù evidentemente, non ci sei arrivato! (Interruzione del deputato Brini").

Io sto facendo una polemica seria, che conduco seriamente da anni, responsabilmente e con rispetto anche per le posizioni che non condivido. Non ti rispondo perché purtroppo non esiste nulla su cui risponderti.

"Brini". E' l'unica cosa che sai dire!

"Pinto". Camomilla al signore!

"Boato". Lei capisce, signor Presidente, io non posso leggere qui un messaggio delle Brigate rosse, perché Pazzaglia ha detto che ci aggredirebbe fisicamente...

"Santagati". Non è solo Pazzaglia che lo dice!

Il partito combattente

"Boato". Non è vero, io lo potrei leggere benissimo, ma non lo leggo. "Nell'epoca della guerra civile l'ideale del partito del proletariato è di essere un ``"partito combattente"''. Ciò è assolutamente indiscutibile. Ammettiamo volentieri che dal punto di vista della guerra civile si può cercare di provare e si può provare che queste o quelle forme di guerra civile non sono conformi allo scopo di questo o quel momento. Noi riconosciamo perfettamente la critica delle diverse forme di guerra civile dal punto di vista dell'opportunità militare e siamo assolutamente d'accordo che la parola decisiva in simili questioni spetti a quei rivoluzionari che fanno il lavoro pratico in ogni singola località. Ma in nome dei principi del marxismo noi esigiamo assolutamente che non si sfugga all'analisi delle condizioni della guerra civile, ricorrendo a frasi stereotipate e banali sull'anarchismo, sul blanquismo, sul terrorismo", e così via.

Lenin

Ovviamente, voi che su questo punto avete la mia stessa cultura sapete che non ho citato le Brigate rosse, bensì "La guerra partigiana" di Lenin (1906), un classico ripubblicato dalle edizioni in lingua estera di Mosca...

"Teodori". Sei un leninista!

"Boato". Abbiamo lo steso tipo di cultura su questo punto, il che è diverso.

L'edizione è curata da Boris Ponomareb, il quale nell'introduzione fa anche una grande esaltazione di Stalin. Ovviamente, eravamo nel 1946...

"Margheri". Di trentasei volumi, hai letto poche righe: non dice altre cose?

... Gli epigoni Lenin

"Boato". Ho letto il manualetto di tecnica sulla guerra partigiana. Marghieri, sei geniale: noi stiamo facendo un dibattito sul terrorismo e tu mi dici che di trentasei volumi di Lenin ho letto qui soltanto una cosa sul terrorismo. Bravo! La tua è un'acuta e geniale osservazione ("Interruzione del deputato Marghieri"). Io non avrei voluto fare questa citazione, ma l'ho fatta ora volutamente e semplicemente per capire che abbiamo a che fare con un fenomeno politico che ha radici storiche e ideologiche. Questa è la teoria della guerra civile di chi poi l'ha fatta e l'ha vinta nel 1917-21, dopo di che mi pare che la rivoluzione è andata diversamente da come sperava. Questi delle BR sono gli ultimi, degeneri epigoni non tanto di Lenin, quanto del tardoleninismo e soprattutto dello stalinismo. Quante volte l'ho detto e spiegato anche qui! Ma se non capiamo, se non capite che dobbiamo analizzare anche questi aspetti, non si capirà che il "black-out" non serve a niente e che bisogna anzi pubblicare i loro documenti

! Giustamente Mimmo Pinto diceva ieri che li farebbe studiare criticamente nelle scuole: bisogna pubblicarli, quei documenti; leggerli, forse non studiarli, perché c'è poco da studiare! Ma vanno discussi per quello che sono ("Interruzione del deputato Molinari"). Certo che ci sono anche altri problemi più importanti, ma è possibile che non riesci a capire, neanche tu?

Nel nostro paese il terrorismo compare periodicamente in prima pagina su nove colonne, ed il Parlamento ne discute per settimane: ciò vuol dire che o avete sbagliato tutto (od abbiamo sbagliato tutto), oppure che questo fenomeno in qualche modo va affrontato. Vi è un'alternativa fra il ritenere "minus habentes" (si dice così?) il 90 per cento degli italiani e non far legger loro certe cose, che però sono lette di nascosto dal tuo dirigente, dal mio dirigente, e su, cui il Governo di nascosto si consulta? Vi è un'alternativa a questo: quella, cioè, che gli italiani possano leggere, analizzare e capire tragicamente o tranquillamente, drammaticamente o serenamente anche queste cose, come hanno letto, analizzato e capito tutti i fatti tragici di questi anni, più o meno, con una maturità che cresce e non cala, con una consapevolezza che può aumentare e non diminuire, con una responsabilità che può essere rafforzata e non indebolita.

Vi scandalizza ``Lotta continua''

Se decretate il "black-out" su queste cose e vi scandalizza che "Lotta continua" pubblichi quel documento ignobile (nel titolo è stato scritto che "gronda sangue"), e non è certo un documento che ci piace, la gente si chiederà: perché hanno tanta paura che leggiamo questi documenti, cosa vi sarà scritto? La gente si può chiedere: se hanno il terrore che io, cittadino medio, appena leggo un documento delle Brigate rosse divento brigatista, allora questa è una Repubblica che fa schifo a se stessa, che ha paura di se stessa, che non ha il coraggio di se stesa, che non ha credibilità in se stessa, se ha paura del fatto che leggere un documento brigatista voglia dire poter diventare brigatista!

E il senatore Bonifacio

Quello che questa Repubblica, con le sue forse politiche e democratiche, sa presentare al cittadino medio, al cosiddetto "cittadino qualunque", non riesce a fare "concorrenza" nemmeno ad un documento delle Brigate rosse? Secondo me, il maggior danno prodotto dal terrorismo è questo: averci costretto a fare macchina indietro su alcuni principi di fondo, che si erano faticosamente affermati almeno fino al 1974: "Le misure repressive avranno effetti generalizzati nell'applicazione delle leggi; per recuperare il discorso di rinnovamento faremo più fatica di quanto ci fu possibile iniziarlo". Avevo già citato il 16 dicembre questa intervista ("Mostra un fascicolo di fotocopie"), sono parole del senatore Bonifacio della Democrazia Cristiana, ministro di grazia e giustizia dal 1976 al 1979 e giudice costituzionale agli inizi degli anni '70; è un'intervista al settimanale Oggi. Le ha fatte lui, queste leggi, con voi comunisti, le ha fatte lui e questo è il giudizio che ne dà oggi! Il giudizio su questa legislazione

antiterroristica e su quali effetti deteriori ha prodotto!

Non vi citerò nemmeno la relazione del senatore Bonifacio all'assemblea consultiva del consiglio d'Europa sul terrorismo, che è molto interessante. Non è che io mi identifichi con le sue posizioni; sto dicendo però che vi è anche nelle altre forze politiche, anche nel Partito comunista, anche nella Democrazia Cristiana, una diversa sensibilità ed intelligenza che però non emerge, non prevale, e non so perché: anzi, lo so, ma nonostante tutto sto qui a parlare a voce altissima, a sgolarmi per dimostrare ancora fiducia nelle ipotesi che tutto questo possa cambiare!

Il terrorismo dalle fabbriche alle carceri

Quando il terrorismo è ridotto ad occuparsi solo di carceri, è perché politicamente non è più quasi capace di occuparsi di altro: alla metà dell'anno scorso, dopo le prime sconfitte, hanno diffuso vari documenti per dire che bisognava tornare in fabbrica; non ce l'hanno fatta. Forse in fabbrica c'è qualche brigatista. Ma non ce l'hanno ugualmente fatta, strategicamente e politicamente, a tornare in fabbrica. Anzi, quando due dirigenti delle Brigate rosse dal Veneto sono tornati a Torino per partecipare alla vecchia vicenda FIAT, li hanno arrestati. Sono Nadia Ponti e Vincenzo Gagliardi.

La continuazione degli arresti e la rivolta dell'Asinara ha prodotto la risoluzione della direzione strategica dell'ottobre 1980, in cui la prima volta nella storia del terrorismo (Mammì non ne sa niente, è un analfabeta, nel senso tecnico, su queste cose) le Brigate rosse assumono il carcere come centro; abbiamo anzi assistito ad anni di polemiche fra brigatisti in galera contro quelli che stavano fuori, dicendo: voi ci sottovalutate, non ci tenete in conto, non intervenite sulle carceri! Quelli fuori rispondevano: voi state in galera, come un bravo militante terzinternazionalista che, quando veniva arrestato, conservava i doveri di militante, ma non aveva più diritto di decidere e dirigere, proprio perché in galera. Quando tu stai in galera, militante comunista terzinternazionalista, la logica è questa.

Una indagine sulle carceri

Che sia pazzesco, o - peggio - allucinante, che nel 1981 qualcuno ragioni ancora così, sono d'accordo. Ma era così. Adesso, invece, per la prima volta nella storia delle Brigate rosse, si arriva a mettere il carcere al centro di tutto. Perché? E' un segno di forza? Signor ministro, non è vero quello che ha detto, che cioè si vuole mettere al centro la giustizia perché è l'architrave dello Stato. Voi avete dato a questa gente la possibilità di farlo. Vi devo purtroppo rileggere un brevissimo brano di un mio intervento in Commissione giustizia, alla presenza anche del sottosegretario Lombardi, il 26 novembre del 1980. Dalle due l'una: o mi fate arrestare perché sapevo che sequestravano D'Urso e non ve l'ho detto; oppure, non dico che vi riconoscete incapaci, anche se lo siete, ma dovete almeno meditare su questo. Il 26 novembre del 1980, cioè sedici giorni prima del rapimento di D'Urso, in Commissione giustizia, presenti i sottosegretari Lombardi e Spinelli, dissi: "Per quanto riguarda a situazione carceraria,

vorrei aggiungere qualche parola alle affermazioni degli onorevoli Onorato, Granati e Casalinuovo. E' scandaloso che nel nostro paese la rivendicazione democratica, in piena conformità con la legge penitenziaria del 1975, della chiusura di quella ignominia che si chiama carcere di massima sicurezza dell'Asinara, sia una rivendicazione delle Brigate rosse. Il nostro Stato aspetta che siano i brigatisti a rivendicare, per fini anti-istituzionali, la chiusura di un carcere che dovrebbe rappresentare il primo elementare segno di una inversione di tendenza rispetto alla situazione carceraria nel nostro paese. Di questo, nonostante che i brigatisti, ma magistrati, operatori del diritto e cittadini, abbiano preso posizione affinché sia lo Stato di diritto ad intervenire su un terreno che non va lasciato all'eversione (non va lasciato, nel senso che lo Stato faccia ciò che deve fare), non abbiamo avuto modo di notare un minimo segno di una volontà di tal genere nell'operato del governo". Oggi scopriamo che i segni

segretamente c'erano ma da questo punto di vista è secondario, perché non ci avevate detto mai nulla, anche se più volte lo abbiamo chiesto in Commissione e in aula. Noi ci assumiamo oggi, in relazione alla vicenda D'Urso che spero si risolva nel migliore dei modi la responsabilità di proporre che la Commissione giustizia, ai sensi dell'articolo 144 del regolamento, avvii una indagine conoscitiva "a tappeto" su tutto il sistema penitenziario nel nostro paese, e in particolare sul sistema delle carceri di massima sicurezza.

"Presidente". Mi pare giusto!

"De Cataldo". Le pare giusto, signor Presidente?

"Presidente". Sì, perché questa indagine sarebbe condotta "a tappeto".

"Boato". Nel senso che non affrontiamo solo la punta dell'"iceberg" emersa in queste settimane. Sarebbe anche una risposta a ciò che il collega Costa ha detto, con l'osservazione che quando Costa era sottosegretario alla giustizia frequentava spesso la commissione Giustizia, poi molto meno, per cui non so quante volte noi abbiamo insistito sulla questione carceraria. I colleghi comunisti erano d'accordo sulle nostre sollecitazioni, ma prima di associarsi con noi alla richiesta formale di un dibattito ci hanno impiegato vari mesi; dopo è arrivato finalmente il ministro Morlino non per una indagine conoscitiva, bensì solo per un dibattito, ma tutto si è bloccato perché c'è stato il "caso Donat-Cattin-Cossiga" e poi è caduto il Governo.

"Presidente". Onorevole Boato, la prego di concludere.

"Boato". Ho detto purtroppo pochissimo delle cose che mi ero appuntato in precedenza, ma queste poche osservazioni spero siano comunque servite. Come vedete, ho parlato poco o nulla di D'Urso, della fermezza o del cedimento; non ho parlato di trattative. Ma non è comunque vero, signor ministro, che la nostra delegazione, che si è recata la carcere di Trani, abbia abusato dei suoi limiti e abbia violato i suoi doveri, cioè sia stata strumentale nel suo intervento.

"Presidente". Onorevole Boato, il tempo a sua disposizione è già scaduto.

"Boato". Voglio far capire che se non vogliamo chiudere questo capitolo, per poi riaprirne però un altro più tragico e drammatico magari fra poche settimane, nei prossimi mesi, fra pochi giorni, dobbiamo riprendere il filo non di ciò che ho detto io (non pretendo certamente questo), ma sicuramente il filo di una riflessione complessiva di un dibattito e di una iniziativa (non basta riflettere ed analizzare), di una iniziativa politico-istituzionale su questo terreno del terrorismo (a meno che non pensiate di recuperare il disegno di legge n. 1267), perché sarebbe duro per voi prevalere, e allora usciremo da questa situazione, noi e voi, come tutti gli italiani. Oppure ci troveremo comunque - spero - a chiudere positivamente la vicenda D'Urso con la salvaguardia della vita sua e anche della democrazia nel nostro paese in questo settore, ma purtroppo rischiamo di ritrovarci tra poche settimane, o tra pochi mesi, in una situazione ancora più tragica e magari con il "black-out" assoluto. Spero che ciò non avveng

a ("Applausi dei deputati del gruppo radicale").

 
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