SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.
("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)
Il secondo appello di Leonardo Sciascia ai giornali (12 gennaio)
"Il mio appello di sabato sera ai giornali italiani è stato da pochissimi pubblicato integralmente e in altri pochi ha trovato spazio. Sono, tra gli scrittori italiani, uno dei più richiesti alla collaborazione da parte dei grandi giornali e, da quelli cui collaboro, retribuito persino all'eccesso: eppure nemmeno in quelli su cui scrivo una mia dichiarazione di non più di dieci righe ha trovato spazio.
L'ineffabile "Eugenio Scalfari", o chi per lui su "La Repubblica" ha trovato anche il modo di farmi apparire in contraddizione con me stesso, servendosi di una mia intervista a "L'Espresso" in cui dicevo che il Governo aveva fatto benissimo a smantellare l'Asinara e che dopo di ciò mi sentivo di chiedergli altre aperture, e raffrontando questa mia affermazione all'appello di sabato ai giornali. Ma io, appunto, mi rivolgevo ai giornali, e non al Governo. Il Governo non può e non deve ulteriormente cedere, a meno che non si tratti - come per l'Asinara - di non cedere nella legge. Ma i giornali non sono il Governo. I giornali sono i giornalisti, i redattori, i direttori, i proprietari, coloro che li stampano, coloro che li leggono. A loro era rivolto il mio appello. Da uomo a uomini che qui - non tutti, ma almeno quelli che stanno ai vertici - posso chiamare per nome: "Franco Di Bella, Eugenio Scalfari, Indro Montanelli, Giorgio Fattori, Roberto Ciuni, Gianfranco Piazzesi, Michele Tito, Vittorio Emiliani, Giann
i Letta, Fausto De Luca, Mario Ciancio..."
A loro, singolarmente, uno ad uno, ho rivolto e ribadisco il mio appello. Le Brigate rosse dicono che da una vostra decisione dipende la vita di un uomo: la decisione di pubblicare sui vostri giornali le loro farneticazioni. E' un ricatto doloroso ed infame, ma nell'effetto che quei loro comunicati possono conseguire sui vostri giornali ha un risvolto di cretineria e di ridicolo. Personalmente, ritengono che quei loro comunicati dovrebbero essere pubblicati e ampiamente diffusi a spese dello Stato. Pubblicateli, dunque: il sottostare al ricatto è molto più nobile e proficuo in questo momento, che il rifiutarvisi.
Voi avete visto aderire al mio appello la signora Moro, la signora Tobagi, il figlio di Carlo Casalegno: il loro dolore, che avrebbe potuto rivoltarvisi contro, ha invece scelto l'intelligenza delle cose. Adeguatevi a questa intelligenza, non cercate la strada di onore che, nella morte di un uomo, può diventare supremo disonore".
"Leonardo Sciascia"